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Economia e ricerca

E’ possibile immaginare nell’era contemporanea un sistema economico solido e in sviluppo senza la ricerca scientifica di base, senza quella
applicata e senza tecnologia? La risposta è no. Eppure da alcuni decenni l’Italia, unico tra i paesi avanzati, persegue l’errata prospettiva di uno sviluppo senza ricerca. E’ un male antico, che rende gracile la nostra struttura economica. Essa infatti non si fonda su un’autonoma capacità di innovazione (salvo settori limitati), ma sulla produzione di beni a tecnologia già acquisita, magari comprando i brevetti all’estero.

Negli scorsi decenni questa scelta rischiosa si è basata su tre elementi: 1. la creatività artigianale; 2. il basso costo del lavoro, il più basso in Europa; 3. la svalutazione della lira. Con la globalizzazione e l’entrata in vigore dell’euro, i due ultimi elementi son venuti meno, e l’unico rimasto non basta più. Prima o poi i nodi vengono al pettine, come dimostra la gravissima crisi della Fiat dovuta a un’insufficiente innovazione tecnologica. L’Italia si trova al 40° posto nella classifica competitiva internazionale. E’ l’unico tra i paesi avanzati ad avere un deficit nell’import/export dei prodotti ad alta tecnologia. E’ completamente fuori dalle tecnologie della conoscenza: informatica, comunicazione, biotecnologia.

Tra i motivi di questa situazione drammatica vi è la debolezza della ricerca scientifica italiana. Debolezza storica, che il Governo sta portando rapidamente alla soglia di collasso. I numeri hanno una evidenza agghiacciante: l’Italia spende per la ricerca scientifica 1’1% del prodotto intemo lordo; l’Inghilterra 1’1,9 %, la Francia il 2,2%, la Germania il 2,5 %, gli Stati Uniti il 2,6% e il Giappone il 2,9%. La Corea del Sud supera l’Italia in termini relativi e assoluti: essa investe in ricerca il 2,5% pari a 12 miliardi di euro contro i 10 dell’Italia, sebbene abbia un PIL che è la metà di quello italiano.

Una indicazione convergente viene dall’andamento della spesa: mentre nei paesi avanzati gli investimenti in ricerca scientifica tendono ad aumentare, in Italia tendono a diminuire. In Francia vi è un aumento del 2,2%, in Germania del 2,1%, in Inghilterra del 7%, negli USA dell’8,5%, mentre in Italia si verifica una diminuzione del 3%. Con l’ultima finanziaria la situazione è diventata drammatica. Il governo Berlusconi infatti taglia i fondi per le Università e 60 Rettori si sono dimessi in segno di protesta. Anche gli Enti pubblici di ricerca, come il CNR, subiranno tagli del 2% nel 2003 e del 10% nel 2004. La situazione è tale che università ed enti pubblici sono costretti a disdire impegni internazionali e presto non potranno pagare neppure lo stipendio ai dipendenti.

Questi dati nella loro crudezza ci impongono di concludere che la nostra classe dirigente (economica e politica) non crede nella ricerca scientifica, che è l’elemento che decide il rango del Paese nella competizione internazionale. Con o senza ricerca si va in serie A o in serie B. Sotto la guida del governo Berlusconi l’Italia sta scivolando in serie B.

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