“Ancora un giorno”
di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, un film bello e “antico”
In assenza di una programmazione organica di film di contenuto in città, si deve stare quotidianamente attenti alle uscite nelle sale commerciali, per non farsi cogliere impreparati da qualche proposta interessante ma estemporanea. Soprattutto quando queste uscite avvengono, secondo la nuova tendenza, per una sera e basta. Una sera evento.
Io resto sempre dell’idea che il cinema è arte popolare e quindi gli eventi vanno lasciati alle prime della Scala e al loro pubblico d’élite, mentre i film meriterebbero filtri e organismi di selezione qualificati per proposte su più giorni di programmazione, magari con diversi orari. Però è vero che poi col giorno singolo si riempie la sala, con grande gioia degli esercenti e un certo sbattimento dell’utenza. Così è successo anche per “Ancora un giorno” diretto da Raúl de la Fuente e Damian Nenow, un documentarista e un regista di film d’animazione che hanno trasposto in immagini animate il libro “Another day of life” del reporter polacco Ryszard Kapu?ci?ski.
Nel 1975, in piena Guerra Fredda, i portoghesi lasciano l’Angola spaccata in due fra i sostenitori dell’MPLA, il movimento di liberazione marxista-leninista, e quelli dell’UNITA, sostenuti dagli Stati Uniti. Scoppia una guerra civile che presto si allarga a conflitto internazionale con truppe cubane da una parte e sudafricane dall’altra. Ryszard Kapu?ci?ski, giornalista, è lì, e dalla “confusão” di Luanda tenta di raggiungere il fronte meridionale, dove il generale Farrusco, con pochi guerriglieri, si sta opponendo all’avanzata di un vero e proprio esercito.
Non conosco il libro, ma il film, ancor più che racconto dei fatti, pare una carrellata di personaggi: il cauto responsabile politico dell’MPLA a Luanda, il collega giornalista che lo accompagna fino a un certo punto della missione, l’idealista guerrigliera Carlota, il rude e coraggioso Farrusco. I fatti e i loro sviluppi restano sullo sfondo, per un finale in cui si pone un dilemma deontologico interessante per un giornalista: raccontare i retroscena dei fatti nonostante il rischio di scatenare ancor più il coinvolgimento di forze internazionali, o tacere un’informazione per favorire la parte politica che si predilige nel conflitto?
Così come sono ritratti secondo uno sguardo e la relazione personale i vari personaggi, così è personale la scelta finale. E forse è questo il tema centrale del film: non esiste l’obiettività nel giornalista, perché quanto più egli si avvicina alle realtà, ai luoghi, ai protagonisti e agli avvenimenti, tanto più questi risultano parziali e di parte condizionando e imponendo inevitabilmente delle scelte non obbiettive (e fanculo a Montanelli…).
Un film bello quanto antico, e non saprei dire se proprio per questo anche moderno. Antichi sono il testo, i personaggi, i principi, gli ideali, le vicende, le posizioni politiche e deontologiche, il coraggio e la spregiudicatezza. Antico è il mondo in cui, ad esempio, una guerrigliera combatte in nome di un ideale come l’istruzione libera e gratuita, come principio per l’emancipazione e il futuro di un popolo e di un Paese.
Quanto interessa e incide un tale esempio sulla nostra contemporaneità, fatta di scuola pubblica garantita con un’assurda e ignorante dispersione scolastica?
Antico è anche lo stile grafico realizzato con l’interpolated rotoscoping, una tecnica di animazione utilizzata per creare un cartone animato in cui il disegnatore ricalca le scene a partire da una pellicola filmata in precedenza. Il risultato è un incrocio tra i colori degli albi Classici Audacia degli anni Sessanta ed il tratto grafico dell’Hugo Pratt delle avventure africane, con immagini e sequenze riuscite ed emozionanti. Almeno per un vecchio giovanotto come me: antico, ma non sorpassato.