Dopo Dellai, il nulla
Le prossime elezioni, tra partiti inconsistenti, candidati impresentabili, vuoto spinto di programmi
L’editoriale di Piergiorgio Cattani disegna bene lo sconcerto in cui paiono precipitati i partiti trentini, incapaci di dare un senso minimamente coerente alla propria partecipazione elettorale, a iniziare dalla composizione delle liste. E per converso l’intervento di Luca Facchini parimenti descrive lo sconcerto dell’elettore, di fronte a queste sconclusionate e deprimenti evoluzioni.
Sono passati infatti pochi mesi, ma sembrano decenni, da quando Lorenzo Dellai, principe indiscusso, comandava con pugno di ferro, arrivando a imporre il proprio rigore non solo nelle sue liste, ma anche in quelle dei partiti alleati/subalterni, ordinando la cacciata dalla lista del Pd dei candidati a lui non affini (per la cronaca, Luigi Casanova e, guarda caso, Piergiorgio Cattani). Ora invece siamo passati dai diktat al lassismo più totale: chiunque venga accreditato di un gruzzoletto di voti viene accolto ovunque, come dimostrano, oltre ai casi citati da Cattani, altri semplicemente esilaranti col recupero di personaggi improbabili immeritatamente strappati all’oblio, di cui parliamo nelle pagine successive. Insomma la politica trentina è bruscamente passata prima al tracollo di credibilità, poi al ridicolo. Come mai?
Secondo noi la svolta è stata proprio l’uscita di scena di Dellai, che ha posto all’ordine del giorno il tema del che fare, come gestirne l’ingombrante eredità in una nuova situazione - crisi e brusca riduzione delle risorse - in cui è obbligatoria una decisa discontinuità.
Di fronte a questo tema, ampio, grave e duro, che rimanda ai contenuti più stringenti dell’azione di governo e ai suoi rapporti più decisivi con la società, i partiti, ormai abituati a ragionare solo su alleanze e candidature, si sono persi.
Le miserie della destra
Si è persa la destra. Dopo anni di un’opposizione inconsistente, che aveva come massimi punti di riferimento la nobile lotta contro gli immigrati o contro l’orso, non ha saputo darsi obiettivi minimamente credibili. Terremotata poi dallo stesso Berlusconi, che non si capisce in base a quale logica (senile condiscendenza alle adulazioni femminili? Eppure dovrebbe esserci abituato...) ha promosso sul campo segretaria\commissaria provinciale\regionale (non lo sa bene nessuno) l’improbabilissima Michaela Biancofiore che, dopo aver distrutto il Pdl bolzanino messo in mano a un diciottenne, ha fatto lo stesso con quello trentino, imponendo come candidato a Roma prima e a Piazza Dante poi l’impresentabile Giacomo Bezzi. Contro questa deriva è insorto una parte dell’altrimenti stremato Pdl ma, non trovando altro alfiere che l’(ex?) estremista runico Cristano de Eccher, reduce da una incolore legislatura romana, si è ridotto a penose baruffe sul controllo delle chiavi della sede e a querule richieste di arbitrato “dai vertici nazionali”, peraltro poco propensi a disturbare per i problemucci di una lontana, irrilevante provincia il Padrone, ben altrimenti affranto.
Una miseria totale.
Il vuoto del PD
Si è perso però anche il centrosinistra. O meglio, si è perso il Pd.
Che a Trento, come a livello nazionale alle ultime elezioni, ha pensato di avere già la vittoria in tasca, e quindi, per non sbagliare, ha deciso di non fare assolutamente niente. E non gli è costato molto: gli apparati di partito vivono la politica unicamente come giochetto di alleanze, gli è quindi estremamente connaturale esentarsi dal discutere di programmi, figurarsi di una nuova visione del governo provinciale: non saprebbero neanche da che parte cominciare.
Di qui la decisione dei vertici (facciamo i nomi: il presidente Pinter, il senatore Tonini, il presidente del Consiglio Provinciale Dorigatti, cui poi si è celermente adeguato il segretario Nicoletti) di non irritare gli alleati, Dellai e gli assessori uscenti, con una rivisitazione magari critica dell’ultimo quindicennio, e di imporre la più totale continuità con quell’esperienza, anche se per diversi aspetti ormai palesemente inadeguata. Quindi strada sbarrata a chi invece - Donata Borgonovo Re e Luca Zeni - voleva al contrario discutere di debito, sprechi, nomine, società partecipate, crisi dell’industria: tacciati dentro il partito di individualismo, e impediti a concorrere alle primarie. Veniva quindi fatto correre Alessandro Olivi, dimenticabile come assessore all’Industria di Dellai, a tutt’oggi indimenticato invece come autore, da sindaco di Folgaria, di uno storico PRG pro-affaristi.
E così, di fronte al vuoto, gli elettori democratici disertavano le primarie, facendole vincere a Ugo Rossi, a capo di un partito dal modestissimo 8%. E i vertici democratici? Incolpavano gli elettori che non li avevano votati e i militanti che non si erano spesi per farli votare. E pervicaci insistono: “Ora non possiamo più dire di aver sbagliato” e quindi avanti, Olivi capolista e responsabile del programma. Quale programma? Alla apposita riunione Olivi si presenta con il nulla in mano. Ma va bene lo stesso.
E così il Pd rinuncia a essere un soggetto politico.
Il PATT ci prova
E il resto del centrosinistra? All’Upt, partito personale di Dellai, sembra troppo chiedere di elaborare una strategia sul post-dellaismo. Intronato dall’assenza del capo assoluto, si perde prima nel grottesco tentativo di farlo correre lo stesso come capolista (anche se, onorevole e capogruppo alla Camera, una volta eletto dovrebbe dimettersi), poi cerca di mettere insieme una lista raccogliticcia, sottostando a bizze e contraddizioni.
Il Patt, che ha fatto bingo con la candidatura di Ugo Rossi, si gode il momento buono. Rossi, pragmatico, più furbo che santo, nella campagna delle primarie si era distaccato quel tanto da Dellai (sua una pur generica denuncia sulle ingerenze dei “poteri forti”) da potere caratterizzarsi. Battuti alle primarie gli alleati Pd e Upt teoricamente più forti, ora che alle elezioni vere deve incamerarne i voti, ha il problema che non si dissanguino. Quindi da una parte ne coltiva i rapporti attraverso una campagna senza traumi; dall’altra cerca di ammodernare l’immagine del proprio partito, ridotto alla minoranza degli autonomisti duri e puri, svecchiando la lista con operazioni ora coraggiose (l’esclusione di Caterina Dominici e del suo pacchetto di voti) ora discutibili (l’ingresso dell’organizzatrice di Miss Italia Sonia Leonardi e dell’assessora alla Solidarietà clientelare Lia Beltrami).
Grisenti ci prova
Come si vede, rimangono ampi, amplissimi spazi.
In questi cerca di inserirsi l’ex assessore Silvano Grisenti con Progetto Trentino. Inserimento abile: come capolista ha piazzato il patron di Trentino Volley nonché industriale di successo Diego Mosna, nome di sicuro richiamo; sui contenuti spinge il pedale sulle distorsioni del dellaismo, cui vuole inchiodare anche Rossi. Peccato che Grisenti, già assessore di Dellai come Rossi, anzi suo braccio destro, anzi protagonista in proprio di operazioni disinvolte condannate dalla magistratura, non sia il più indicato a scagliare la prima pietra.
In questo ordine sparso, in questo vuoto di politica, i trentini sono chiamati alle urne.