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A proposito di Davis

Dylan: c’è ma non si vede

A proposito di Davis

“A proposito di Davis” è un film sull’assenza di Bob Dylan. Curioso, anche un film recente film su Dylan si intitolava “Io non sono qui”. È un po’ come se si volesse parlare di qualcuno che però non si può o non si riesce a rappresentare, tanto è complesso, sfaccettato, contraddittorio, importante... Al punto che non si può fare altro che evocarlo attraverso la sua assenza. Così mentre Tod Haynes, nel film sopra citato, lo trasfigurava in altri personaggi, i Coen lo ignorano tutto il tempo, salvo farlo uscire nel finale. Come a dire: è finito il film, ma è finito anche tutto il resto, perché arriva lui e tutto sarà diverso.

Volete pensare che il film parli di un looser, della dura vita dell’artista sottoconsiderato nella grande città, di gatti rossi e citazioni da “Colazione da Tiffany”? Ok, accomodatevi. Ma non è di questo che parla il film. Parla di come sarebbe stato il mondo senza Dylan. Di quell’attimo prima che arrivasse lui e cambiasse tutto. Di come la New York non fosse poi così mitica, di come la musica folk all’epoca appena in un inizio di revival, di come i cantautori facevano la fame (Dylan compreso, s’intende), di come cultura, arte, cinema, musica e miti americani non avevano ancora preso l’egemonia nel panorama internazionale. Insomma, prima della rivoluzione.

Pensate che stia esagerando? Ok, allora leggetevi questo passaggio della prefazione di Riccardo Bertoncelli alla biografia di Bob Dylan di Anthony Scaduto dell’Arcana Editrice 1972: “Ogni epoca ha i suoi protagonisti, e Dylan lo è stato per la nostra: in assoluto, senza paragoni. Una spanna sopra le comete che hanno illuminato i cieli dei nostri giorni: irraggiungibile nella sua complessità. Lui era Dylan e gli altri erano i comprimari”.

Torniamo al film. Belle scenografie e atmosfere, bravi attori, belle musiche e ammennicoli vari, ma il film procede a pretesti improvvisati lì per lì, piccoli fatti, esibizioni, delusioni: il gatto, una registrazione in studio, il viaggio col jazzista tossico... Una serie di sequenze atte a creare un ambiente, un’atmosfera, un momento, piuttosto che una narrazione.

Mezza furbata, oppure un atto d’amore? Bah, almeno gli autori non danno l’idea di ambizioni esagerate come in passato e come attribuite loro dalla critica osannante. Certo i Coen hanno un enorme credito e lo spendono a improvvisare un microcosmo di un secondo per il quale sarebbe bastato al massimo un corto, invece ipertrofizzano a film.

Ok. Bravi. Tanto poi ci pensa la produzione/distribuzione e pompare le cose.

A questo punto possiamo pensare che il trailer del film, con per colonna sonora una canzone di Dylan che nel film è appena accennata nel finale, sia truffaldino? Forse sì, ma forse non vuole altro che sottolineare proprio quella presenza/assenza. Cioè vi raccontiamo questo, ma stiamo parlando dell’altro.

Per chi lo capisce. Per gli altri sono i fratelli Coen che si baloccano col cinema, reinventando cose a modo loro, amore e passioni comprese.

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