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Perché ti sei seduta qui?

Iran: essere arrestate a dieci anni perché vai in bicicletta, nuoti in piscina o giochi in cortile. e poi il velo, i matrimoni precoci, i diritti negati. Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Quando parliamo della condizione delle donne iraniane, non ci riferiamo solo alle questioni più note, come l’obbligo del velo o l’impossibilità di partecipare alla vita pubblica. Parliamo di una discriminazione radicata in ogni aspetto della vita. Il caso più evidente riguarda comunque il velo. Dal 1979, alle donne iraniane viene imposto di coprirsi i capelli in pubblico. Chi non rispetta questa regola può essere arrestata, multata o imprigionata. Inoltre, la cosiddetta polizia morale esercita un controllo costante sul modo in cui le donne si vestono e si comportano in pubblico. Per esempio, le donne sonoescluse da molti eventi sportivi, non possono assistere a partite di calcio. Poi ci sono sport vietati alle donne. Le piscine sono separate e quelle per le donne devono essere al chiuso. Se andiamo al mare, ci sono dei posti dove la profondità dell’acqua è controllata, non per il rischio di annegare, ma perché se vai più avanti, un uomo potrebbe vederti.

Ma forse la cosa più grave riguarda i matrimoni forzati e precoci: l’età minima legale per il matrimonio è di 13 anni per le ragazze, e anche prima in presenza del consenso paterno e giudiziario. Molte bambine vengono quindi costrette a sposarsi ancora minorenni, spesso con uomini molto più grandi. Questo porta a una condizione di sottomissione e privazione per molte giovani, che non possono completare l'istruzione e scegliere il proprio destino.

Poi c’è il divorzio, gravemente sbilanciato a favore degli uomini, che possono divorziare in qualsiasi momento e con facilità. Le donne, invece, devono affrontare lunghi processi legali e sono pochissime le motivazioni per chiederlo. Inoltre la custodia dei figli viene automaticamente assegnata al padre o alla sua famiglia. Il marito poi può decidere se la moglie potrà studiare o lavorare, addirittura se può uscire di casa, anche solo per andare a trovare i genitori.

Poi c’è il problema della violenza, enorme in Iran, dove le leggi offrono pochissima protezione alle vittime. Molte donne che subiscono abusi non possono facilmente separarsi o cercare giustizia. La polizia spesso ignora le denunce, e la società tende a colpevolizzarle. Lo stupro all’interno del matrimonio non è considerato un crimine e le donne non hanno il diritto di rifiutare il sesso col marito. Nei casi di stupro fuori dal matrimonio, poi, le vittime devono affrontare processi umilianti con poche probabilità di ottenere giustizia.

Una doppia vita

Al fondo, noi siamo una società allegra, ci piace festeggiare, ci basta uno schiocco di dita per iniziare a ballare. Per questo ci siamo inventati una doppia vita: a casa siamo in un modo e fuori in un altro. Forse avete visto i video con delle donne che scendono in strada senza velo. Ecco, dovete capire che loro, così facendo, rischiano la vita. Oggi c’è una generazione molto sveglia che vuole rompere questi limiti e riappropriarsi della propria vita.

In Iran la percentuale di donne che studiano è più alta di quella degli uomini, perché studiare è l’unica strada per fuggire. La mia è stata la famiglia migliore che potessi avere, eppure mio padre, da quando siamo nate, non ha fatto che ripetere a me e alle mie sorelle che dovevamo andarcene, scappare da questo regime. Aggiungi che non possiamo frequentare bar o discoteche. A scuola maschi e femmine sono separati. All’università siamo misti, ma fino a un certo punto. Ricordo il mio primo giorno dell’università: mi sono seduta in prima fila proprio davanti al professore e accanto a me c’era un ragazzo che non conoscevo. Subito mi hanno chiesto: “Perché ti sei seduta qui?” e mi hanno fatto spostare. Si dice che i corsi sono misti, ma poi i maschi si devono sedere da una parte e le femmine dall’altra.

Fortunatamente una nuova generazione di uomini ha capito che avere pari diritti è un bene per tutti. Il fatto che la donna debba stare in casa e che solo l’uomo debba lavorare, che non debba mai piangere… insomma questo sessismo fa male anche a loro. Ovviamente ci sono anche tanti che invece ne approfittano: una moglie che cucina, pulisce, che non ha neanche il diritto di uscire di casa senza il permesso del marito, beh, a molti va bene. Il diritto iraniano sancisce una discriminazione delle donne anche nelle questioni di eredità: ricevono metà della quota che spettetta a un uomo, anche se si tratta di ereditare dal padre o dal marito.

Nel lavorosono pagate molto meno e la loro presenza nel mercato del lavoro è ostacolata. Anche se sono qualificate, vengono spesso escluse dai ruoli di leadership. Possono essere licenziate se rimangono incinte o se le loro scelte personali non corrispondono alle aspettative di genere imposte dal regime. Per esempio, il lavoro che faccio oggi in Italia in Iran sarebbe proibito. Nel mio paese le donne al massimo possono fare le segretarie, lavori amministrativi o le infermiere. Fin dagli studi, sebbene le donne abbiano accesso all’istruzione superiore, ci sono restrizioni significative riguardo a quali materie possono studiare e quali ruoli svolgere. Alcuni corsi di laurea e specializzazioni sono praticamente inaccessibili.

Io amo il mio paese, ma non ci posso tornare finché è nelle mani di questo governo. E ho portato con me molti ricordi, non sempre positivi. Per esempio, non posso più nuotare. Quando ero piccola andavo in piscina col babbo, pensavano fossi un ragazzo perché tenevo i capelli corti. Ecco, non posso dimenticare il giorno che hanno capito che ero una ragazza e il trattamento che hanno riservato a mio padre. Da allora non sono più entrata in piscina: appena entro in acqua mi arrivano quei brutti ricordi. Per lo stesso motivo ho paura di andare in bicicletta. In Iran è vietato alle donne; mi hanno arrestato cinque o sei volte perché mi han visto pedalare.

Mio padre aveva messo un canestro nella nostra via. Quindi pensavo non solo di avere il diritto di giocare, ma addirittura di essere più titolata degli altri visto che ero sua figlia! Un giorno, avevo credo 10 anni e stavo giocando coi miei amici, quando si è presentata la polizia morale e mi ha portato via, senza neanche avvertire i miei; mi hanno spinto nella macchina e poi mi hanno fotografato come se fossi una criminale! Avevo 10 anni, non capivo cosa avessi fatto di male…

La repressione

Io sono fortunata. Stare lontana dalla famiglia è pesante, ma in confronto al prezzo pagato da chi in questa lotta ha perso la vita... Da tre anni non vedo mia madre. Mio padre è morto senza che potessi salutarlo. Purtroppo anche i miei stanno subendo le conseguenze di questa lotta: hanno bloccato la pensione e l’assicurazione della mamma; mio fratello, ingegnere meccanico impiegato nel settore petrolifero, ha perso il lavoro.

Ma la mia famiglia non si è mai tirata indietro dalle proteste. Sono stati loro a insegnarmi a lottare per quello che era giusto. Il governo paga delle spie che operano all’estero; esiste una sorta di lista nera e quando hanno revocato la pensione a mia madre abbiamo capito che c’ero finita pure io, anche se non sono un personaggio famoso. È per questo che non posso tornare in Iran: mi arresterebbero all’aeroporto. Cerchiamo comunque di stare in contatto: parlo con la mamma un paio di volte al mese, se internet va, facciamo delle videochiamate. Con gli amici ci sentiamo più di rado. C’è anche la paura di metterli in pericolo. I miei mi sostengono, dicendo che sono pronti a farsi carico delle conseguenze della mia scelta, comunque io chiedo sempre di cancellare i messaggi, perché potrebbero finire in prigione solo per aver comunicato con me.

Faezeh Afshan

La morte di Mahsa Amini ha portato in superficie tante ingiustizie, ma la brutalità non era certo cominciata nel 2022. Due anni prima il governo aveva ucciso 1.500 persone in soli tre giorni nel corso delle proteste contro l’aumento del prezzo del petrolio. Sono anni che le donne lottano per i loro diritti, al prezzo dell’incarcerazione, della tortura e anche della morte. Sono quarant’anni che il regime ogni giorno uccide dei dissidenti, mentre il mondo chiude gli occhi perché ha bisogno delle sue materie prime.

Il regime tenta di dare l’illusione che le donne iraniane abbiano raggiunto una certa emancipazione, mostrando casi isolati di donne in posizioni di rilievo, ma questi casi rappresentano una piccolissima parte della realtà. La maggior parte delle donne continua a essere vittima di un sistema profondamente patriarcale. Le donne iraniane non possono lasciare il paese senza il permesso scritto del marito o del padre e anche per viaggiare all’interno dell’Iran devono ottenere l’approvazione di un parente maschio. Non possono nemmeno registrarsi in un hotel senza avere la prova legale di conferma del padre o del marito. Per dire, il mio passaporto, per essere valido, doveva avere la firma del babbo; se fossi stata sposata, sarebbe servita l’approvazione di mio marito. Anche per viaggi brevi, se volevo spostarmi, dovevo andare alla polizia e compilare un modulo che poi mio padre doveva firmare.

Perché il regime resiste?

Dopo le manifestazioni del 2022 si è aperta qualche crepa: non nel regime, ma tra le persone. Esiste un punto massimo di tensione, oltre il quale c’è la rottura. Il popolo iraniano è arrivato a questo punto. A lungo la gente ha temuto per la propria vita, ma sempre più persone hanno cominciato a interrogarsi sul senso di questa esistenza, a pensare: se protesto rischio la vita, ma è vita questa? Così ogni giorno tante donne decidono di uscire senza il velo. Secondo me negli ultimi 2-3 anni nel popolo è successo qualcosa; sempre più persone pensano: adesso basta, voglio vivere la mia vita, anche a costo di perderla.

Perché il regime resiste? Il regime lavora molto sulla formazione, sulle scuole, per indottrinare le persone. E poi c’è la questione economica. Se gran parte delle tue energie è investita nel cercare di arrivare a fine mese, la lotta per i diritti passa in secondo piano. Molti giovani sono attratti e motivati dai soldi, perché sono pagati bene; tanti vengono da famiglie molto povere.

Inoltre la maggior parte degli iraniani conosce solo questa vita, non ha viaggiato, non ha visto il resto del mondo. In molte donne che non sono venute a contatto con altre opzioni il fatto di non dover lavorare è apprezzato.

Da noi anche i social media sono sottoposti a censura. Twitter, Facebook, Instagram, ecc., sono filtrati, quindi devi usare una rete privata virtuale. In certi periodi viene interrotta l’intera rete, e non va neanche Google. Ora, se tu hai accesso ad altre fonti, puoi verificare le notizie, ma i più non hanno questa opportunità e quindi credono a quello che viene loro raccontato.

Ma le donne iraniane non sono solo vittime, ma anche guerriere e sono state protagoniste di numerosi movimenti di protesta, come quello contro l’obbligo del velo, il “Movimento delle donne in bianco” e altre campagne per i diritti civili. Molte sono oggi in carcere.

Uno dei principali responsabili di questa violenza è il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, che gioca un ruolo diretto negli arresti, negli interrogatori e nelle esecuzioni, mantenendo il potere del regime attraverso la paura, e nonostante le sanzioni internazionali la loro repressione continua. Per questo è importante chiedere azioni incisive e monitorare la situazione dei prigionieri politici e delle loro famiglie, facendo pressioni internazionali per la loro liberazione.

Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far sentire queste richieste. I governi agiscono quando le persone li spingono a farlo. Insieme, possiamo inviare un messaggio: le violazioni dei diritti umani non saranno ignorate e il popolo iraniano non è solo in questa lotta per la giustizia.

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Faezeh Afshan, iraniana, vive e lavora in Italia. È impegnata nella lotta per i diritti delle donne e dei democratici iraniani.

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