Festival di regia teatrale ‘Fantasio’
Un gradito, inatteso ritorno
Sembrava abbandonata per sempre l’esperienza del “Festival Fantasio di regia teatrale”. Snobbato dalla Provincia, che gli dedicava attenzione (e contributi) marginalissimi, sbilanciato tra una formula decisamente ambiziosa (selezioni tra oltre duecento registi in quattro paesi d’Europa) e fondi del tutto insufficienti, con organizzazione conseguente, lo scorso anno aveva esalato l’ultimo respiro, con l’allestimento della quindicesima, bella ed ultima edizione. O almeno così sembrava.
Perché poi no, dopo un anno sabbatico, a metà dicembre “Fantasio” è ritornato.
Molto alleggerito. Niente selezioni in giro per l’Europa: gli otto registi finalisti sono stati scelti in base a video e curriculum, non a prove sceniche e meno che mai a gironi eliminatori. E con una drastica riduzione delle ospitalità: a Trento sono approdate non otto o dodici compagnie come un tempo, ma otto registi, che qui hanno trovato sedici attori, due a testa, con cui allestire il proprio spettacolo.
Ricordiamo il format del festival. Tutti i registi si misurano con lo stesso testo teatrale (in questo caso il primo atto di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett), ridotto tassativamente a 18 minuti. Lo sforzo quindi, di fronte a un pubblico che si vede riproposto per due sere quattro volte a sera lo stesso testo, è quello di aguzzare le capacità interpretative, per reinventare, fornire qualcosa di diverso e nuovo. Una sfida vera, quindi, di fronte alla quale - è ovvio - alcuni annaspano, ma altri riescono a liberare fantasia e capacità artistiche.
Questa edizione, caratterizzata dai tempi di preparazione ridotti (solo 15 giorni prima del debutto è stato reso noto il testo) e la novità di dover lavorare non con i propri attori, ma con delle facce nuove viste per la prima volta a Trento, è stata presentata come “una ulteriore sfida”.
In realtà si è fatto di necessità virtù, perché la “sfida” era dovuta alla carenza di soldi. Eppure non sono state le classiche nozze con i fichi secchi: le due serate, pur con alti e bassi, sono state pienamente convincenti, l’interazione regista\attori è risultata quasi sempre buona, e soprattutto è risultato addirittura esaltante il confronto tra le diverse, talora divergenti interpretazioni di un testo difficile nella sua disarmante, apparente semplicità di “teatro dell’assurdo” dalle mille sfaccettature.
A noi, ad esempio, oltre al lavoro della regista vincitrice Silvana Pirone, in cui abbiamo apprezzato la sofferta interpretazione della trentina Emilia Bonomi, ha convinto quello di Alessandro Maggi, che ha forzato il testo presentando come protagonisti non due reietti, ma due cittadini qualunque, ben vestiti e amabilmente sorridenti (Elisa Fedrizzi e Simone Panza) a rappresentare la normalità di uno struggente spaesamento etico ed esistenziale. E parimenti ha convinto lo spagnolo Mikolaj Bielski (unico straniero, con il taglio del budget l’internazionalità è purtroppo solo un auspicio), che lo stesso melanconico spaesamento ha raggiunto invece attraverso un accurato lavoro sulla sincronia - nella recitazione e nei movimenti - dei due attori, sincronia talora dolcemente patetica, sempre poetica.
Insomma, anche con i fichi secchi, anche con un’organizzazione a tratti troppo garibaldina, ci sono state nozze vere. Fantasio meriterebbe più considerazione.