“Ettore Majorana. Cronaca di infinite scomparse”
Un’opera d’arte totale
Essere, contemporaneamente e nello stesso spazio, in più stati: particelle di materia elementari; o invece, su un palco d’opera, storia di un geniale studioso di fisica siciliano ad inizio Novecento, del mistero della sua prematura scomparsa a 32 anni, delle tante congetture su di essa; e insieme musica, parola, azione, messa in scena ed effetti speciali. “Ettore Majorana. Cronaca di infinite scomparse” sembra essere anch’essa, a guisa delle particelle elementari dagli infiniti potenziali stati che questo eminente fisico di meccanica quantistica studiava, una delle molteplici possibili direzioni che prende il genere operistico al giorno d’oggi.
Coprodotto da Opera Lombardia e Fondazione Haydn e rappresentata per la prima volta nel settembre 2017 al Teatro Sociale di Como, il lavoro del giovane compositore Roberto Vetrano e del librettista-regista Stefano Simone Pintor si basa sul modello, tutt’altro che contemporaneo, della “Gesamtkunstwerk”, l’opera d’arte totale di wagneriana memoria, a sua volta ispirata al teatro greco, dove la rappresentazione era un’unica esperienza in cui suono, parola, recitazione ed aspetti visivi si fondevano in un tutto indifferenziato e le singole componenti erano inscindibili le une dalle altre.
Vetrano e Pintor hanno costruito una struttura operistica dove la forma e il contenuto della narrazione si rispecchiano e si corrispondono in maniera stringente, ispirandosi a modelli matematici, dando vita ad un’opera circolare dove musica e scene di realtà parallele, le diverse ipotesi sulla scomparsa di Majorana, si ripetono ciclicamente in molteplici variazioni. La messinscena sviluppa il concetto di molteplicità del reale attraverso scelte registiche che fanno ampio uso di tecnologie ed effetti video, ampliando ed espandendo le proiezioni sul pubblico in sala, coinvolgendolo e attirandolo nella realtà stessa della rappresentazione.
È un genere d’opera quindi ben lontano da quello classicamente inteso, in particolare dalla tradizione italiana e tedesca, soprattutto nell’aspetto musicale, che ci aveva abituato a una serie di stilemi codificati, sia nella componente del canto che in quella orchestrale, come anche al ruolo della musica stessa come elemento, se non protagonista, quanto meno di forte valenza rispetto al contenuto del libretto e alla messinscena.
Qui invece quasi mai la musica ha un ruolo preminente; l’Orchestra Haydn, quasi del tutto nascosta sotto la passerella aggettante che si allarga in sala, segue ed accompagna la narrazione sottolineando le atmosfere delle varie scene attraverso uno sviluppo sonoro fatto prevalentemente di cluster e fasce timbriche, costruite attraverso procedimenti seriali e aleatori.
La componente melodica affiora solo raramente, nel canto popolare dei migranti ripreso e stravolto nelle scene della partenza o nella ninna nanna siciliana conclusiva.
Anche il trattamento delle voci si allontana da quello della tradizione lirica: ad un coro cui frequentemente sono affidate parti di recitazione ritmica parlata, come nel caso del rosario bisbigliato dai frati o del teorema di Majorana, si affianca una voce dei solisti scarna, quasi sempre senza vibrato, che torna solo, con le voci femminili, nei momenti dal maggiore impatto emotivo, come il canto finale della madre.
“Ettore Majorana” risulta nel complesso un’operazione ben riuscita, per quanto forse nella complessità dell’integrazione delle diversi componenti quella musicale ci pare sia rimasta un po’ troppo sullo sfondo rispetto alle altre.