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QT n. 3, marzo 2019 Servizi

Ciao, Lavarone

Le migranti nigeriane costrette a lasciare l’altopiano, un effetto perverso del Decreto Sicurezza

La casa “Suore Elisabettine” presso cui sono ospitate le ragazze

Il tema delle ragazze nigeriane presenti a Lavarone ha recentemente avuto particolare risalto sulla stampa trentina. Ritenendo interessante approfondire la questione siamo saliti sull’altopiano dove abbiamo incontrato il sindaco Isacco Corradi. Con lui siamo entrati subito nel vivo della questione, chiedendogli come la comunità abbia reagito alla decisione di interrompere il progetto di accoglienza iniziato due anni fa.

Nonostante la giovane età, il primo cittadino sembra avere le idee molto chiare, avendo vissuto fin dall’inizio l’intera vicenda. Per lui non ci sono dubbi: la presenza delle ospiti non ha creato particolari disagi e anche coloro che inizialmente erano più scettici si sono dovuti ricredere; C’è addirittura chi non vorrebbe che le ragazze venissero allontanate, visto che alcune di loro sono impiegate presso delle strutture della zona. Di questo abbiamo avuto successivamente conferma, incontrando alcuni degli albergatori che hanno dato loro lavoro. Certo c’è anche chi non la pensa così e che non si strappa le vesti per l’allontanamento, ma questo è assolutamente normale in una comunità che si è vista imporre dall’alto una presenza piuttosto complessa da gestire. Secondo il sindaco queste persone si sono convinte, col tempo, che le loro preoccupazioni fossero eccessive, grazie anche al buon comportamento tenuto nel tempo dalle ospiti straniere, ma questo non è bastato a far loro cambiare la percezione sul fenomeno dell’immigrazione.

Continuando la chiacchierata con il Sindaco abbiamo appreso che la decisione di chiudere il centro di accoglienza ha motivi prettamente economici: “È conseguenza diretta dell’applicazione da parte della giunta Fugatti del decreto sicurezza di Salvini, che abbassa significativamente la spesa per l’accoglienza”. Con questi tagli ha dovuto fare i conti il Cinformi (che si occupa di assistenza ai richiedenti asilo presenti sul nostro territorio), che si è trovato in difficoltà visti i costi della struttura e degli operatori indispensabili al buon esito del progetto.

Su entrambi questi aspetti tanto Cinformi quanto il Comune di Lavarone hanno provato senza successo a trovare delle soluzioni alternative. Particolarmente problematico (stando anche alle cifre che si leggono sui giornali) appare il costo dell’affitto della casa “Suore Elisabettine” presso cui sono ospitate le ragazze. La più ovvia delle soluzioni sarebbe stata fin dall’inizio quella di ottenere un affitto più ragionevole e in linea con la realtà locale. Ottenere ora questo sconto risolverebbe solo parzialmente il problema: mancherebbero comunque le risorse per pagare gli operatori, a meno che non si riduca il numero delle ospiti, allontanando solo quelle arrivate da meno tempo e non ancora inserite nel tessuto produttivo: questo avrebbe come conseguenza anche la riduzione del numero di operatori necessari a garantire l’assistenza sulle ventiquattro ore.

Delle conseguenze di tutto ciò il Sindaco si rammarica: a fronte di costi che non sono a carico del Comune, lo stesso ci rimette l’introito dell’Imu per l’affitto della casa delle suore (da cui prima erano esentate in quanto luogo di culto) e la comunità vedrà ridursi alcuni posti di lavoro di personale locale impiegato da Cinformi ed altri benefici indotti derivanti dalla presenza delle richiedenti asilo sul territorio dell’altopiano.

A questo punto è necessario fare una considerazione ulteriore: essendo ormai passati quasi due anni da quando le prime ospiti sono giunte a Lavarone ed avendo una parte di loro trovato un lavoro che gli potrebbe garantire una certa stabilità economica, nulla vieterebbe che le stesse si rendessero indipendenti dal punto di vista abitativo affittando uno o più appartamenti. Peccato che questa soluzione, per quanto ovvia possa sembrare, non sia praticabile a causa dell’assurda lentezza con cui sono processate le pratiche di richiesta di asilo: a nessuna di loro è infatti ancora concesso di risiedere fuori dai centri di accoglienza, non avendo ancora ottenuto i documenti necessari.

In chiusura ci preme affrontare il problema più generale dell’effettiva integrazione dei migranti. A nostro avviso si parla spesso a sproposito di integrazione: infatti se è vero che in una certa misura è necessaria un’interazione sociale per una civile convivenza, è altrettanto vero che per integrazione non si può intendere una totale rinuncia ai propri usi, costumi ed abitudini.

Una comunità è sana quando lo sforzo per arrivare a questa convivenza è compiuto sia dai residenti originari che dai nuovi arrivati. Quello di Lavarone, da questo punto di vista, poteva essere un esperimento felice, e non può esserci che rammarico nel vedere il progetto interrotto proprio quando stava iniziando a dare i suoi primi frutti.