Occupazione: la fuga dal pubblico
Il posto di lavoro pubblico non è più appetibile. Questo emerge leggendo quanto sta accadendo nelle valli dell’Avisio. Lo dimostrano gli esisti dei concorsi pubblici per assunzioni nelle case di riposo e nelle biblioteche.
Per la casa di riposo di Predazzo il bando di concorso è andato deserto. Si può anche comprendere: si tratta di un lavoro pesante, di grande responsabilità, uno stipendio umiliante. Ma che ben quattro giovani rifiutino il lavoro presso la biblioteca di Tesero sembra impossibile. Eppure è accaduto.
Tempo fa lavorare nel pubblico era un obiettivo che dava sicurezza, certezze, un obiettivo di qualità. Perché oggi non è più così?
Nel passato il posto di lavoro pubblico era visto come un privilegio. Le categorie economiche delle partite IVA avevano impostato una guerra contro i dipendenti pubblici, una guerra che specie nelle valli portava i suoi frutti. Chi brandiva questa bandiera in campagna elettorale veniva premiato. Si trattava, si tratta per lo più albergatori, commercianti, quelli della denuncia dei redditi “leggera”.
Poi sono arrivati i governi tecnici, che in nome del liberismo si sono accaniti contro i dipendenti pubblici. In ogni settore si doveva offrire lavoro al privato: appalti piccoli e grandi, perfino nelle segreterie delle università, e oggi nella sanità. Comuni, ministeri, vedevano le squadre di operai e gli uffici ridotti ai minimi termini, ogni lavoro veniva appaltato. Anche i governi di centrosinistra hanno sostenuto questa deriva.
Poi si è arrivati alle genialate di Renato Brunetta. Da ministro affermava perentorio: via dagli enti pubblici furbetti e fannulloni, evviva il merito. Senza ricordarsi che nel 2011 lui era stato licenziato dal Comune di Venezia perché assenteista. E che oggi, in piena guerra al reddito di cittadinanza, si è fatto dare il doppio stipendio da pensionato e da Presidente del CNEL, un ente che lui stesso poco prima intendeva abolire.
Perché dunque questa diffusa fuga dal lavoro pubblico? Nelle valli turistiche una prima spiegazione è semplice: gli affitti degli alloggi per chi vince i concorsi venendo da fuori sono insostenibili in presenza di stipendi sempre più miseri. Ma si fugge anche dalla Provincia. Perché?
Perché la crisi identitaria del lavoro pubblico è imperante. Si viene chiusi in una situazione di repressione, dove il libero pensiero e l’iniziativa del singolo vengono umiliate (vedasi Azienda sanitaria, capofila storico di questo divenire). Perché non c’è nemmeno più personale che riesca a seguire la qualità dei lavori nei cantieri appaltati. Perché il dipendente è divenuto la protesi della volontà del politico di turno, viene privato di libera iniziativa, di possibilità di proposta, di azione correttiva della macchina amministrativa.
Un soprammobile che deve tacere e specialmente servire.