Elektrika, un’opera techno
Una Macelleria “elektrika”
Lo spettacolo “Elektrika, un’opera techno”, allestito dalla compagnia Macelleria Ettore, seguito da un folto pubblico nella sua première al Teatro Cuminetti (12 gennaio), sicuramente ha sorpreso la maggioranza dei convenuti. Probabilmente non occorre analizzare le ragioni di questa sorpresa, ai fini di una valutazione complessiva; ci si può, per una volta, affidare all’impressione sintetica, immediata, suscitata dallo spettacolo, sia pure facendo una media tra il primo impatto, le sensazioni a metà rappresentazione e quelle conclusive, a caldo e a freddo.
Grazie all’ammirevole performance dei due artisti-mimi (Maura Pettorruso e Woody Neri), assistiti da una calligrafica ed efficace coreografia, “Elektrika” si è dunque rivelato uno spettacolo intrigante e piacevole, nonostante una certa disomogeneità qualitativa tra i diversi aspetti drammaturgici.
Concepito come opera musicale in veste teatrale, “Elektrika” si rende attraente soprattutto per l’indovinata costruzione claustrofobica (Maria Paola Di Francesco, scene e costumi), circolare e angusta come il piatto di un giradischi, in cui Elettra e Oreste agiscono, con movenze più frequentemente meccaniche che umane. La falsariga narrativa, che intende attualizzare in qualche modo il mito greco, avrebbe tuttavia potuto spingersi più in là, e a nostro avviso con maggior mordente, con il solo rendere metaforica la mattanza originariamente inclusa nel mito: in altre parole, lo spettacolo avrebbe potuto giovarsi di un maggior potenziale di esemplarità, catalizzando l’immedesimazione o almeno l’empatia, se avesse attribuito le frustrazioni, il disagio, l’autismo dei due giovani personaggi alle conseguenze di un divorzio, di una separazione, invece che a un omicidio; prendendo insomma a modello non gli sciagurati di Novi Ligure, ma la massa anonima di adolescenti turbati e feriti dai fallimenti matrimoniali dei loro genitori.
Quanto alla musica di Chiarastella Calconi, essa rende bene l’ossessività e la circolarità senza uscita dei comportamenti, delle (scarse) chance e dei pensieri (ancora più scarsi) dei due personaggi, rischiando però anche, ipso facto, di tediare il pubblico. “Elektrika” potrebbe, a ben vedere, durare almeno un quarto d’ora in meno, pur mantenendo ed anzi rafforzando la sua efficacia; ma è notorio che gli spettatori non pagano un biglietto per 40-45 minuti di spettacolo. The show must go on... un quarto d’ora in più.
Qualche spettatore, alla fine, è rimasto perplesso per la denominazione “techno” conferita a brani musicali che non di rado rinviavano alla disco music di qualche decina d’anni fa; ed in effetti il retroterra culturale di “Elektrika”, senza far troppi sforzi mnemonici, sembra rinviare a un bouquet di suggestioni tra cui ritroviamo, volute o no, citazioni del “Casanova” felliniano (l’episodio dell’amante-marionetta, con la musica-carillon di Rota), dell’Alberto Camerini performer (“Rock’n roll robot”, 1981, con tanto di cresta punk, “Cyberclown”, 2001-2010, con bardature da pattinatore), della break-dance, eccetera. Ma non è, dicevamo all’inizio, il caso di dilungarsi troppo in disquisizioni analitiche, dal momento che quel che conta, nello spettacolo di Carmen Giordano, pare voler essere l’impatto emotivo, extraverbale.
Ci si poteva forse aspettare, in coda, un coup de théâtre, lanciare davvero una festa danzante sotto il palcoscenico, al termine della rappresentazione, come annunciato in scena? Probabilmente non sarebbe stato nelle corde dei personaggi, destinati dalla loro ri-creatrice all’impasse esistenziale, a un ineluttabile re-load del loro disagio psichico.
Resta il fatto che “Elektrika”, in procinto di andare in tournée in regione e fuori, co-prodotto dal Centro Culturale S. Chiara e onorato al suo esordio da un parterre di autorità (l’assessore Panizza, il presidente Gabrielli, il neo-direttore artistico Nardelli) e di personalità artistiche locali, con un’ulteriore messa a punto e un po’ di rodaggio rischia di vincere anche dei premi.