Naviganti
Tu ed io, sì... siamo stati naviganti. Dedicarti una pagina era il minimo che potessi fare. Mi scuso in anticipo per l’enfasi, se sarò sdolcinata o ridicola, ma è un grande amore che mi accompagna da più di trent’anni. Fu un sonoro colpo di fulmine, complice mia figlia da cullare al ritmo di “Panama”. Dopo l’album “Panama e dintorni”, ogni cosa o sentimento non saranno più assoluti, ma scomponibili in molteplici varianti. Era che tu ed io parlavamo la stessa lingua, sicuramente incontro e retaggio di una vita precedente. Amore idealizzato capace di farmi sognare e dal quale non aspettarmi nulla in più di quello che già facevi: comporre, cantare, vivere.
Da rilevare che più aumentano la solitudine sentimentale e l’età, più si aggiungono altri cantautori italiani raffinati e di nicchia, per i quali ho dei veri e propri innamoramenti. Strano siano tutti uomini, per me femminista è dura da ingoiare, mi sarei innamorata anche di una donna capace di emozionarmi cantando di amore, chiamando per nome anche desideri sconosciuti. Canzoni che hanno accompagnato la mia vita, scandito i momenti più intensi, riempito vuoti e assenze, dato voce al mare agitato che avevo dentro o alla rara calma premessa di tempesta.
Di Genova, quella città roccaforte della canzone italiana d’autore, come De Andrè, Paoli, Tenco, Lauzi e molti altri. Cresciuti col fascino della vecchia e nuova musica genovese, con l’aria del mare che rende pirati di storie altrui. V’immaginavo seduti sui muretti o guardare le luci del porto, a comporre versi e note mangiando focaccia. Non a caso sei considerato uno dei più colti, raffinati e completi poeti musicisti dei nostri tempi, schivo e insofferente, con introspezioni malinconiche. Le tue riflessioni ad alta integrità morale e civile hanno fatto una specie di coscienza critica della scelta musicale, della società italiana. Merito anche di un linguaggio scabro ed essenziale: “un autentico artigiano della canzone: lavora per sottrazione, come i poeti della sua Liguria, come gli intagliatori d’olivo”.
Figlio della tua scarsa terra ligure, senza la smania di sintesi a ogni costo che costringe il pensiero a rimpicciolire, ma con la vastità del mare dentro di te. Con gli anni le tue composizioni diventano sempre più essenziali e semplici, pur convivendo con la complessità del tuo pensiero. Bisogna ascoltare, riascoltarti molte volte, superare l’impatto di una tristezza inevitabile che ha comunque un sottofondo di speranza. Riflessioni esistenziali tanto profonde da aver permesso a qualche generazione di italiani di ritrovarsi nei tuoi sentimenti e nelle tue immagini. Vorrei avere la tua capacità di esprimere con una frase quello che mi porterebbe via più di una pagina per raccontare. E non altrettanto bene!
La stagione d’oro con gli album “La pianta del te”, “Discanto”, “Lindbergh”, “Buontempo”, “Carte da decifrare”, ai quali ne seguiranno altri meno indovinati. La tua verve creativa pare aver perso lo smalto, e l’affezionato pubblico trentino, che numeroso ti accoglie ad ogni concerto, riempirà solo metà sala nel penultimo che presenta “Musica moderna”. Sarai tu stesso a esordire guardando la sala: “Siamo pochi questa sera!”
Una lucida constatazione che il periodo migliore era passato. Un pugno nello stomaco per me, che amandoti ancora tanto non mi sentivo pronta a lasciarti andare. E allora giù a spararmi gli ultimi cd sperando di ritrovare il profumo del mare infinito, delle terre d’oriente, ma mancavano il pianoforte e gli archi e per me lì c’era il meglio di te.
Prima dell’uscita dell’ultimo album “Decadancing”, ti congederai dal pubblico annunciando che questo sarà l’ultimo album della tua quarantennale carriera. Fra le motivazioni della scelta, “quella di non essere così certo di avere altro d’aggiungere di sostanziale a quanto già detto, e il desiderio di assaporare quelle libertà che il mestiere del musicista inevitabilmente gli ha tolto”.
Un’uscita in grande stile degna di un grande artista, con i sensi ancora impregnati dal tuo, ahimè ultimo, splendido concerto. “Ma ora è il momento di mettersi a dormire, lasciando scivolare il libro che ci ha aiutati a capire che basta un filo di vento per venirci a guidare, perché siamo naviganti senza navigare mai”.