Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 9, settembre 2019 Servizi

Vaia: impreparati e inefficienti

Mentre in Alto Adige si è lavorato sodo, il Trentino è pesantemente indietro nel riparare i danni della tempesta. Peggio di noi, solo il Veneto.

Sconvolgente. Tale è stata la tempesta Vaia che si è abbattuta tra il 28 e il 30 ottobre 2019. È sempre più evidente che per ripristinare i danni provocati da quei giorni di vento e pioggia si impiegheranno anni: almeno tre per rimuovere gran parte del legname schiantato, altri ancora per curare le profonde ferite lasciate sui versanti erosi dalle acque, smottamenti franosi, messa in sicurezza del territorio.

Certo, eravamo tutti impreparati ad affrontare le conseguenze di un fenomeno unico nella storia delle Alpi del sud. Ma eravamo anche convinti che grazie all’autonomia, alla diffusione del volontariato, il Trentino disponesse di una amministrazione e di una classe politica efficiente. Sembra che le cose non stiano proprio così, anzi.

Non proponiamo confronti con il bellunese, terra volutamente dimenticata dal Veneto leghista, provincia che non riesce proprio a rialzarsi nonostante l’impegno quasi eroico profuso da tanti sindaci. Guardiamo invece alla vicina provincia di Bolzano. Il 70% del legname schiantato è già stato rimosso e venduto, parliamo di un milione di metri cubi. Con il 2020 inizierà la cura del territorio, dove necessario la piantumazione, altrove si lascerà che sia la rinnovazione naturale a essere protagonista della rinascita dei boschi.

In Trentino, ben che vada, si sarà recuperato il 20% degli schianti, circa 600.000 metri cubi su un totale di 3 milioni e 600 rimasti a terra. In troppi comuni lotti importanti, vasti, sono ancora da appaltare.

Perché una simile differenza di risultati? Probabilmente perché in Trentino la declamata Commissione schianti impone, più che il recupero del legname, la costruzione di nuove strade, imponenti, alcune di queste inutili vista la diffusione delle teleferiche. Strade che penetrano versanti fragili, strade larghe oltre 3 metri (in violazione delle normative urbanistiche), strade che si insinuano anche in zone che dovrebbero rimanere tutelate, strade che sfregiano paesaggi.

Ma i ritardi sono anche dovuti alla Camera di Commercio, che ha imposto una rigida burocrazia nel varo degli appalti boschivi, tolto autonomia decisionale ai comuni e alle ASUC. Ritardi anche dovuti al fatto che in Trentino, invece di sostenere gli enti pubblici con fondi diretti, come accaduto a Bolzano, si è accentuata la burocrazia, si sono imbrigliate le volontà dei sindaci, si è dato tutto in mano all’ingegnere di Metroland, si sono emarginati i custodi forestali, ormai gli unici soggetti che conoscono i segreti più intimi delle foreste trentine. Solo la Magnifica Comunità di Fiemme, che ha già raccolto oltre 110.000 mc di legname - e alcuni comuni della Valsugana - sono riusciti a sfuggire alle manette della burocrazia provinciale.

Sembra che in Provincia e presso la Camera di commercio, imponendo una simile lentezza negli appalti, abbiano voluto evitare le speculazioni del mercato, con un eccessivo deprezzamento della vendita del legname. Operazione miseramente fallita: causa il ritardo degli appalti, oggi si svende a un quarto del valore antecedente la tempesta (il prezzo del macchiatico è passato dai 60 euro il mc. a 15, quando va bene).

Le conseguenze di tale diffusa lentezza lo vedremo nelle foreste rimaste in piedi nel 2020, da giugno in poi, quando centinaia di ettari di foreste che hanno resistito al vento saranno coperte da piante secche, assalite dal bostrico, il parassita delle conifere che non perdona quando sul terreno vengono lasciate deperire quantità tanto ingenti di materia legnosa.

Il ritardo nel recupero della massa legnosa schiantata comporterà anche il rallentamento della messa in sicurezza dei versanti a rischio frane o valanghe. Nel frattempo non si discute nemmeno di potenziare il personale di vigilanza (le stazioni forestali stanno sopravvivendo con il personale ridotto al lumicino), non si discute di potenziare gli operai stagionali che dovranno, anche nel 2020, sicuramente fino al 2025, lavorare nella cura dei versanti feriti con rimboschimenti e rifacimento dei sentieri, con la manutenzione straordinaria e ordinaria della viabilità forestale, con il controllo, giorno dopo giorno, del territorio.

La soluzione esplosiva

Nel Veneto invece si lavora di fantasia. Un gruppo di ingegneri, indispettiti dal disordine dei versanti e dall’emergere di migliaia di disordinate ceppaie, hanno pensato di proporre l’uso dell’esplosivo per “fare ordine e mettere in sicurezza foreste e ripidi versanti”. A loro dire bastano 20-50 grammi di esplosivo e una spoletta per ogni ceppaia per disintegrare quanto disturba la vista dell’ospite.

Certo, visto che le ceppaie rimosse finiscono nella categoria dei rifiuti speciali, laddove è necessario rimuoverle per fare posto a opere di sicurezza, reti di trattenimento massi e paravalanghe, i costi sono incredibili. Su piccole superfici probabilmente l’uso dell’esplosivo può essere una soluzione, ma nel caso di dover rimuovere qualche decina, un centinaio di ceppaie. Ma se, come in Veneto, si parla di “polverizzare” le piante schiantate, siamo alla follia. Nove milioni di mc di schianti delle Dolomiti significano quasi 14 milioni di ceppaie. Quali i costi di una simile operazione che necessita di personale altamente specializzato? E quali i danni ambientali su superfici intonse e fragili? Quali i danni alla microfauna, alla flora batterica, all’insediamento della rinnovazione naturale sui versanti sconvolti? L’eccesso di specializzazione di determinate figure tecniche non le porta a porsi il problema della complessità del suolo e del soprassuolo forestale. Quel che conta è aprire un nuovo percorso per fare business.

Ci pensa la natura?

Altri ancora, pochi per la verità, propongono di lasciare fermo tutto. Affermano che la natura abbia la forza per rimarginare ogni ferita e agendo da sola lo farà con più forza, risolverà anche i problemi di sicurezza. A loro dire il legname, tutto, va lasciato a terra: impedirà il formarsi di frane, fermerà la caduta di sassi e perfino eventi valanghivi. Pur rimanendo convinti che la natura per rigenerare queste superfici non abbia bisogno dell’uomo, è doveroso porsi anche problemi di sostenibilità economica e di una nuova gestione delle future foreste alpine.

Perché dobbiamo far marcire un simile capitale di legname? Perché permettere ai parassiti di diffondersi e infliggere ulteriori danni al patrimonio forestale? Possibile non esista un percorso di mediazione, intelligente e virtuoso, rispettoso degli ambienti naturali, delle esigenze anche produttive di una foresta, che si inserisca fra le proposte estreme dei bombaroli e quelle dei naturalisti puri?

Le emergenze che la tempesta Vaia ci sta ponendo, l’emergere di proposte anche impraticabili, la lentezza dell’agire dei nostri enti pubblici nel recupero del legname confermano un solo dato: tutti eravamo impreparati nell’affrontare un simile evento. Da questa unica certezza dovremmo ripartire. Riusciremo, in modo collettivo, a imparare qualcosa e a interagire nei confronti degli alpeggi e delle foreste alpine in modo diverso dal passato, in modo più naturale, sminuendo le attenzioni solo economicistiche?