Il blog di Bassi, un salvagente in un mare di dati
Dall’illusione del Trentino isola felice, all’inefficienza dei 21 indicatori ministeriali. Dalle falle nella comunicazione dei dati all’importanza dei vaccini. L’opinione del professor Davide Bassi.
Fisico di formazione ora in pensione, ex rettore dell’Università di Trento, il prof. Davide Bassi ha messo al servizio del pubblico le sue competenze esaminando i numeri della pandemia in corso, in Italia e in Trentino, con sporadici sguardi al resto del mondo. Nel suo blog “I numeri ai tempi del coronavirus” fornisce quotidianamente approfondimenti basati sui dati più recenti per aiutare a fare chiarezza e a interpretare correttamente le informazioni fornite dalle istituzioni. Senza risparmiare giudizi severi e sottolineare le criticità nella gestione politica, locale e nazionale, dell’emergenza.
Professore, lei è un fisico sperimentale. Che analogie ci sono fra il suo lavoro e l’attività di analisi che svolge sul suo blog?
Gli strumenti di analisi dei dati, che si tratti di atomi o di una pandemia, sono sempre gli stessi. Si applicano gli stessi modelli statistici per cercare non solo di descrivere il passato, ma per capire se e quando è possibile fare previsioni. Con una differenza fondamentale. Nel mio laboratorio di fisica posso controllare i parametri dell’esperimento e ripeterlo finché non ottengo la precisione necessaria. Nell’epidemia non è così: bisogna basarsi unicamente sui dati raccolti in un determinato periodo, che sono soggetti naturalmente ad errori, ma anche a manipolazioni.
Manipolazioni?
Il dato dell’epidemia ha una rilevanza politica, economica e sociale, e dopo una prima fase iniziale che ha colto tutti di sorpresa sono iniziate le manipolazioni più o meno sofisticate e intenzionali, volte a edulcorare o esasperare la situazione a seconda della convenienza. Ma non esiste una manovella del tempo che mi permetta di tornare indietro e ripetere l’analisi con maggiore accuratezza. Per questo è importante non fidarsi di nessun dato e effettuare controlli di consistenza.
Cosa la ha spinta a creare il blog?
Quando ai primi di marzo scorso la situazione è esplosa è stato il classico effetto tsunami. Guardavo i dati riportati sui giornali e avendo lavorato con i dati tutta una vita, ho sviluppato un certo colpo d’occhio. Mi è risultato subito evidente che le informazioni erano malmesse. Ormai è come vedere un quadro su cui è stato fatto un graffio. Non so dove sono fallaci questi dati, ma capisco che lo sono, è l’esperienza.
Dunque come ha agito?
Tutto è iniziato con un articolo su un giornale locale all’inizio di marzo, in cui ho cercato di mettere un po’ d’ordine tra le poche informazioni disponibili. Un amico mi ha suggerito di estendere l’iniziativa e di far nascere un blog. Sono partito illudendomi, come tanti, che la cosa si sarebbe esaurita nell’arco di pochi mesi. Contemporaneamente, guardando ai primi numeri dei contagi in provincia, mi ero accorto che la velocità di crescita dei contagi nel Trentino era molto più alta che nel vicino Veneto. Ho contattato un alto dirigente provinciale, segnalandogli la mia iniziativa e offrendo di mettermi a disposizione per approfondire l’analisi dei dati provinciali. Mi è stato risposto che non serviva, perché il governo provinciale già disponeva di ottimi analisti e così mi sono concentrato sul mio blog, cercando di capire e di aiutare a far capire quale fosse l’effettiva evoluzione della pandemia.
Quali sono le maggiori problematiche nella comunicazione istituzionale e mediatica dei dati dell’emergenza?
Ci sono tre principali criticità nella comunicazione dei dati. L’errore più grosso è la troppa enfasi posta sui dati del giorno, che per una serie di motivi sono sempre poco affidabili. In particolare, possono esserci larghe fluttuazioni che mascherano il reale andamento della pandemia. Ad esempio il lunedì i dati appaiono sempre confortanti, ma questo è dovuto al fatto che si rifanno alla domenica in cui vengono trattati solo i casi più gravi, mentre i picchi dei contagi emergono a metà settimana. Andrebbero fatte analisi su una tempistica più idonea, quella settimanale, ad esempio, credo sia ottimale.
Il secondo errore è quello per cui non viene fatto capire il ritardo temporale fra causa ed effetto. I sintomi dei contagi hanno un tempo mediano nel manifestarsi pari a 5 giorni, ma possono arrivare anche a 14. I decessi arrivano con un ritardo tipico di un mese rispetto al momento del contagio. Qualsiasi azione io faccia per contenere l’epidemia non produce effetti significativi prima di almeno un paio di settimane. Non tenere conto di questi elementi genera un senso di impazienza e sfiducia. Il terzo errore è la strumentalizzazione politica.
E da questo punto di vista è stato molto severo anche nei confronti dell’amministrazione Fugatti...
Il Trentino continua a rimanere zona gialla, nonostante una situazione molto grave. C’è stata un’interpretazione borderline delle norme da quando sono entrati nel quadro i tamponi rapidi. Seppur strumento imperfetto, con le persone sintomatiche con forte carica virale hanno un alto grado di affidabilità. La regione ha un’orografia complessa, e per questo i tamponi rapidi sono uno strumento molto utile, che il Trentino ha utilizzato in maniera massiccia. La legge richiedeva fino all’inizio di gennaio che chi risultasse positivo al tampone rapido venisse tempestivamente confermato con il tampone molecolare. Il Trentino però ha allungato i tempi fra i due tamponi di 10/15 giorni.
E questo cosa ha implicato?
Molta gente in questo lasso di tempo tornava negativa, e siccome nelle statistiche contava solo il risultato del molecolare, queste persone sparivano dal conteggio. In questo modo, un numero di cui non dispongo perché segretato, ma si suppone dell’ordine di grandezza di almeno diecimila contagi, è sparito dai conteggi, rendendo illusoriamente il Trentino un’isola felice, quando in realtà la situazione è molto più grave.
Lei ha anche espresso perplessità sui 21 indicatori tramite i quali si valuta lo stato di emergenza di una regione. Cosa non la convince?
Ci sono troppi parametri, molti dei quali inutili. Inoltre si basano sui dati forniti dalle regioni: è un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono. L’Istituto Superiore di Sanità non fa controlli di consistenza sui dati che riceve. Eppure sarebbe facile: ad esempio, il Trentino risulta da molte settimane ai vertici nazionali per ricoveri ospedalieri e decessi, ma contemporaneamente dichiara un livello di nuovi contagi settimanali tra i più bassi d’Italia. Basterebbero cinque o sei indicatori, fra cui il reale grado di occupazione degli ospedali, e mi riferisco non solo al numero di letti, ma alla effettiva disponibilità di medici e infermieri. E controlli di consistenza dei dati forniti dalle regioni. Perché l’Istituto Superiore di Sanità non li effettua? Incompetenza? Negligenza? Scelta politica?Non ho risposte, ma è un dato di fatto che le cose stiano così. Inoltre viene data estrema rilevanza a un dato che ritengo sostanzialmente inutile, l’indice Rt stimato su base regionale.
Può spiegarsi?
L’indice Rt, quando è maggiore di 1, indica la tendenza dei contagi ad aumentare, quando minore a diminuire. Ma è un dato che fotografa la situazione dei giorni precedenti e non ha alcun valore predittivo. Non mi dice nulla su quanto avverrà fra due settimane. Inoltre, la sua stima, dal punto di vista statistico, è accurata se il calcolo è effettuato su un ampio campione di popolazione. Può aver senso per la Lombardia, ad esempio, con i suoi dieci milioni di abitanti, ma su una regione come la Valle D’Aosta le fluttuazioni statistiche rendono il reale valore dell’indice largamente indeterminato. Inoltre la sua stima è facilmente alterabile ritardando la comunicazione dei dati del contagio.