Il coraggio di se stessi
I problemi che le persone transessuali devono affrontare ogni giorno, il quadro giuridico italiano e le tutele negli istituti universitari
La disforia di genere è un malessere che la persona prova quando non si identifica nel suo genere biologico; le persone transessuali, a causa della disforia di genere, decidono spesso di ricorrere a terapie ormonali e operazioni chirurgiche perché il loro aspetto fisico possa corrispondere con l’identità di genere a cui sentono di appartenere. In Italia si stima che la popolazione transgender corrisponda ad una percentuale della popolazione tra lo 0,3 e l’1,4%, che aumenta nelle fasce più giovani della società.
In Italia esiste un preciso percorso medico e legale per le persone transessuali, ma ognuno vive la propria condizione in maniera diversa. Si possono comunque identificare quattro principali fasi che permettono all’individuo di ottenere un aspetto fisico e un profilo legale che rispecchino la sua identità di genere: la transizione sociale, psicologica, fisica e legale.
Il primo passo è il “coming out”, in cui si rivela alla famiglia e agli amici di essere transessuali, spiegando la propria condizione, le paure e le speranze per il futuro. Dopo essersi aperti con i propri cari, i ragazz* (ragazzi e ragazze, n.d.r.) si rivolgono solitamente alle associazioni come il MIT (Movimento Identità Transessuale) di Bologna o il SAT (Servizio di Accoglienza Trans/Transgender) di Verona e Padova, perché il sistema sanitario italiano non copre i servizi richiesti per iniziare la transizione e, visti gli alti costi, le organizzazioni forniscono un supporto economico e rappresentano un luogo dove ricevere le informazioni e il supporto legale necessari.
È importante sottolineare che queste associazioni non forniscono solo agevolazioni economiche ma, tramite una serie di convenzioni con esperti legali e personale medico, seguono i ragazz* in ogni fase della transizione.
Per poter intraprendere qualsiasi cambiamento, è prima necessario sottoporsi ad una serie di sedute presso uno psicologo o uno psicoterapeuta, per attestare la disforia di genere della persona tramite il rilascio di una perizia psicologica. L’attestazione è necessaria per potersi poi rivolgere a un endocrinologo che svolge diversi esami medici per accertare che non vi siano problemi di salute che potrebbero compromettere la possibilità di assumere ormoni o di sottoporsi ad un’eventuale operazione: solo dopo aver ottenuto il certificato medico l’individuo ottiene il permesso di iniziare la terapia ormonale.
Questi ormoni, però, in Italia non vengono prodotti specificamente per i transessuali ma sono solitamente utilizzati per squilibri ormonali e presentano quindi diverse controindicazioni. In Italia esistono inoltre poche varietà di medicinali tra cui scegliere e con costi molto alti (il Nebid, per i ragazz* in terapia ormonale, può costare fino a 167 euro a fiala); in alcuni casi le case farmaceutiche sospendono o eliminano la produzione dei farmaci ormonali per motivi economici.
Se la persona lo desidera, successivamente, può decidere di sottoporsi a operazioni chirurgiche come la mastectomia, o l’intervento per la femminilizzazione del volto.
Queste procedure richiedono comunque una sentenza del giudice che comporta ingenti costi. In Italia non è possibile sottoporsi a operazioni di asportazione di organi o parti del corpo se non si soffre di una patologia medica specifica e le liste d’attesa del sistema sanitario pubblico sono molto lunghe, per cui ci si rivolge spesso a strutture private, oppure si guarda all’estero, ad esempio in Thailandia, dove le operazioni di femminilizzazione del volto sono ormai una prassi.
Il quadro giuridico italiano e l’intervento della Cassazione
L’ultimo passo del processo di transizione è la rettifica anagrafica, con cui la persona transessuale ottiene un riconoscimento ufficiale del suo genere di elezione davanti alla legge italiana.
Fino al 2015 lo Stato avviava la procedura solo per chi si fosse sottoposto a un intervento chirurgico, obbligo che per legge includeva anche la rimozione degli organi riproduttivi. La legge 164 del 1982 non prevedeva uno scollamento tra nome e sesso: per ottenere una rettifica anagrafica era quindi necessario avere anche una riassegnazione degli organi sessuali tramite procedure chirurgiche. Nel 2015, con la sentenza n. 15138 la Cassazione ha però ammesso la possibilità di ottenere i documenti anche senza l’obbligo di operarsi. Il giudice, peraltro, ha dichiarato la legge incostituzionale in base al principio di autodeterminazione (art. 2 della Costituzione) e in base ai principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, entrata in vigore in Italia nel 1955.
La voce dei ragazz*
Tra coloro che hanno intrapreso il processo di transizione ci sono anche quattro ragazz* che ogni giorno vivono le difficoltà e le sfide quotidiane dell’essere transessuali. Parlando con loro ci si accorge subito di come, nel contesto italiano, nonostante i passi avanti fatti negli ultimi anni, rimangano ancora molte lacune e problemi a livello sociale, nel quadro giuridico e negli atenei universitari.
Alice, 25 anni, studia Economia all’Università di Trento, anche se la città è diventata per lei un luogo maledetto. Dopo episodi quotidiani di aggressioni verbali per strada, sia da parte di coetanei che di persone più anziane, ha deciso di tornare a vivere nel suo paese di nascita. A pochi esami dalla laurea ha abbandonato il suo appartamento da studentessa e oggi torna a Trento solo per gli esami. Dopo dieci mesi di terapia ormonale, a febbraio inizierà la procedura di rettifica anagrafica: nonostante le prese in giro, Alice ha trovato un lavoro nel suo paese, ha quasi finito il percorso universitario e sta preparando la tesi di laurea.
Nicholas, 20 anni, è uno studente presso il corso di Biotecnologie a Bologna ed è il più giovane tra i ragazz* intervistati, ma dimostra già una forte consapevolezza e conoscenza della sua persona. Ha iniziato la terapia ormonale da pochi mesi, ma già festeggia i piccoli, seppur importanti, cambiamenti quotidiani nel suo aspetto fisico. Conosce quasi a memoria il quadro giuridico italiano in materia di diritti per omosessuali e transessuali; per lui è necessario un cambiamento che possa mettere l’Italia al passo con il resto dei paesi europei, più progressisti in materia di diritti civili: “Abbiamo bisogno di una legge contro l’omotransfobia e di procedure burocratiche e legali meno complicate e più flessibili. Anche se siamo una minoranza necessitiamo comunque di una tutela da parte dello Stato, come qualsiasi altro cittadino”.
Loris, come Nicholas, studia a Bologna e ha 23 anni. Anche lui è estremamente informato sulle tematiche LGBT e ha compiuto diverse ricerche accademiche sulla transessualità. Vive però la sua identità di genere in maniera diversa rispetto ai ragazz* descritti finora: nonostante abbia fatto coming out da diversi anni, ha deciso, per il momento, di non sottoporsi alla terapia ormonale o ad interventi chirurgici. Vorrebbe comunque ottenere la rettifica dei documenti, cosa al momento impossibile in Italia. Loris, infatti, partecipa attivamente alle associazioni LGBT ed è in prima linea, specialmente nel suo ateneo, per aumentare le tutele e le libertà delle persone come lui. Il suo obiettivo è quello rendere i criteri richiesti negli istituti universitari meno restrittivi, per permettere ai transessuali che non vogliono sottoporsi a terapie ormonali e operazioni chirurgiche di ottenere comunque i documenti riconoscitivi del proprio genere di elezione, almeno nell’ambito universitario.
Leonardo, invece, ha 25 anni e frequenta la magistrale di Antropologia culturale alla Ca’ Foscari di Venezia. La sua infanzia è stata quella di una normale bambina, fino al periodo dell’adolescenza, quando sono cominciati i primi dubbi sulla propria identità di genere. A un anno e mezzo dalla terapia ormonale, oggi è in attesa di avviare la procedura per la rettifica anagrafica, per chiudere un importante cerchio della sua vita che lo ha portato a battersi contro i pregiudizi della società, anche all’interno della comunità LGBT. Leonardo si identifica come omosessuale e molto spesso il suo orientamento è stato visto come una mancanza, come se essere transgender comporti inevitabilmente l’essere eterosessuale. Come lui stesso racconta, è stato difficile conciliare l’identità di genere con il suo orientamento sessuale, perché si è trovato molto spesso a combattere stereotipi che lui stesso riteneva inconsciamente fondati.
Società e pregiudizi
Secondo molti ragazz* come Leonardo e Alice, nella società italiana la transessualità viene vista come un argomento proibito, specialmente per le donne transessuali: “Esiste moltissima confusione fra transessualità e travestitismo e le donne transessuali vengono stigmatizzate perché associate unicamente al mondo della prostituzione e della droga”.
Questo pregiudizio, portato avanti soprattutto dalla televisione, ha contribuito a mettere in difficoltà le ragazze come Alice: “Quando per la prima volta ho cercato la parola transessualità su internet ho avuto paura. Gli unici risultati che mi apparivano erano legati al mondo della prostituzione o della droga. Le uniche transessuali di cui parlavano i giornali erano quelle uccise per strada dai loro clienti”.
Per i transessuali come Leonardo, invece, la situazione è più semplice: “La transizione dal femminile al maschile è ancora un argomento poco trattato in Italia e quindi molte persone non ne sono a conoscenza. La nostra società, ancora fortemente influenzata dai ruoli di genere, tollera comunque più facilmente una donna che decide di diventare un uomo rispetto al contrario”.
La difficoltà più grande che emerge rimane comunque l’ottenimento della rettifica anagrafica. Ottenere i documenti richiede troppo tempo e nel frattempo presentare la carta d’identità del proprio genere biologico, con l’aspetto modificato dalla terapia ormonale rischia di essere fonte di discriminazione sul posto di lavoro, all’università e in ogni ambito in cui sia necessario esibire i documenti.
Lo Stato italiano, in questo senso, presenta per Loris, Nicholas, Alice e Leonardo, un quadro giuridico troppo rigido e arcaico: “Le persone transessuali sono costrette a seguire un percorso preciso senza possibilità di scegliere quali processi intraprendere e quali no. Molti di noi, inoltre, si sentono obbligati ad accentuare la propria mascolinità o femminilità durante le udienze in tribunale, per paura di essere tacciati di non essere abbastanza donna o uomo, di non essere sufficientemente stereotipati per ottenere la rettifica anagrafica”.
All’università: tra eccellenze e mancanza di privacy
Negli ultimi anni, per conformarsi ai progressi del quadro giuridico, anche gli istituti universitari hanno introdotto alcune procedure in materia di tutela degli studenti universitari. Sul piano burocratico esistono attualmente due metodi per tutelare gli studenti transgender: il doppio libretto e la carriera alias. La prima procedura fornisce un documento cartaceo e in versione digitale che lo studente deve presentare insieme ai propri documenti originali nei momenti in cui sia necessaria l’autenticazione anagrafica. Tramite questo metodo, ad ogni appello d’esame il professore verrà a conoscenza dell’identità di genere della persona, perché il doppio libretto non rappresenta una vera e propria sostituzione dei documenti anagrafici ma un affiancamento ai documenti originali.
La carriera alias, al contrario e? un profilo burocratico alternativo e temporaneo, che sostituisce il nome anagrafico con quello che lo studente decide di adottare fino all’rettifica anagrafica ufficiale. Comprende un badge e un indirizzo e-mail con il nome adottato e viene realizzato attraverso la stipula di un accordo confidenziale tra ateneo e studente: solo gli addetti a tale servizio, infatti, gestiscono e sono a conoscenza della situazione. In Italia sono 32 su 68 gli atenei che offrono una carriera alias; tra le università che hanno adottato tale procedura troviamo l’Alma Mater Studiorum di Bologna e la Cà Foscari di Venezia.
All’interno delle università esistono due questioni che, secondo gli studenti transessuali, necessitano di un’azione da parte delle università: i criteri richiesti per ottenere il doppio libretto o la carriera alias e la mancanza di bagni unisex.
Per ottenere le tutele offerte dagli atenei, è necessario aver iniziato una terapia ormonale, ma visti gli alti costi e la lentezza della burocrazia, questo requisito va a creare un precedente discriminante tra gli studenti che possono e vogliono permettersi la terapia ormonale e chi invece non può o non vuole modificare il proprio corpo.
Per quanto riguarda i servizi sanitari, Leonardo spiega che una persona in terapia ormonale si trova in una fase intermedia in cui non ha ancora assunto tutti i tratti del suo genere di elezione e non ha nemmeno completamente modificato quelli del suo genere biologico. I bagni unisex, in questi casi, sono essenziali, perché impediscono episodi che potrebbero mettere a disagio tutti gli studenti, in particolare coloro che stanno affrontando una terapia ormonale.
Trento: eccellenza italiana o università senza privacy?
L’Università di Trento, posizionatasi al primo posto tra gli atenei italiani nell’Europe Teaching Rankings del 2018, possiede una burocrazia più arretrata rispetto a Venezia e Bologna, dato che prevede unicamente la procedura del doppio libretto. Alice, che studia Economia, considera tale opzione come un contentino che viola la privacy: “Non abbiamo la libertà di decidere quando rivelare o meno la nostra identità di genere, ma siamo costretti a fare coming out ad ogni situazione in cui sia richiesta un’autenticazione tramite i documenti anagrafici. Ad ogni appello d’esame ci sentiamo esposti, perché costretti a rivelare un aspetto intimo della nostra vita che vorremmo mantenere privato nell’ambiente accademico”.
Sul sito dell’Università, a differenza delle pagine web di Bologna e Venezia, non sono inoltre disponibili informazioni riguardo a come richiedere e ottenere un doppio libretto.
Per una migliore inclusione nella società
In un paese come l’Italia, dove dal 2016 sono state uccise più di trenta ragazze transessuali, le associazioni per i diritti della comunità LGBT chiedono l’approvazione di una legge che tuteli i transessuali dalla discriminazione e dalle aggressioni nei luoghi pubblici, particolarmente per le donne. Per i ragazz* intervistati è necessario uno sviluppo del quadro giuridico, per snellire e rendere più flessibili le procedure e permettere a chi decide di intraprendere un processo di transizione di ottenere i documenti, scegliendo autonomamente che cosa modificare del proprio corpo. I ragazz* come Alice e gli studenti intervistati chiedono che l’Università di Trento e gli altri atenei si mettano al passo col resto d’Europa, tutelando tutti i suoi membri a prescindere da religione, identità di genere e orientamento sessuale, lasciando la libertà di decidere e di vedersi riconosciuto il proprio nome nei documenti che l’ateneo fornisce. Solo in questo modo si potrà garantire un ambiente favorevole allo sviluppo della cultura e di una mentalità aperta.