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QT n. 1, gennaio 2013 Cover story

Agenzia per l’ambiente: dalla parte di chi?

Il caso dei veleni (mortali) all’Europa Steel di Mezzolombardo. Il sindacato si rivolge all’Appa che però sembra tenere nei cassetti i risultati delle analisi, non informando gli operai dei pericoli per la salute. E consente ai vertici aziendali, vicini a Dellai, di costruirsi un alibi per provare a farla franca. La Magistratura però li condanna. Ma l’Appa rimane così?

Lo scorso venerdì 14 dicembre è stata finalmente emessa, dopo oltre 4 anni dall’avvio dell’inchiesta, la sentenza di primo grado sulla vicenda dei veleni nello stabilimento Europa Steel di Mezzolombardo (ne parlammo nel numero di QT del gennaio 2009, La terra dei veleni, di Mattia Maistri). Quattro mesi di reclusione per il direttore di stabilimento Gianluca Benedetti, condannato anche a risarcire le parti civili Fiom-Cgil e Legambiente (seguite dagli avvocati Sonia Guglielminetti e Silvia Zancanella), per rispettivamente 25 mila e 10 mila euro. Il direttore di produzione Paolo Bonadiman ha invece accettato, senza opporre ricorso, il decreto penale di condanna comminatogli oltre un anno fa.

Delle sorti dei due condannati, tuttavia, ci importa poco o nulla. Ciò che a noi interessa è che oggi possiamo finalmente raccontare per intero quella vicenda, i cui risvolti - esattamente come nel caso dello scandalo delle discariche di inerti trentine, divenute ricettacolo di rifiuti tossici di mezza Italia - sono sconcertanti.

L’enorme capannone dell’Europa Steel: dopo la chiusura della fabbrica oggi l’insegna non c’è più

Mezzolombardo, febbraio 2008. L’Europa Steel è una piccola fabbrica dove si lavorano barre d’acciaio; la proprietà è delle Acciaierie Venete, grande gruppo del settore acciaifero con sede a Padova. I 25 operai lavorano su tre turni, giorno e notte, cinque giorni a settimana, in un capannone enorme, lungo più di 300 metri. Tre giovani operai, due immigrati e un trentino, vengono incaricati dal Bonadiman di svuotare un vecchio trasformatore elettrico dall’olio in esso contenuto. Si tratta di un trasformatore ad uso industriale, alto oltre due metri, del peso di svariate tonnellate. I tre operai non vengono informati che l’olio in questione è in realtà una sostanza pericolosissima per la salute e altamente inquinante. L’operazione andrebbe effettuata da ditte specializzate, in ambiente a tenuta stagna, con operatori vestiti come palombari: questo perché quella sostanza, i Policlorobifenili, in sigla PCB, può danneggiare il fegato e provocare il cancro anche solo toccandola o respirandone i vapori. Invece, i tre operai lavorano per otto ore senza alcuna protezione, riempiono secchi, li riversano dentro dei barili, respirano inconsapevoli le esalazioni, si imbrattano la tuta al punto che a fine giornata sono fradici, asciugano le pozzanghere formatesi per terra usando della segatura e della polvere bianca, finendo per ingerire il pulviscolo impregnato di veleno. Poi per qualche giorno accusano, chi più chi meno, irritazioni cutanee, mal di gola, bruciore agli occhi, nausee, capogiri.

Gli otto barili riempiti, per un totale di circa duemilacinquecento litri di veleno, vengono poi rovesciati, probabilmente dallo stesso Bonadiman, sul prato che sta dietro lo stabilimento, a poche decine di metri dall’alveo del Noce. Si forma una palude oleosa, dalla quale si genera una nebbiolina azzurra che invade il capannone. Ha un odore acre, insopportabile, al punto che i portoni vengono lasciati spalancati per un paio di settimane, nonostante il freddo di febbraio. Ad accusare malesseri sono ora anche altri. Ma nessuno ha le informazioni sufficienti per mettere insieme le tessere del puzzle, molti pensano che quella nebbiolina e quella puzza provengano da un’altra fabbrica. Anche perché i tre che avevano svuotato il trasformatore non parlano, per paura di ritorsioni. E quasi nessuno li aveva visti.

Ma qualcosa comincia a trapelare. Durante le pause mensa inizia a prendere corpo la chiacchiera che l’azienda smaltisca liquidi inquinanti buttandoli nei terreni circostanti. Qualcuno racconta di aver visto Bonadiman manovrare il muletto di notte, fuori dal capannone, trasportando barili. Qualcun altro si chiede che fine abbia fatto quel grande trasformatore.

Quando la chiacchiera arriva alle mie orecchie, intorno ad aprile 2008, mi sembra inverosimile, penso ad una calunnia. Come sindacalista della Fiom seguo l’Europa Steel solo da un anno, ma lo sversamento di sostanze inquinanti nel terreno mi pare una cosa troppo grossolana perché possa accadere all’interno di un grande gruppo industriale come le Acciaierie Venete.

La bonifica del terreno la decide e la fa l’azienda, sebbene sotto la sorveglianza dell’Appa: sentitasi scoperta, l’azienda s’inventa infatti un incidente per giustificare la presenza delle sostanze inquinanti nel terreno

Per questo inizialmente decido, assieme al collega della Uilm Francesconi e in accordo con Gigi Campagna (l’operaio che fa il rappresentante sindacale in fabbrica e che è anche RLS, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), di parlarne coi vertici aziendali di Padova. Questi si prendono il tempo per fare delle verifiche e alla fine, passa oltre un mese, ci dicono di non aver trovato nulla fuori posto.

Ma intanto in pausa mensa i racconti si fanno sempre più circostanziati. Cosicché Gigi Campagna decide di andare in esplorazione attorno al capannone. E trova quel prato, impregnato. Di cosa, però, non si sa. Acqua? Olio? Altro?

Decidiamo di rivolgerci all’Appa, l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente.

Siamo arrivati a luglio. Il nostro sospetto è che l’azienda abbia versato qualche liquido inquinante, probabilmente olio, dietro lo stabilimento. Ai PCB e ai pericoli per la salute neppure ci pensiamo. In quelle settimane siamo in fase di rinnovo del contratto aziendale e le condizioni per strappare un buon premio di risultato ci sono tutte. Vogliamo evitare di rovinare la trattativa sulla base di un semplice sospetto. Abbiamo bisogno, tramite gli ispettori dell’Appa, di sapere cosa c’è in quel terreno e se i nostri sospetti saranno confermati faremo il nostro dovere di cittadini, denunciando i responsabili.

Spiego all’Appa l’intera faccenda. Mi chiedono di mandare una segnalazione scritta. Dico che ho bisogno che l’azienda non venga a sapere che li ho mandati io e mi rassicurano: questa informazione è per legge coperta da segreto d’ufficio. Scrivo allora all’Appa, riferendo che all’Europa Steel si vocifera che l’azienda avrebbe sversato grandi quantità di liquidi nel terreno dietro lo stabilimento, indico con precisione il luogo esatto e chiedo di essere immediatamente informato dei risultati delle analisi del terreno. E, per ulteriore cautela, specifico che è assolutamente fondamentale che i vertici aziendali non vengano a sapere chi ha fatto la segnalazione. La lettera è del 15 luglio 2008.

Giovedì 24 luglio 2008. L’Appa arriva all’Europa Steel. Lo stesso giorno l’azienda legge la lettera da me inviata all’Appa. Me lo riferisce un amico, che casualmente conosce bene il Bonadiman. Il quale gli avrebbe anche detto: “la Fiom stavolta l’ha fatta proprio grossa, adesso gli operai se li possono scordare i soldi del contratto”. L’indomani, venerdì 25 luglio, dalle Acciaierie Venete mi viene puntualmente comunicata la rottura delle trattative. Quel mio amico mi dice anche che avrei pestato i piedi a un pezzo grosso. Bonadiman è assessore alle foreste del comune di Zambana, area Margherita/Upt. È anche una figura di spicco dell’associazione cacciatori della Rotaliana. E, soprattutto, si vanta di avere un’amicizia personale con Dellai, che sarebbe stato anche ospite a casa sua.

Perché la lettera che doveva rimanere segreta, con tanto di mie reiterate raccomandazioni, è stata fatta leggere (probabilmente addirittura consegnata) all’azienda, consentendo a questa di fare ritorsioni ai lavoratori? Chi ha violato il segreto? E perché?

Martedì 29 luglio Gigi Campagna mi chiama per dirmi che ci sono delle ruspe che hanno cominciato a scavare nella zona inquinata. Ogni giorno mi richiamano per aggiornarmi: gli scavi si fanno sempre più grandi e profondi. Dall’Appa, intanto, nessuno si fa vivo, nonostante nella lettera avessi appositamente lasciato anche il mio numero di cellulare.

Dei containers: anche questi non ci sono più

Sono infuriato. Venerdì 1 agosto decido di chiedere conto direttamente alla Giunta Provinciale dell’operato dell’Appa. Ma anzichè trovare le risposte che cerco, non cavo un ragno dal buco se non vaghe promesse di approfondire la questione.

Passa una settimana, in fabbrica continuano a scavare con le ruspe, ma Appa e Provincia ancora tacciono.

Allora l’8 agosto decido di scrivere di nuovo all’Appa, per chiedere di essere portato a conoscenza dei risultati delle analisi e per sapere se e quali azioni legali hanno avviato. Dopo Ferragosto l’Appa si fa viva telefonicamente, attraverso un suo funzionario. Di fronte alle mie domande, mi risponde laconico che “sono state avviate le procedure previste in questi casi, informando le autorità competenti”. Chiedo cos’hanno trovato nel terreno e mi risponde che non può dirmelo, in quanto la questione “è coperta da segreto, perché potrebbero esserci dei risvolti penali”. Allora chiedo se hanno informato la Magistratura e mi risponde “cosa c’entra la Magistratura?”. Come sarebbe cosa c’entra la Magistratura? Non c’erano dei risvolti penali? Chiedo allora spiegazione degli scavi in corso e mi risponde “quali scavi?”. “É un mese che scavano e riempiono container - replico - e voi dell’Appa non ne sapete nulla?”. Il funzionario mi conferma che non sanno nulla e mi dice di chiedere al Comune di Mezzolombardo. Infine, chiedo come mai l’azienda abbia in mano la segnalazione da me fatta all’Appa. Il funzionario prima nega categorico, poi, quando lo informo che ho le prove, chiede scusa. Ops!

A fine agosto, quando avvenne quella telefonata, io ancora non sapevo che nel terreno erano stati trovati PCB. Ma l’Appa lo sapeva da almeno un mese, grazie alle analisi. Perché non ha tempestivamente informato me, o quantomeno l’Uopsal (l’Unità operativa prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, dell’Azienda sanitaria), affinché venissero assunti i necessari ed urgenti provvedimenti a tutela della salute dei lavoratori? E Gigi Campagna, in qualità di RLS, non doveva esserne informato?

Non mi rassegno. Voglio andare fino in fondo, voglio sapere chi nell’Appa ha violato il segreto e voglio sapere cosa è stato trovato in quel terreno. Mi rimetto in contatto con la Provincia, e l’assessore Gilmozzi mi raccomanda di andare a fare una chiacchierata con Berlanda, che è al vertice dell’Appa. Evidentemente all’Appa mancano carta e inchiostro, visto che per iscritto non mettono mai nulla. Ci vado. “Abbiamo trovato delle sostanze inquinanti - mi dice Berlanda - e adesso l’azienda si prenderà una bella multa!”. Chiedo di quali sostanze si tratti e mi risponde solo che si tratta di oli. Chiedo conto della violazione del segreto e mi dice che si è trattato di un incidente. Chiedo degli scavi e Berlanda mi dice che come da prassi l’Appa aveva informato il Comune di Mezzolombardo. Insomma, un muro di gomma.

L’area inquinata si rivelerà alla fine molto ampia, si è trovato terreno contaminato anche a diversi metri di profondità

Chiamo il Comune di Mezzolombardo. Il funzionario comunale mi dice che a fine luglio (all’indomani dell’ispezione dell’Appa) l’Europa Steel ha inviato una comunicazione al Comune con la quale dichiara che, in occasione di lavori di manutenzione straordinaria, è avvenuto uno sversamento accidentale di sostanze inquinanti nel terreno e, pertanto, procederà a norma di legge con immediati lavori di scavo per evitare la propagazione dell’inquinamento.

Dunque: attraverso quell’autodenuncia in Comune, l’Europa Steel, con la benedizione dell’Appa, si è inventata l’alibi per evitare qualsiasi conseguenza penale a Benedetti e Bonadiman; la bonifica del terreno la fa pagare agli operai, coi soldi del defunto contratto aziendale; dei PCB, invece, nessuno verrà mai a sapere nulla, perché l’Appa tiene l’informazione (questa sì!) ben secretata.

Inoltre, ora è ormai chiaro che anche Benedetti ha delle responsabilità nella vicenda (d’altronde, non è che un trasformatore di quelle dimensioni può svanire nel nulla: ci sono gli inventari dell’azienda, e Benedetti è peraltro anche responsabile della sicurezza). Ed è altrettanto chiaro che le Acciaierie Venete avallano il tutto.

Ne parlo col compianto Agostino Catalano (avvocato) e presento un esposto alla Procura della Repubblica.

Benedetti e Bonadiman in quei giorni vengono visti a più riprese gongolare e ridersela grassamente. Probabilmente si sentono in una botte di ferro, spalleggiati da Padova e dalla Provincia. Ma evidentemente ai due non basta ritenere di averla scampata. Vogliono scovare lo spione e fargliela pagare. In fabbrica è caccia all’uomo, ad essere presi di mira sono gli iscritti alla Fiom. Si genera un clima di tensione crescente, l’aria si taglia col coltello. Gli operai hanno paura. Benedetti e Bonadiman urlano e li sfottono. Finché, a seguito di un alterco con Gigi Campagna, uno che paura non ne ha, Benedetti lo licenzia in tronco. È il 19 settembre 2008.

Decido che è davvero troppo. Assieme a Francesconi della Uilm proclamiamo uno sciopero, con manifestazione davanti alla fabbrica e conferenza stampa, spiattellando l’intera storia. Prendono posizione anche Legambiente e la Fiom nazionale. E poi come Fim, Fiom e Uilm, tutti assieme, proclamiamo uno sciopero di tutti i metalmeccanici del Trentino, in solidarietà con Gigi Campagna. Veniamo a sapere che Confindustria tira le orecchie alle Acciaierie Venete. Che, finalmente, fanno marcia indietro.

In quei giorni, l’ultima settimana di settembre, succede tutto.

Al termine di una assemblea con gli operai dell’Europa Steel, uno di loro chiede di parlarmi a quattr’occhi. È stato testimone oculare e mi racconta nel dettaglio dello svuotamento del trasformatore e dello sversamento dell’olio nel terreno. Ricollega al trasformatore la nebbiolina e i malesseri.

Un dirigente delle Acciaierie Venete di Padova, col quale sto trattando la revoca del licenziamento di Campagna, si lascia sfuggire che ciò che è stato trovato nel terreno ha un nome strano, “piro” e qualcosa.

Piro più trasformatore: ne parlo col delegato sindacale della Siemens di Gardolo, la ex Stem, dove i trasformatori industriali li costruiscono da una vita. Sbianca. Si mette le mani in testa. “Si prenderanno un tumore”, dice. Scopro così che abbiamo a che fare coi PCB, che nel gergo industriale, quando usati come liquido dielettrico nei trasformatori, venivano anche chiamati Apirolio. Furono messi al bando negli anni ‘70, per via della loro altissima pericolosità per la salute e per l’ambiente. Il delegato della Siemens mi procura i protocolli sull’utilizzo dei PCB, vecchi di quarant’anni, con le severissime misure di sicurezza da adottare. I sintomi accusati dai lavoratori corrispondono. Realizzo così che all’Europa Steel, a febbraio, si è consumata una piccola catastrofe ambientale, che potrebbe aver messo a repentaglio la salute dei lavoratori. E realizzo che chi questa informazione l’aveva da due mesi e doveva intervenire, ossia l’Appa, non ha fatto nulla.

Perché l’Appa non ha mai segnalato alla Magistratura del ritrovamento dei PCB? Che l’Appa fosse di fronte ad una notizia di reato è oggi dimostrato dalle condanne di Benedetti e Bonadiman!

Gigi Campagna torna al lavoro e gli operai, uno alla volta, a seguito del mio esposto, vengono interrogati. Siamo a ottobre. Passa un mese e le Acciaierie Venete ci comunicano la decisione di chiudere lo stabilimento di Mezzolombardo, cosa che avverrà ad aprile 2009.

Tempo dopo, a vicenda chiusa, Dellai avrebbe detto a Burli: “se i sindacalisti si comportano come il Guarda, per forza che chiudono le fabbriche!”. Ma le fabbriche cosa sono? Sono luoghi franchi, dove, in nome del posto di lavoro, la legge non viene applicata? Sono luoghi dove i lavoratori perdono i propri diritti di cittadini, compreso quello alla salute?

Al contrario, la politica dovrebbe seriamente affrontare il problema dell’indipendenza e dell’autorevolezza degli organismi di controllo della Provincia. Perché quando i cittadini si rivolgono agli ispettori, si aspettano che questi perseguano gli illeciti, senza fare sconti e senza eccezioni. Altrimenti, s’ingenerano comportamenti irresponsabili che, prima o poi, provocano l’evento catastrofico.

Michele Guarda è della segreteria FIOM-CGIL del Trentino

Farfalla avvelenata e trasparenza negata

Quanto racconta il recente libro dei giornalisti Andrea Tomasi e Jacopo Valenti “La farfalla avvelenata” è emblematico delle contraddizioni della nostra autonomia. Il libro ripercorre le vicende giudiziarie e politiche delle discariche di Monte Zaccon e di Sardagna, della acciaieria di Borgo Valsugana. Si racconta di una Provincia incapace di raccordare controlli, di complicità, o perlomeno eccessiva soggezione degli organismi di controllo verso i poteri economici e politici. Non è casuale che i grandi scandali ambientali del nostro territorio siano tutti nati non dall’operato dei controllori, ma da denunce o di comitati, o di associazioni ambientalistiche o singoli cittadini. E i troppi abusi sono per lo più concentrati negli anni del potere di Lorenzo Dellai: lo sfregio in Marmolada, quelli sulle piste di Folgaria e dei laghi della Presena, il Grostè, il maldestro tentativo di privare guardaparco, guardapesca, caccia e custodi forestali della specificità di polizia giudiziaria...

Il traffico di rifiuti tossici portati a Monte Zaccon e Sardagna ci riportano all’inizio degli anni ‘90, quando si voleva imporre la costruzione della discarica di Capriana nel letto del fiume Avisio, una discarica nascosta, invisibile, che, come emerso dalle indagini del Corpo Forestale dello Stato (allora come oggi per avere chiarezza si era costretti ad investire in corpi di polizia giudiziaria esterni al controllo della politica provinciale) e da quanto raccolto dal comitato guidato da Renata Tavernar, doveva servire a smaltire rifiuti provenienti anche dalla ‘ndrangheta calabrese.

Come ben scrive nella prefazione Claudio Sabelli Fioretti, il libro è un colpo al cuore della legittimità dell’autonomia. Non più usata per il buon governo, ma ristretta allo slogan “lasciateci lavorare”, fatto proprio dalla locale classe politica. Il nocciolo del problema è rappresentato dalla inadeguatezza dei controlli, dalla loro inefficacia, totale, e dalla sfiducia ormai consolidata nei cittadini verso gli organi di controllo, a partire dall’APPA, l’Agenzia Provinciale per l’Ambiente. In Valsugana le indagini sul traffico di rifiuti tossici sono state effettuate dal Corpo forestale di Enego, le analisi chimiche sono state portate in laboratori di Vicenza e smentiscono clamorosamente quelle delle ditte private e i dati sostenuti dall’APPA. Eppure le situazioni di illegalità, in Valsugana come a Sardagna, erano note da tempo: Simone Gosetti, a capo della Ripristini Valsugana s.r.l., si sentiva forte, ben spalleggiato dall’inerzia dei funzionari di primo piano della Provincia di Trento, come Giovanni Gardelli. Quest’ultimo rimarrà estraneo all’inchiesta e alla fine risulterà perfino promosso nella Pubblica amministrazione, diverrà dirigente, nel servizio delle Autonomie Locali. Anche il linguaggio dei protagonisti, come emerge dalle intercettazioni, è basato sulla arroganza e sulla quasi certezza della impunità: i termini registrati ci riportano alle peggiori cronache nazionali. Nelle discariche venivano portati rifiuti di diverse acciaierie nazionali (Acciaierie venete, del Montello, Marcegaglia, olii esausti, a Sardagna perfino rifiuti sanitari degli anni ‘80 - ricordate lo scandalo del sangue infetto indagato dall’allora giudice Carlo Palermo?). A Sardagna, presso la discarica della SATIVA, era evidente come, in modo scientifico, si depistavano le deboli indagini dell’APPA.

In questo già deprimente quadro si inserisce la vicenda delle acciaierie di Borgo Valsugana, delle indagini depistate, del coraggio dei comitati locali, della totale assenza del PD e del suo fragile assessore all’Ambiente Alberto Pacher, di un sindacato privo di un minimo accenno di alfabeto legato al diritto alla salute e alle tematiche ambientali: un sindacato corporativo. La valle diviene preda della demagogia della destra, di partiti come Lega e PDL, guidati da Giacomo Santini, che si impongono nelle manifestazioni di piazza. Personaggi privi di scrupoli: in Trentino chiedono pulizia e appena fuori dai confini sostengono la costruzione di inceneritori, autostrade, in parlamento depenalizzano i reati ambientali. Solo i comitati di cittadini e le associazioni ambientaliste hanno avuto il coraggio almeno di provare a togliere spazi alla spregiudicatezza della destra. La Valsugana di quegli anni, ancora tanto vicini, rappresenta non solo il fallimento degli organi di controllo provinciali, ma anche della cultura di governo del nostro centrosinistra e del sindacato intero, CGIL compresa.

La “farfalla avvelenata” è un libro di documentata accusa, che si può arricchire di tante altre storie che hanno visto cittadini e comitati protagonisti di una rivolta contro il sistema provinciale. È da qui che nascono gli stimoli per riprendere un cammino nuovo, per reinvestire in valori più autentici della nostra autonomia.

Luigi Casanova