La tragedia del Cermis e le analogie con Stava
Si attendono i risarcimenti e chissà, forse giustizia. La vittima sacrificale, come già a Tesero, sarà comunque l'ambiente.
A tre mesi dalla tragedia del Cermis come si discute in Fiemme?
Non si discute, si sussurra o si attende. Chi si aspettava riflessioni più profonde sul ruolo delle Forze Armate e dell'Italia nella Nato rimarrà deluso.
Dopo un primo momento positivo nel quale sembrava che le amministrazioni comunali della valle facessero fronte comune, si ritorna alla normalità. Cavalese punta ad un ruolo notarile e contabile, gestito con intelligenza, ma teso unicamente ad ottenere un ritorno economico più cospicuo possibile.
Solo il Comune di Tesero invoca la costituzione di un collegio unitario di parti civili delle amministrazioni comunali e della Comunità di Fiemme.
La stessa presenza di un comitato di cittadini non deve illudere; generalmente un comitato nasce con l'obiettivo di alzare il tono politico delle richieste, per sopperire alle lacune delle istituzioni, per avvicinare e rispondere alle esigenze di sicurezza e giustizia delle popolazioni.
In questo caso si assiste alla sciocca contrapposizione del Comitato con le amministrazioni provinciale e comunale e ad una forte esigenza di visibilità dei dirigenti, probabilmente pressati dalla scadenza elettorale: la delusione è raffigurata nella richiesta più alta che viene avanzata: il processo ai piloti si tenga in Italia. Una richiesta non compresa dalla gente di Fiemme che, travolta da un semplicistico atteggiamento giustizialista, preferisce vedere i piloti processati negli Stati Uniti, in quanto certa di assistere ad un processo veloce e a condanne esemplari.
Altre riflessioni tese ad evitare che simili tragedie si ripetano vengono affrontate con superficialità: non si chiede chiarezza sulle responsabilità dei dirigenti della base americana né su quelle che coinvolgono i vertici militari dell'aeronautica italiana: sembra più efficace il lavoro del sostituto procuratore militare Sergio Dini.
L'aeronautica italiana è responsabile dell'omesso controllo e più probabilmente dell'aver accettato l'effettuazione di voli non regolari sia da parte degli aerei americani che italiani. E' scandaloso che le amministrazioni comunali di Cavalese e della Provincia non abbiano ancora tessuto i collegamenti con i comitati che da anni stanno lavorando per evitare che si ripetano le tragedie di Ustica, della Moby Prince, di Casalecchio sul Reno e altre ancora.
Il Comitato 3 febbraio non può disegnare questo progetto, in quanto guidato da persone che sollecitano solo diffidenza ed anche perché gli obiettivi politici sono proprio minimali, anche se sulla stampa risultano gridati. Piovono così le firme di Benetton, della Compagnoni e di politici nazionali, ma la popolazione della valle rimane latitante.
Sono solo i contenuti delle dichiarazioni di parte civile del Codacons, del Movimento Nonviolento e della CGIL, molto diverse fra loro, ma complementari, a richiamare sul tavolo del confronto la necessità di una politica estera più autonoma del nostro paese, a richiamare necessità di sicurezza e di rispetto verso le popolazioni civili.
Mentre sul fronte della ricerca delle responsabilità si vive questa pericolosa inerzia e superficialità, si lavora con intensità per ricostruire l'impianto e un'immagine turistica.
In un primo tempo sembrava che l'amministrazione comunale di Cavalese riuscisse ad imporre un disegno urbanistico complessivo nel rifacimento dell'impianto: tale invito è scritto in modo esplicito anche nel Piano Regolatore del Comune. Partendo dalla purtroppo avvenuta tragedia, oltre a ricostruire la struttura si poteva non solo offrire razionalità al sistema di mobilità della bassa valle di Fiemme, ma coinvolgere tutta la valle: si poteva dare dignità ali' ambito fluviale dell'Avisio e specialmente non incidere ulteriormente in un sistema boscato, quello dei versanti del Cermis, già oggi estremamente fragile.
Questa progettualità ha perso energia causa l'assenza delle amministrazioni comunali della valle, tutte racchiuse nel loro orticello e vince la proposta della società funiviaria: ricostruire l'impianto in tre tronchi, partendo da Cavalese per scendere al fondovalle. Con un secondo tratto che parte racchiuse fra la strada ed il torrente si risale all'intermedia, per poi portarsi su campi in quota permettendo la di scesa al fondovalle con il prolungamento della pista Olimpia.
Una scelta pesante, che avrà m forte impatto ambientale e urbanistico, che non risponde alle esigenze di razionalizzare la mobilità se non in modo parziale (il primo tratto da Cavalese), che avvierà la penetrazione urbanistica nel fondo valle lungo la strada di Fiemme (ricordate i timori degli ambientalisti a questo proposito e le grida di sindaci e assessori provincia mentre mettevano mani e famigliari sul fuoco promettendo che ci non sarebbe mai accaduto?), eh inciderà un'altra porzione di bosco nel tratto che da Salanzad porta al torrente.
Un'altra proposta era ancora più dirompente e trova i favori dei politici del Patt: evitare il primo tratto da Cavalese; al fondovalle, partire da Masi con la costruzione di un enorme parcheggio e salire all'intermedia con relativa pista di ritorno. Un disegno - questo - che risponde ad interessi diretti dei principali referenti del partito autonomista a Cavalese, interessi immobiliari.
Una terza proposta avrebbe ripercussioni meno forti sull'ambiente. Si tratterebbe di ampliare i parcheggi all'intermedia e quindi potenziare la viabilità ed evitare la costruzione dei primi due tratti. Ma la risposta ai problemi della viabilità, in questo caso, è debole; ma è debole specialmente perché non prevede grandi investimenti ed in troppi si aspettano dalla tragedia un forte ritorno di. fondi pubblici americani. Con questa aspettativa così radicata, si preferisce dare appoggio ai progetti più ambiziosi, senza chiedersi come coprire i costi di manutenzione che saranno necessari nel futuro.
Risulta impegnativo trovare una soluzione razionale all'arroccamento dell'area del Cermis, in quanto è la stessa dislocazione del bacino sciistico a risultare urbanisticamente infelice.
Dopo questo primo periodo trascorso dalla tragedia, un dato è certo: la popolazione e gli amministratori di Fiemme non hanno imparato nulla dalla tragedia di Stava, distante solo 13 anni.
Anche quella tragedia era stata causata dal comportamento arrogante dell'uomo contro l'ambiente, e nella ricostruzione ha visto l'uomo protagonista ancora più violento nel distruggere armonia, paesaggio, la valle intera.
A Stava i miliardi sono arrivati e si vedono tutti. Succederà anche per il Cermis e a quel punto probabilmente la richiesta della giustizia complessiva perderà mordente.
A Stava le responsabilità politiche degli amministratori comunali e provinciali erano state cancellate: per il Cermis, una volta condannati i piloti o forse il comandante della base di Aviano, chi avrà la forza e il coraggio di chiedere il divieto definitivo, in tutta Italia, delle esercitazioni di volo sulle aree urbanizzate?
Chi si farà portavoce presso il governo italiano della necessità di superare la logica di subalternità che ci vede genuflessi davanti alla potenza americana e ci impedisce di articolare nel Mediterraneo una politica estera matura che eviti i conflitti e favorisca scambi di fiducia, di dialogo, confronto serio e specialmente rispetto fra i diversi soggetti?
Chi avrà il coraggio di chiedere il blocco dell'impianto della base di Aviano? E specialmente, davanti alla tragedia, chi avrà voce per chiedere che i boschi del Cermis e il fondovalle di Fiemme vengano rispettati?
Sono queste le domande che attendono risposte chiare dalle amministrazioni comunali, dalla Provincia, dai comitati e da tutti i cittadini.