#matteostaisereno
Ricapitoliamo. Al governo Letta è stato tolto, prima gradatamente, poi di brutto, l’ossigeno. Con la motivazione che combinava poco. Motivazione tutt’altro che peregrina: dal balletto sull’IMU e tasse conseguenti, alle blindature di ministri censurabili come Cancellieri o Alfano, alle mai concretizzate strategie per la crescita, alle riforme istituzionali sospese nel limbo, il governo delle larghe intese - poi ristrette - non riusciva proprio a convincere. “A gennaio elaboreremo insieme un foglio Excel con obiettivi e scadenze” sentenziò Matteo Renzi sull’onda del consenso delle primarie. Invece il foglio Excel gli è rimasto nel pc, e al governo ha preferito dare il benservito. Non piangeremo per questo.
Però, calma. C’è anzitutto una vistosa questione di affidabilità personale non trascurabile nemmeno secondo i canoni della nostra misera politichetta: che fiducia si può avere in una persona così propensa a mentire e tradire? A conclamare una cosa (“Posso andare al governo solo dopo una vittoria elettorale”. “Basta governi di larghe intese”. “#enricostaisereno, non è il tuo posto che mi interessa”) e contemporaneamente pianificare l’opposto? Un riscatto della politica non può non passare che da un recupero di credibilità dei politici: qual è la credibilità di un dichiarato mentitore? Renzi ama parlare con il cuore in mano: chi gli crede più? E questo non è bene.
C’è però anche una questione di sostanza. In cosa differisce il governo Renzi da quello di Letta? Ha la stessa maggioranza di ristrette intese; ha una compagine ministeriale più giovane e rosa ma non più autorevole; è stato analogamente investito non grazie al consenso elettorale ma ad un complotto di partito (solo un po’ meno fosco del siluramento di Prodi dei 101) e al patronaggio, questa volta più tiepido, del Presidente della Repubblica. Insomma l’unica vera differenza sta nella leadership: Renzi al posto di Letta.
Letta doveva tappare l’emergenza, cambiare la legge elettorale, e poi passare la mano; Renzi, invece, praticamente dovrebbe rivoltare l’Italia come un calzino e durare per tutta la legislatura. Nelle stesse condizioni politiche, epperò grazie alla forza del suo carisma personale, evidentemente irresistibile. Ma chi è che può pensare che il pur simpatico guascone toscano sia dotato di tali mirabolanti capacità?
Il fatto è che la mossa di Renzi è una scommessa. “Mi ci gioco la faccia” va ripetendo. Come se non giocasse anche con le condizioni di milioni di persone. Il che ha messo tanti a disagio.
E così la sua maggioranza, numericamente identica a quella di Letta, rischia di essere politicamente più debole. Perché - anche per raccogliere i consensi dei parlamentari difficilmente rieleggibili - non si propone più come un rimedio temporaneo a una situazione incresciosa, ma come soluzione di lungo respiro. Soluzione velleitaria perché pasticciata, un’autentica maionese di inciuci a costante rischio di impazzimento. Accordo con Alfano con conseguenti ambiguità programmatiche (su patrimoniale, diritti civili, tassazione degli immobili) e istituzionali (quale prospettiva per i partitini?); accordo con Berlusconi e ventilate intese sottobanco (conflitto di interessi? Giustizia? Tv?) e interessi istituzionali opposti a quelli di Alfano (premiare le coalizioni o i partitini?); qualche contentino ai centristi, che tanto non hanno né spazio né futuro; disinteresse verso le tematiche di sinistra, nella convinzione di tenere comunque in pugno il Pd, emarginata Sel, autoemarginato Grillo. Tutte queste debolezze ed ambiguità rischiano di risultare esplosive quando un governo può contare, al Senato, su una maggioranza risicata.
La fragilità la si è vista subito. La legge elettorale è stata ancora subordinata alle riforme costituzionali; di fatto è stata spostata a quando il Senato deciderà di abolire se stesso, cioè al giorno del giammai. Renzi cioè, arrivato al governo, ha subito contraddetto proprio il presupposto che aveva giustificato la sua scalata, la velocità nel chiudere sulla riforma elettorale. Un complotto di palazzo basato su una bufala: una partenza alla grande.
Che senso ha tutto questo? Non capiamo. Non capiamo Renzi, se non attraverso la sua “smisurata ambizione” di diventare il premier più giovane della storia unitaria. Ce l’ha fatta. È entrato nei libri di storia. Questo era il suo obiettivo? Bruciarsi per vanagloria? Invece di aspettare con un minimo di pazienza il suo turno, e di arrivare al governo legittimato da un robusto consenso elettorale e sostenuto da un numero adeguato di parlamentari, si è lasciato prendere dalla smania dell’occasione dietro l’angolo.
E soprattutto non capiamo il Pd, che dovrebbe essere un collettivo che fa ragionare il singolo preso dall’euforia. Ma che invece, dopo aver abdicato al suo ruolo nella società, sembra non avere neanche la capacità di far maturare ragionamenti tutto sommato elementari.