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Finestre

L’infanzia spalanca le finestre sul mondo senza malizia alcuna. Dal mio punto strategico rivolto a est, i lunghi balconi della casa di fronte mi raccontavano la vita degli abitanti. I panni stesi erano come libri di lettura: vedevo i bambini crescere, le stagioni alternarsi, le altre mamme da decifrare. Quelle nervose a piantare mollette come coltelli, qualcuna più strizzata e pallida dei cenci che stendeva. Ne capivo il pudore dalla biancheria intima celata con le lenzuola o la mancanza se esibivano in prima fila indiscreti mutandoni maschili dall’apertura laterale ed enormi pancere per donne cannone. Ne capivo la sensibilità guardando i colori sistemati con gusto, e l’incuria di quelli che vicini stridevano.

Guardavo l’altra casa perché noi eravamo ricchi: avevamo lo stenditoio condominiale. Nell’unico pezzo di prato, un giorno piantarono tre montanti di ferro a “T” con metri di fili di plastica tesi da una parte all’altra. Tante lenzuola stese dietro le quali nascondersi e giocare, fino a quando montarono un cancello per arginare la nostra vivacità e diversi furti di biancheria e mollette. Forse non eravamo tutti ricchi.

Sull’altro lato, a sud, la tenera favola che ricominciava ogni mattina d’inverno. Fuori era ancora notte, la neve cadeva lenta e la finestra di fronte si era già illuminata. Vedevo quel papà ancora in pigiama armeggiare con il gas e un pentolino. Poi allineava quattro biberon sul bancale della finestra, li colmava di latte caldo, chiudeva con ghiera e tettarella e li portava ai suoi quattro figli maschi per colazione. Anche se andavano ormai tutti a scuola e mangiavano con le posate, si addormentavano grandi e si risvegliavano bebè. Lungo la strada per andare a scuola, bardati di sciarpe guanti e berretti, ci si tirava palle di neve con quei quattro bambini che mi sembravano i più fortunati del mondo.

Invece in terza media, col trambusto del Sessantotto, la scuola interruppe bruscamente le fiabe con un tangibile assaggio della sua autorità. Eravamo in una sede provvisoria in centro città e il corridoio davanti alla nostra aula aveva una grande finestra che non si poteva aprire, solo guardare in strada durante la ricreazione. C’era un barbiere di fronte con un figlio, di qualche anno più di noi, che vi lavorava. Alzava gli occhi verso noi, tutte femmine, ed era uno scambio di sorrisi, mani che sventagliavano, qualche risatina. Con innocenza da parte nostra, forse con malizia da parte sua che faceva un po’ il galletto. Una mattina trovammo i vetri della finestra tinteggiati di smalto bianco... a finir quel gioco ritenuto amorale. Quell’immeritata finestra murata sospese la mia curiosità per quel mondo ignorante e ipocrita.

E poi diventai mamma giovanissima e non avevo più il tempo per stare alla finestra. Dovevo essere molto attenta e precisa su tutto, e di mio aggiungevo una ricerca di perfezione quasi maniacale. Ma poi mi estraniavo all’interno di me stessa, come non avessi più finestre, così arroccata sui miei pensieri da non accorgermi dell’evidenza. Della dirimpettaia di balcone, per esempio, con la quale scambiavo da anni due chiacchiere al volo, mentre stendevo il bucato. Un po’ tagliando corto: lei placida casalinga, io irrequieto cannone da battaglia. Presa in un vortice di figli, i loro bisogni, lavoro, cucina, pulizie. Ero certa mi commiserasse, non m’ispirava ad aprirmi. Un giorno, incontrandola spingere una carrozzina, stupita le chiedevo se fosse qualche nipotino. No, era suo figlio, un maschietto di tre mesi. Imbarazzatissima mi scusavo di non essermene mai accorta, il pancione evidentemente era coperto dal bancale del balcone. Sì, sono poi quelle persone che, cambiata casa, se incontri, fingi di non vedere. Ma non per presunzione, solo che preoccupa il ricordo di una distrazione così clamorosa, significa passare tra la vita degli altri senza degnarli della minima attenzione.

La casa dove abito ora dà su un panorama talmente vasto da confondere il mio bisogno di particolari. Adesso avrei anche tutto il tempo per concentrarmi sulle persone. Ma la parete di vetro non unisce, separa. Non avvicina, allontana. Le persone, dove sono le persone? Ieri così a portata di mano, oggi inafferrabili, diafane, remote. Immerse laggiù, in un mondo che posso solo guardare.

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