In lungo, in largo: due traversate del Trentino. A piedi.
Il Trentino a piedi, alla ricerca della modernità perduta. Gigi Zoppello, Valentina Trentini Editore, 2014, pp. 222, euro 14.
Non so se davvero - come dice Carlo Martinelli nel risvolto di copertina - questo sia “uno dei libri più importanti da molti anni a questa parte in Trentino... finalmente un reportage vero”. Certo è un libro insolito, che non si sa dove collocare, e intrigante.Non rientra pienamente in alcuna categoria: parla di sentieri ma non è un libro di alpinismo (i sentieri sono di fondovalle, anche brutti intorno alla città); non è una guida di viaggio, anche se qualcuno magari può usarlo così (ma senza fotografie né piantine però, dovrà usare le parole per raccapezzarsi). Il termine giornalistico “reportage” che usa Martinelli è il più azzeccato - non a caso l’autore fa il giornalista - ma c’è di più: una dimensione soggettiva che va oltre il reportage, il protagonista-io narrante (Zoppello appunto) ha una dimensione interiore che dà alla narrazione anche quella vena autobiografica su cui Paolo Ghezzi scherzava nella sua recensione per L’Adige, e ne fa un’opera di letteratura (senza nessuna fiction però).
Zoppello racconta in questo libro una sua esperienza fisica e al contempo esistenziale, l’attraversamento del Trentino a piedi per sentieri e stradine di fondovalle (ma ogni tanto bisogna anche passare per qualche rotatoria dove i pedoni non sono previsti). Prima da sud a nord, da Borghetto a Salorno, poi da est ad ovest, da Primolano al Tonale.
Oggi andare a piedi è una specie di opposizione politica, un atto sovversivo, ti porta ad osservare il mondo da un punto di vista laterale. È prima di tutto prendersi una insolita libertà. L’idea viene a Zoppello un giorno che andando al lavoro da Trento a Rovereto resta con l’auto in panne, deve continuare a piedi... e decide di non fermarsi, di continuare l’osservazione laterale progettando l’attraversamento di tutto il Trentino. Ma non è sicuramente un’operazione turistica, deve spiegarci subito che “non è tutto bello e tutto verde, il Trentino”. Il fatto è che “camminare in un paesaggio significa camminare dentro le proiezioni culturali di quel paesaggio” e questo viaggio è quindi una multiforme verifica dello stato dell’arte del Trentino d’oggi, accanto a quello di ieri che riaffiora continuamente a lato, invitando al raffronto, come il ricordo di una nonna cimbra gran camminatrice, e del tempo in cui si andava naturalmente “col caval di San Martin”, prima della motorizzazione.
C’è comunque davanti a Zoppello - nello scrivere questo libro - un esempio importante. Sono i libri scritti negli anni ‘60 da Gorfer e Faganello, girando per le valli d’allora e raccontandole nel momento della loro trasformazione dalla secolare società rurale della penuria, a quella “autonoma” (nel senso di Provincia Autonoma) del consumismo e dell’abbondanza (già finite!). E il vero cuore del libro - dal punto di vista teorico dell’interrogarsi su quello che si fa - è infatti il tratto della media Valsugana dove, a Marter, lo attende una delusione cocente. Pregusta la visita al museo che il comune ha teoricamente dedicato a Faganello, collocando la sua collezione di spaventapasseri in un vecchio mulino ristrutturato. Zoppello ne aveva parlato con Faganello quando era ancora in vita, che ne era entusiasta. Ma il museo è chiuso e lasciato a se stesso, con “i due piccoli spaventapasseri davanti all’ingresso abbattuti dal vento e ormai scoloriti da pioggia e sole, un’aria di abbandono e miseria”.
Questa delusione mette in moto una riflessione su quel che uomini come Faganello e Gorfer hanno fatto, e quindi - per raffronto - sul presente che ne è venuto fuori. Gorfer e Faganello avevano prodotto i loro libri come “Solo il vento bussa alla porta” e “Gli eredi della solitudine” spinti da una “urgenza”: quella di “una spinta etica che sospinge lo scrittore in una narrazione necessaria”. Raccoglievano lo spirito del tempo, loro lo esprimevano così, con i loro libri. Ma era lo stesso spirito del tempo che allora bruciava anche persone più semplici, come il vecchio amico Marcello, un ex-carpentiere che incontra poco dopo a Campiello di Novaledo. “Guardavo le mani di Marcello - racconta Zoppello - così come ogni tanto guardo quelle di mio padre: so che queste persone hanno realizzato qualcosa di grande ed irripetibile. Stava sulle loro spalle il balzo dell’Italia dall’arretratezza rurale all’economia moderna... E adesso non sanno rassegnarsi all’uscita di scena. E soprattutto non sanno rassegnarsi al fatto che la spinta in avanti si è fermata”. Anche Faganello, a pensarci bene ora, gli ultimi anni, quando Zoppello lo incontrava ai tavolini di qualche bar di piazza Duomo, “forse era già disilluso”.
Io direi che è questo il tema vero del libro, il filo rosso almeno, quello che tiene assieme anche molte altre cose, che ci sono attorno, ma che ne sono tutte impregnate. Forse potremmo definirlo il tema del post-moderno, tema che è stato perfino di moda qualche anno fa in Italia, ma non in Trentino; qui è come se non ci fossimo ancora voluti accorgere che la modernità è finita, e così questo libro dovrebbe aprire quindi un percorso di riflessione.
L’andare a piedi è ovviamente un metafora efficacissima di questa situazione, la messa in scena della fine di un ciclo che nella motorizzazione, nell’asfalto e nel cemento ha trovato i suoi totem. È il rovesciamento anche esistenziale di quella condizione, un andare necessariamente oltre i beni di consumo, alla ricerca di un nuovo senso per le nostre vite: “Ecco, se volete un’immagine del Trentino, potete venire qui e abbracciare con lo sguardo tutto quello che si vede: una cabinovia ferma per nove mesi all’anno, un piazzale vuoto e polveroso, un albergo chiuso perché fuori stagione, le montagne coperte di boschi, le nevi perenni del ghiacciaio e l’antica chiesetta ridotta a souvenir”.