“Per una storia della scuola elementare trentina”
A cura di Quinto Antonelli. Comune di Trento, 1998, pp. 390.
Leggendone la storia ti rendi conto che la scuola non è sempre esistita, anzi che è un’istituzione, o un servizio, o un obbligo, o un diritto, abbastanza recente. In continua evoluzione, e a rischio; non un’isola, ma un continente nell’universo della cultura e della società. Affidata gradualmente ad addetti, che non significa sempre più esperti, ma mai cosa loro: come la guerra, è troppo importante per lasciarla nelle mani degli ufficiali. Premuta da antinomie, cioè da esigenze ugualmente legittime ma contradditorie: la realizzazione dell’individuo contro la conservazione di una cultura, l’inserimento in un sistema produttivo e l’educazione alla creatività, la centralità dei talenti naturali e la necessità di fornire a tutti gli strumenti di base, lo sviluppo del pensiero e il bisogno dell’emozione, il valore delle identità particolari contro la tensione all’universalismo.
In quest’opera, "Per una storia della scuola elementare trentina", curata da Quinto Antonelli, si individuano due filoni: per un verso la scuola è domanda di istruzione, di formazione, di crescita culturale, espressa dal basso, per un altro è offerta dall’alto, dalla società e dallo Stato, che indirizzano, costringono, premono. Fra liberazione e disciplinamento, fra fatica e piacere: e attenzione, polarità non contrapposte, ma compresenti e intrecciate in ognuno dei due filoni indicati. E’ così che, già alla fine dell’Ottocento, nel Trentino austriaco, l’analfabetismo è drasticamente ridotto al 15%: un risultato eccezionale, non solo se confrontato con il regno d’Italia, ma anche con altre regioni europee.
La storia è divisa in periodi: 1."La scuola prima dello Stato", cioè nel Principato vescovile, dal Concilio di Trento alle riforme dell’Illuminismo (1774); 2. "La scuola austriaca: dalle riforme di Maria Teresa alla Grande Guerra", sostanzialmente dalla secolarizzazione del Principato all’unificazione al regno d’Italia (1919); 3. "La scuola ‘redenta’: dall’annessione all’Italia alla seconda guerra mondiale", cioè il periodo del fascismo (1943); 4. "L’autonomia e la scuola trentina": l’appendice dedicata agli anni dell’occupazione tedesca e della resistenza, della storia repubblicana e degli statuti di autonomia (1998).
Nel periodo dell’antico regime le scuole parrocchiali, gestite dal sacerdote-maestro, che insegna a leggere e a scrivere, sono volute dalla comunità, ma anche da privati, con l’obiettivo primario di insegnare la dottrina cristiana, come predisposto dal Concilio di Trento. Sono precarie alla nascita, diffuse in modo non uniforme, frequentate soprattutto dal ceto medio nei mesi invernali e nei locali della canonica, a pagamento graduato, vengono chiuse in epoche di crisi.
Lo spirito di queste scuole emerge, nel saggio di Lilia Vadagnini, dalla protesta fatta nel 1632 dagli abitanti di Cavalese contro il pievano che, impossessatosi della rendita, celebra la messa, ma non tiene più la scuola "a tanto danno, et ruina nostra, et dei nostri poveri figli li quali periscono et restano ignoranti… in loco de andar alla schola s’anegano nelli vitij et cattive pratiche a tanto nostro pubblico danno et detrimento".
La riforma di Maria Teresa (1774) introduce una scuola pubblica, obbligatoria per entrambi i sessi dai sei ai dodici anni, ma non totalmente gratuita. Ricorda Quinto Antonelli che i genitori, "comodi e benestanti", sono sottoposti ad una contribuzione proporzionata agli obiettivi scolastici scelti: "pagheranno per ogni fanciullo, che impara soltanto a leggere Carentani 12. al mese, e per ciascuno che imparerà a leggere e scrivere Carentani 18."
Nel Settecento, il secolo pedagogico, l’istruzione da materia ecclesiastica diventa così materia di competenza statale: il maestro, formato e pagato dallo Stato, insegna secondo un metodo uniforme, con l’obiettivo di "disciplinare" gli alunni, e farne fedeli sudditi dell’impero.
E’ una laicizzazione che lascia ampi spazi alla religione e alla Chiesa, ma vissuta come ingerenza suscita proteste nelle comunità locali e nelle famiglie, per il timore che i nuovi metodi e i libri adottati distruggano la fede cattolica. Mauro Nequirito mostra il passaggio dal "pluricentrismo" dell’antico regime, caratterizzato anche nella scuola dall’autogoverno locale, alla nascita dello Stato moderno, nella forma centralizzata dell’assolutismo illuminato. Ancora nel 1899, a Trento, nell’Adunanza della Società Magistrale Cattolica, monsignor Valentinelli considera la società laica una forma di persecuzione "che si arroga il diritto di invadere e usurpare ciò che è proprietà della Chiesa". La messa quotidiana obbligatoria per gli scolari, due ore di catechismo, l’obbligo per i maestri della sorveglianza durante gli esercizi religiosi, paiono alla Chiesa uno "spiraglio" insufficiente.
L'opposizione alla scuola di Stato viene dunque dalla Chiesa, dalle famiglie e dalle comunità locali, ma anche dalle classi privilegiate che la considerano socialmente sovversiva: "L’arma com’è pericolosa in mano d’un imperito, così lo è la coltura nel contadino" - scrive l’ispettore Gerloni nel 1824. Per queste ragioni la scuola elementare trentina fu sempre "povera": le aule ridotte spesso a topaie, i maestri pagati pochissimo, e le maestre la metà dei colleghi, condannati al doppio lavoro del segretario, del calzolaio, del sagrestano. Spiega la situazione in modo chiaro, e attualissimo, nel 1822 il capocomune di Pergine, nel giustificare le resistenze dei proprietari borghesi ("le realità") a pagare le "steore" per la scuola di tutti, loro che possono istruire i figli altrove: "Non sembra giusto che un tale aggravio debba colpire le realità, le quali coll’istituto dell’educazione non hanno alcun rapporto"! E’ possibile solo nominare i temi della didattica, del libro di lettura, del rapporto fra lingua e dialetto, dell’educazione matematica, scientifica, storica, della frequenza femminile, delle associazioni magistrali, di figure come quella del sacerdote Giovanni Marchetti, animatore della scuola a Rovereto.
Cesare Bertassi racconta un aneddoto del 1855 che commuove per l’attaccamento alla scuola, ma che spiega anche le radici lontane della diffidenza nel rapporto fra individuo e Stato: "Il Comune di Dro non provede la legna pel riscaldo della scuola, ma la devono portare i ragazzi, e per portarla devono rubbarla, essendo tutti i boschi comunali".
Sulla professione e sull’esistenza difficili delle maestre, Paola Sommadossi riporta il decreto del 1869 che proibisce loro di contrarre matrimonio, perché devono vivere in totale dedizione alla scuola. E con queste parole, cambiata in qualche modo la legge, nel 1881, la maestra Adelaide Pinbellini chiede il permesso di sposarsi: "Io mi obbligherei di tenere sempre pronta ed a tutte le mie spese un’abile supplente… riconosciuta di pieno aggradimento da parte del Lodevole Municipio, per cui credo di poter asserire fin d’ora che il mio nuovo stato non porterà alcuna interruzione né sconcerto." Il direttore Giovanelli si oppone, ma l’Autorità Distrettuale di Trento, con quattro voti favorevoli e tre contrari, concede alla maestra di uscire dalla "castità obbligata".
La scuola fascista è, nei progetti, ovviamente l’apparato ideologico di Stato più rigoroso. Mussolini vagheggia un "italiano nuovo": "Il Governo esige che la scuola si ispiri alle idealità del Fascismo, esige che la scuola non sia, non dico ostile, ma nemmeno estranea al Fascismo o agnostica di fronte al Fascismo". Ma la storia, anche a scuola, è più complessa di ogni programma. Nel clima dell’attivismo promosso dal pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, si stampa un giornalino, "Il Balilla del Trentino", che comprende certo una parte scritta da adulti, di culto del duce, di esaltazione del nazionalismo e delle opere del regime, ma una parte è dedicata ai diari dei bambini, che raccontano in modo spontaneo le loro esperienze familiari, scolastiche, sociali. Giuseppe Colangelo ne riporta alcune pagine interessanti. Uno scolaro di III, di S. Lorenzo Banale, scrive la vigilia di Natale del 1930: "Il mio babbo da due mesi è camminato da qui e è andato a Padova a fare lo spazzacamino. Ha mandato cento lire per pagare la malga della mucca. Mi ha mandato un grande pacco con m.6 di tela per farmi fare due camicie. Tornerà in primavera."
Dopo l’8 settembre 1943, durante gli anni dell’occupazione tedesca e della Resistenza, si svilupparono le esperienze dei Centri Scolastici nelle vallate e della Scuola professionale trentina, una post-elementare che prolunga l’obbligo a 14 anni, per iniziativa di Giovanni Gozzer, che sarà il primo presidente del CLN trentino. Sono, in condizioni difficili, le prime prove di autonomia scolastica. Questa diventa la parola d’ordine nei decenni di storia repubblicana, dallo Statuto speciale del 1948 ai nostri giorni. Lucia Pedrolli traccia dei progetti una cronaca preoccupata e risentita, per l’influenza delle forze conservatrici tese ancora a un’educazione di impronta religiosa e sottoposta al controllo delle famiglie.
Chiuso il libro, non è una storia di cui dobbiamo vergognarci, né inorgoglirci. Le comunità locali, la Volkskirche, hanno domandato per prime istruzione, ovviamente avvolta in un guscio familistico e confessionale. Se il centralismo statale, sopravvenuto nell’Ottocento, è controllo e soffocamento, è anche impulso modernizzante; se l’autonomia è responsabilità e creatività, è anche rischio di localismo e disgregazione. Le tensioni irrisolte della scuola di massa, frutto di un tardivo e imperfetto stato sociale, con l’ingresso inoltre di bambini provenienti da altri paesi e da altre culture, spostano oggi ancora una volta il problema, sulla sfida di scoprirci "eguali" e "diversi".
La scrittura fu lo strumento tecnico, nella modernità, del disciplinamento unitario, imposto dallo Stato assoluto, liberale, totalitario. Nell’età postmoderna delle tecnologie informatiche e telematiche, la democrazia può forse tenere insieme i due poli, l’unità e il pluralismo, lo Stato, nazionale e sovranazionale, e le autonomie locali. Di questa antinomia non potremo mai liberarci.
Questa storia della scuola trentina ci insegna anche che non è solo importante quanto si trasmette, ma come. L’autonomia può essere un’occasione. Le indagini ci assicurano che la scuola elementare italiana regge il confronto con quelle dei paesi più progrediti, per aver saputo sperimentare, con fatica, una didattica fondata sulla "relazione", fra persone e fra discipline.
Scrive nell’introduzione Micaela Bertoldi, assessora all’istruzione del comune di Trento, che è soprattutto la scuola superiore chiamata adesso a rinnovarsi. E’ l’intera società che deve prenderne consapevolezza. I maestri trentini, riuniti a congresso a Rovereto nel 1898, si domandavano preoccupati: "Codesta società, che pur tanta cura pone nel miglioramento della vite, del baco da seta, delle razze cavalline e suine, con inqualificabile leggerezza ti piglia il candidato maestro, te lo ingozza frettolosamente, farraginosamente, come si fa d’un papero, poi gli butta fra le mani sessanta, ottanta fanciulli rozzi, ignoranti… e gli dice: to’, fanne degli uomini!"