Un Trentino troppo speciale...
...dove un diploma può valere più di una laurea
Nel Trentino dell’alta internazionalizzazione dell’Università, dell’eccellenza dei centri di ricerca, dei prestigiosi eventi culturali, inciampare nel localismo dei titoli di studio e della formazione professionale è a dir poco contraddittorio e per certi versi incomprensibile. Se la dimensione locale, coniugata all’Autonomia ed alla specificità di una terra di montagna, ha una sua profonda e legittima connotazione ed un’oggettiva ragione d’essere, rendere “local” anche il sapere, attraverso una formazione professionale blindata nei confronti di personale qualificato proveniente da fuori provincia non rappresenta certo un punto d’onore per l’impostazione dell’ordinamento scolastico provinciale.
Ma veniamo ai fatti. Sul blog del quotidiano l’Adige che tratta temi legati alla formazione e all’Università, da gennaio alla metà di aprile di quest’anno si leggono un paio di testimonianze emblematiche. Appartengono a due ragazze laureate in Scienze dell’Educazione e provenienti da due diverse regioni italiane, Lombardia ed Emilia Romagna, intenzionate a stabilirsi in Trentino e lavorare negli asili nido della nostra provincia.
“Durante una ricerca su internet - scrive Adua il 12 aprile - trovo l’ennesimo annuncio che mi innervosisce immensamente: ‘Avviso di concorso pubblico per esami a n. 2 posti di educatore asili nido di cui uno a tempo parziale - categoria C, Base’.
La rabbia nasce dal fatto che io non posso accedere a questo concorso semplicemente perché non ho nessuno dei titoli richiesti: nonostante abbia una laurea in servizio sociale, nonostante sia iscritta a ‘Scienze dell’Educazione - Indirizzo educatore d’infanzia e della preadolescenza’, nonostante nel 2005 abbia fatto un percorso di tirocinio in un asilo nido terminato con l’assunzione (prima con contratti a progetto e poi con contratto a tempo indeterminato), nonostante altri corsi di formazione sempre inerenti l’ambito della prima infanzia, nonostante tutto ciò... non ho i titoli necessari, non in Trentino.
Insomma in Trentino non avrei i titoli per iscrivermi ai concorsi locali: non posso frequentare il famoso ‘Baby Life’ e mi è negata persino la possibilità di partecipare al concorso per la ‘riqualifica del titolo’”.
Baby Life è un corso di formazione a cura dell’Irsrs (Istituto Regionale di Studi e Ricerca Sociale), creato grazie ai Fondi Europei con delibera della Giunta Provinciale del 1° agosto 2003, dove si stabilisce che il titolo di studio richiesto per accedere ai servizi per la prima infanzia presenti sul territorio provinciale, in qualità di personale educativo è il seguente: diploma quinquennale di scuola media superiore, rilasciato dal liceo socio-psico-pedagogico, o titoli equipollenti, liceo delle scienze sociali, dirigente di comunità, tecnico di servizi sociali e assistente di comunità infantile, integrato con un corso di formazione professionale di almeno 1000 ore (Baby Life, appunto) che rilasci la qualifica di ‘Educatore nei nidi d’infanzia e nei servizi integrativi’. Chi come Adua, che viene da Milano ed è in possesso di una laurea, anzi quasi due, e di una significativa esperienza lavorativa nel settore, è fuori, sia dal corso che dal relativo concorso, a meno che non decida di abbandonare la sua seconda laurea, iscriversi all’ultimo anno di liceo in Scienze Sociali, prendere una maturità (un’altra) e iscriversi al ‘Baby Life’ con tanto di tirocinio, già ampiamente affrontati molti anni prima.
Sulla stessa lunghezza d’onda si trova Alessandra, che il 21 gennaio scrive: “Una laurea triennale vale meno di un diploma più un corso di formazione che quest’anno dura da marzo a dicembre? Perché un titolo superiore al diploma non mi permette, non dico di lavorare, ma nemmeno di accedere al corso di formazione?”.
Interpellata a tal proposito da un question time del consigliere provinciale Bruno Firmani, l’assessore provinciale all’istruzione Marta Dalmaso in parte ammette, argomentando tra i denti che “il corso di laurea in Scienza dell’Educazione in Trentino non c’è”; e che, sottinteso, bisogna sistemare la valanga di diplomati sfornati dai licei socio-pedagogici e sociali della comunicazione tridentini, che non hanno nessuna intenzione di andare a conseguire una laurea fuori provincia. E conclude peraltro ammettendo che “la materia necessita di un’approfondita riflessione”.
Vicende analoghe si sono verificate anche nell’ambito degli insegnanti di lingua italiana provenienti da altre regioni ed altamente qualificati, che chiedevano l’iscrizione nella Lista Facilitatori Linguistici. Blocchi di 100-150 ore di formazione accumulate, più altre esperienze, che qualsiasi commissione definirebbe qualificanti, maturate all’estero, o in giro per l’Italia, non valgono come 200 ore continuative di formazione trentina.
Una protezione inutile, anzi dannosa
Si tratta di clausole restrittive, provinciali nel senso più deteriore del termine, che altro non fanno se non contribuire a creare uno scudo protezionistico inutile e dannoso. Una vecchia concezione di protezione della trentinità che ricorda un certo tipo di politica di stampo democristiano.
Ma se cinquant’anni fa un certo grado di protezionismo aiutava a fornire qualche chance in più per uscire dall’isolamento, ora non giova più a nessuno e contribuisce all’arretramento. Non giova alla Provincia, che rischia perennemente ricorsi alle autorità competenti, con notevole dispendio di denari ed energie; non giova ai lavoratori trentini, che potrebbero trarre arricchimento da una libera circolazione della cultura e del sapere e da esperienze di colleghi di altri territori. Non giova, infine, ai nostri giovani, che oltrepassato il confine di Borghetto potrebbero scoprire che la loro terra non ha dato loro gli strumenti necessari per affrontare realtà più complesse e competitive.
Un dato è certo: ora i messaggi alle autorità competenti in materia e alla politica sono arrivati forti e chiari e da ambienti e soggetti diversi. Con un po’ di imbarazzo la politica ha decisamente accusato il colpo, promettendo un approfondimento ed eventuali revisioni. Non ci resta che attendere per vedere se veramente insieme ad apprezzabili ma fugaci approfondimenti culturali quali il Festival dell’Economia, si cercherà di spalancare le porte e a far circolare stimoli, idee, professioni e persone intenzionate a restare e contribuire al processo di crescita interna, o se più forte sarà la tentazione di continuare a creare illusioni perché nulla cambi e perché il potere possa sventolare classifiche e primati discutibili, perché conseguiti con regole che esistono solo qui.