“In questa parte estrema d’Italia…”
Quinto Antonelli, “In questa parte estrema d’Italia...” Nicolodi, Rovereto, pp.354, € 15.
"In questa parte estrema d’Italia..." è un’espressione di Clementino Vannetti (scrittore e uomo di cultura dei Settecento trentino, irredentista ante litteram), ma è anche il titolo di un grosso volume di Quinto Antonelli, uscito di recente presso l’editore Nicolodi di Rovereto.
E’ un titolo che, al primo impatto, lascia un po’ perplessi, dà subito da pensare, specie quando si passi ai sottotitolo, relegato in piccolo sulla sinistra della copertina: "Il Ginnasio Liceo di Rovereto (1672-1945)". A dominare il tutto, nella parte superiore campeggia la foto d’un gruppo di studenti seduti nei banchi, con gli occhi fissi all’obiettivo.
Direi che in questi tre elementi è realmente sintetizzato non solo il contenuto del libro, ma anche il punto di vista, lo spirito col quale l’autore ha affrontato, analizzato, strutturato il periodo di quasi tre secoli della storia scolastica, culturale e indirettamente sociale della città.
Col primo, è come se, oltre che al pubblico regionale, si rivolgesse agli studiosi, agli interessati di fuori, chiarendo che s’interessa dell’argomento specifico, ma avendo sempre presente il mondo di cui questo centro e il suo prestigio sono solo una parte. Il secondo e il terzo elemento servono sopra tutto a specificare apertamente di cosa si tratta.
Per averne un’idea più precisa basta scorrere l’indice. Abbiamo otto parti: "Tra Sei e Settecento. La scuola latina", "Tra Sette e Ottocento", "Un ginnasio austriaco, bavaro, italico", "Il primo Ottocento", "L’età delle riforme", "Il secondo Ottocento", "Tra Otto e Novecento", "La scuola redenta", "Il Fascismo, la guerra". S’aggiungono le ‘conclusioni’, ossia "Un indice ragionato per la storia del Liceo degli ultimi cinquant’anni", più un’appendice di Vittorio Carrara sulla "Storia di un mezzo d’istruzione/ Lehrmittel. La biblioteca ginnasiale dal 1850 al 1938".
Certo, per avere un quadro completo bisognerebbe poter citare i sottotitoli (molto significativi) di ogni capitolo. Un aiuto valido ci può comunque venire dalle caratteristiche dell’insieme. Antonelli, strenuo ricercatore, storico di livello, con al suo attivo un lungo elenco di pubblicazioni, ha esteso via via i suoi interessi e l’area delle sue indagini, per cui può assommare una scrupolosa, agguerrita documentazione (nel testo si traduce in frequenti, ben calibrate e orientate citazioni) a una visione ampia, viva del periodo storico preso in esame. Non è che, nel concreto, cali le vicende o i personaggi locali in un organico quadro generale (tra l’altro, diventerebbe molto pesante, se non impossibile), fa circolare come un’atmosfera, con dei lampi (basta alle volte una frase o un rimando preciso) che richiamano subito la storia generale di quel determinato momento.
Come accennavo all’inizio, il lettore sente che la voce dell’autore non si accontenta di raccontare o riferire la realtà a un uditorio locale, ma la amplia in modo da raggiungere l’interesse di altri, fuori dall’ambito circoscritto in cui il lavoro si muove. Legata a questa, si può rilevare un’altra caratteristica: la ricerca di concretezza e di umanità. Come dire che Antonelli non s’accontenta di produrre documenti, pezze d’appoggio, fatti, circostanze, persone, ma cerca in ogni modo di renderli vivi, quasi a trasformarli in un racconto. Ed è una tendenza che si va intensificando a mano a mano che si va dal Sei-Settecento (la mole dei documenti e delle testimonianze è molto meno ricca) all’Ottocento e sopra tutto al Novecento. Si veda, tanto per indicare, "L’ansia educativa di don Marini’’, oppure "Gli studenti e le zigherane"; o, per altro verso, i medaglioni dei presidi del ‘900, dall’Alberti a Zucchelli, da Baganzani a Tomazzoni.
Gli episodi e le figure si disegnano in maniera netta, viva, mantenendosi saldamente legati alla realtà, al di fuori o al di sopra di qualsiasi soggezione, lontanissimi da tentazioni agiografiche, alla ricerca della maggiore obiettività possibile, anche a costo (e succede spesso) di riportare in terra statuine messe in nicchia da certa tradizione.
Antonelli, che ferma il suo lavoro appunto al 1945, chiude l’ultimo breve capitolo (indicazioni, tracce, linee di ricerca per chi volesse affrontare la storia del liceo nella seconda metà del Novecento) con un auspicio: "Ecco, abbiamo accompagnato per un po’ il nostro ipotetico ricercatore...: camminerà da solo? e fin dove?".
Credo che non sarà facile trovarlo e che comunque l’augurio migliore sia quello di vedere Quinto stesso, che, con la sua solidissima preparazione, s’assume l’onere di quest’altra fatica. Lo auguriamo alla storia e alla cultura, sopra tutto del Trentino.