Norberto Bobbio: il dovere di disobbedire
Nell'aula magna dell'Istituto storico italo germanico, che ha organizzato con il Museo storico e l'Università di Trento il convegno internazionale "Gli intellettuali e la grande guerra ", il 6 novembre 1987 Norberto Bobbio tenne una conferenza sul tema "Politica e cultura". Di essa, per quanto sappiamo inedita, proponiamo un ampio passo, conservando il registro, con qualche leggera modifica, della lingua parlata.
Nella storia delle idee rispetto al tema del rapporto fra politica e cultura si possono distinguere, grosso modo, tre posizioni diverse, che corrispondono agli orientamenti relativi al rapporto fra teoria e pratica. La prima: il primato della cultura. La seconda: il primato della politica, con conseguente subordinazione della teoria, che si trasforma in tal modo in ideologia, in partiticità della cultura. La terza: cultura e politica sono indipendenti, percorrono vie diverse. Nella storia delle idee questa è la soluzione prevalente.
Una citazione. Nella vita di Pende, di Plutarco, si legge:" Secondo me, la vita di un filosofo dentro alla speculazione e di un uomo politico non sono la stessa cosa: il filosofo muove la sua mente verso nobili fini, senza bisogno per far ciò di strumenti materiali esterni. L'uomo politico invece deve mettere la propria vita a contatto con le basse esigenze del mondo comune." L'apprezzamento di Plutarco è positivo verso il filosofo, mentre è negativo verso il politico.
Un'altra citazione è quella celeberrima di Kant: "Non c'è da attendersi che i re filosofeggino o che i filosofi diventino re, e neppure è da desiderarlo, perché il possesso della forza corrompe il libero giudizio della ragione. Ma che un re o un popolo sovrano non lascino ridurre al silenzio la classe dei filosofi, ma la lascino pubblicamente parlare, è indispensabile agli uni e agli altri per avere luce sui loro affari."
In queste due citazioni, entrambe orientate alla divisione fra politica e cultura, c'è una differenza: la prima rispecchia la contrapposizione tra vita contemplativa e vita attiva, la superiorità di quella contemplativa, la incomunicabilità fra le due, come se l'intellettuale affermasse che la sua vita non è di questo mondo. Nell'età contemporanea, questa separazione estrema fra i due poli è la posizione di Julien Benda, che ne "II tradimento dei chierici" del 1925. condannava gli intellettuali che si erano messi al servizio delle passioni politiche. La civiltà ci sembra possibile soltanto a patto che l'umanità rispetti la divisione di funzioni, a patto che a fianco di coloro che fomentano le passioni ed esaltano le virtù atte a seguirle, esista una classe di uomini che sminuisce queste passioni ed esalta i valori che la coscienza deve rispettare."
Questa posizione estrema dell'intellettuale "salvatore del mondo", che se "tradisce" il suo ruolo non solo non salva il mondo ma perde anche se stesso, doveva provocare la reazione di quegli intellettuali che credevano invece nel dovere dell'impegno. La filosofia di Benda è la filosofia del regno. La più celebre risposta a Benda, anche per la severità con cui fu formulata, fu quella di Paul Nizan, comunista arrabbiato allora: "II signor Benda non nega di aver cessato di interessarsi degli uomini, ma insegna che il modo migliore per servirli è quello di disertarli."
Anche "disertare " come "tradire " ha una connotazione negativa, ma se usata a proposito del compito degli intellettuali ha il significato opposto di tradire: per Benda chi si impegna nelle cose di questo mondo tradisce, per Nizan chi non si impegna diserta. Sembra che il destino degli intellettuali Sia quello di scegliere tra essere o un traditore o un disertore. Direi che questo è il dilemma, la reale difficoltà del tema che stiamo trattando. Ne parlo con una certa prudenza, perché tutte le persone della mia generazione lo hanno vissuto profondamente: vi sono stati momenti in cui l'impegnarsi troppo in un 'attività politica significava tradire, e altri, per esempio durante il fascismo e la guerra di liberazione, in cui non impegnarsi voleva dire disertare.
Accanto a questa interpretazione, fondata sulla separazione fra politica e cultura, e che suscita reazioni contrapposte, c'è l'interpretazione suggerita da Kant, secondo il quale non c'è separazione, ma distinzione. Distinzione di funzioni, ma con una possibile, se non addirittura necessaria, collaborazione e integrazione. Il compito degli intellettuali non è quello di svolgere direttamente un 'attività politica, ma di svolgere il proprio compito a favore, suggerendo, proponendo, criticando. Gli intellettuali svolgono in questo modo la funzione di consiglieri del principe o del popolo: Kant, dalla parte del principe, chiedeva che il filosofo fosse però lasciato libero di parlare, di criticare, servendosi della ragione, non per consigliare ali 'uomo I 'obbedienza, ma per fargli capire che ha anche il diritto, e quindi il dovere di disobbedire.