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“L’ha scritto la radio”

Gianni Isola, L'ha scritto la radio. Bruno Mondadori, Milano, pp. 420, £. 32.000.

Stiamo assistendo a un clamoroso ritorno della radio. "Medium discreto, riflessivo, raramente deformante ", la cui voce è paragonabile - ha scritto nel suo recente elogio Michele Serra - "a un invisibile fiume carsico che feconda in profondità il nostro territorio mentale, bombardato e inaridito in superficie dai botti e dai bagliori della tivù."

Durante il fascismo la radio è un ente di Stato, prima Uri nel 1924, poi dal 1928 la notissima Eiar, Ente italiano audizioni radiofoniche.

Sulla scia di Hitler che, neoeletto nel 1933, volle "una radio in ogni famiglia"', anche Mussolini, che per altro attribuì sempre un primato giornalistico ai quotidiani stampati, in ritardo e più modestamente, lanciò il programma "il villaggio deve avere la radio ", tanto che nel 1943, alla caduta del fascismo, gli abbonati superavano il milione e mezzo, prevalentemente fra i ceti medi del nord industrializzato.

Oggi ci stiamo interrogando se la televisione ha effetti politici immediati, o se l'influenza più duratura, positiva o negativa, è sulla mentalità della gente.

Rigidamente controllata dal governo fascista, la radio, "questo miracolo italiano", così chiamata da Giuseppe Bottai in lode di Guglielmo Marconi, fu certo strumento di propaganda, retorica e trionfalistica.

Ma la storia e i testi curati da Gianni Isola, docente di storia contemporanea all'Università di Trento, ci mostrano piuttosto la radio come "grande affabulatore nazionale": il consenso al regime venne costruito ispirandosi alla triade "educare, istruire, divertire".

Tra le due guerre mondiali - ha scritto Giovanni De Luna - "la radio fu l'assoluta protagonista": "il peso dell'intenzionalità è massicciamente presente in tutta la documentazione degli eventi politici, diplomatici e militari, per sfumare e diminuire progressivamente man mano che si passa alle zone grigie e indistinte della cronaca della quotidianità, dove i documenti radiofonici sono le classiche fonti che parlano 'malgrado se stesse'."

La rievocazione della marcia su Roma, i programmi in trincea durante la guerra di Spagna, o Roma bombardata dai "gangster" dell'aria, sono la diretta "voce del regime", trasmissioni infarcite di retorica e anche di falsità.

In un "Saluto ai feriti di guerra" (1941) Fulvio Palmieri racconta: "Abbiamo saputo di un ragazzo in gamba che ha perso la vista e ha detto solo questo: 'Sì, mi dispiace, perché poi come faccio a tornare in linea? Non ha detto: 'Mi dispiace perché non posso più vedere il sole, le belle ragazze'; ha detto solo: 'perché poi come faccio a tornare in linea! ' "

Ma più significativi sono i testi delle sezioni dedicate alla letteratura, all'arte, alla religione, alla donna, allo spettacolo leggero.

E ai bambini, ai giovani, alla suola. Durante il ventennio fu scuola di classe, organizzata per un'elite, perno dell'immobilità sociale, gerarchizzata, impregnata di un vuoto umanesimo avverso alla cultura scientifica, tanto che dagli Istituti tecnici non si poteva accedere all'Università. Doppie erano le tasse per le ragazze iscritte ai corsi superiori, molti corsi di laurea riservati ai maschi, proibito alle donne l'insegnamento delle " materie "importanti".

Come potè reggere una scuola così, piegata verso il basso, soffocata dalla funzione ideologica che j le era stata assegnata? Giuseppe ! Bottai, ministro dell'educazione nazionale, ripete alla radio nel '36 il programma scolastico di Mussolini: "Il Governo esige che la scuola s'ispiri alle idealità del fascismo, esige che la scuola non sia, non dico ostile, ma nemmeno I estranea al fascismo o agnostica di fronte al fascismo, a rinnovarsi col fascismo e a vivere nel clima storico creato dalla Rivoluzione fascista." Spiace non avere la cassetta per l'audizione: bastino il lessico imperativo, le iterazioni, le maiuscole, per comprendere il peso assegnato all' "educazione integrale del popolo".

C'è poco da ridere. Il totalitarismo non è solo terrore, è anche, soprattutto, ideologia. Il consenso ottenuto, e quindi la pericolosità, I anche nell'ambito scolastico, deriva dalla capacità di adattarsi alla I modernità alle condizioni del deserto: "Sotto i regimi totalitari soffriamo meno, e anzi perdiamo la I capacità di soffrire" - ci ricordai Hannah Arendt. Un progetto educativo forte, centrato sulla "novità", si rivolge ai giovani e li conquista: il fascismo è rivoluzione, il Duce è giovane e rinnovatore, il tempo è di rinascita. Si può anche "credere, obbedire, combattere" se così prepari il futuro: "Nella scuola con ubbidienza, disciplina, e con la mente rivolta al futuro. Nell'officina con ordine e tenacia, fra le fiamme ossidriche e le colate roventi, per forgiare armi vincitrici e cuocere con perizia il pane per le bocche da fuoco"- recita il pittore futurista trentino Fortunato Depero, quasi anticipando lo slogan "studenti e operai uniti nella lotta."

"Uno stile nuovo, tutto italiano, tutto d'oggi: giovinezza, spregiudicatezza, energia " - sono parole di Massimo Bontempelli.

"Bisogna sapere essere entusiasti coi giovani, ed esaltarne il senso dell'ottimismo, il fervore eroico della novità ". Quest'ultima frase è di Innocenze Cappa, ma ad essa si aggiungono quelle dei più noti Alfredo Casella e Salvator Gotta, Ada Negri e Vittorio Veltroni, Filippo Tommaso Marinetti e Achille Campanile.

"Sia per i ragazzi la scuola la prima iniziazione alla politica dell'Impero" (G. Bottai); "I giovani devono portare più avanti e più oltre la bandiera di una generazione che ha fatto una guerra vittoriosa e che ha compiuto una rivoluzione rinnovatrice" (Arnaldo Mussolini): in ascolto di fronte alla "scatola magica", ragazzi e ragazze irreggimentati in varie organizzazioni, hanno espresso consenso e provato entusiasmo. Nelle parole del direttore del Corriere della Sera, "due popoli giovani " sono definiti l'italiano e il tedesco, mentre in "disfacimento" è presentato l'impero coloniale britannico.

Rivolto ai giovani Pietro Mascagni associa nella stessa condanna "cocaina, bai tabarin e jazz band", e definisce "degradante" la musica non-italiana. Persino la difesa della razza è proposta come obiettivo da affidare a "la bellezza, la sanità, la eleganza, la intraprendenza, la genialità della nostra gioventù", in una trasmissione di Roberto Farinacci.

Si potrebbero citare anche i testi imperniati sul motto "Dio, Patria, Famiglia", con gli esempi, per le ragazze, "delle martiri cristiane, tutte modestia e dedizione, i più adatti - afferma Gianni Isola - a spingere la donna fascista verso un comportamento retta e rispettoso dell'autorità del marito".

I giovani furono modellati così per vent'anni. Eppure (miracolo anch'esso, almeno in parte, di Radio Londra e Radio Mosca, inutilmente proibite?) parecchi di questi giovani, nel momento decisivo, scelsero la Resistenza.

Rimane il problema: uno Stato non totalitario, ma democratico perché pluralista, ovviamente non dispone di un progetto di "educazione integrale" dei giovani, e quindi fortunatamente non prepara gli adolescenti alla guerra. Ma come rispondere oggi al bisogno di "missione combattiva", costitutivo della personalità giovanile? Lo Stato democratico è sempre cornice, la grigia democrazia appassiona meno dei totalitarismi, neri o rossi che siano: è solo il contesto in cui la società civile deve cercare le risposte anche a domande difficili come questa.

Alla "Radio rurale" nel 1934, Timoteo, un contadino efficiente e sprezzante, dice all'amico: "Una volta, ai tuoi tempi, le discussioni erano tutte di politica. Oggi si è venuti al sodo: si parla di letame. E i risultati si vedono."

Con la "voce pacata" della radio, noi ribattiamo a quell'agricoltore fascista che in campagna e a scuola, il "sodo" non è il letame, ma proprio la bistrattata, difficile, politica.

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