Quando la politica si chiama Travaglio
In tanti, quasi tutti giovani, ad ascoltare il giornalista di destra che attacca la destra
Il pubblico che va al liceo Galilei a sentire Marco Travaglio è numerosissimo. E così in diversi sono costretti a seguire il colloquio da fuori, e fanno sentire la loro voce contro l’associazione organizzatrice Trento Attiva.
I presenti sono quasi tutti studenti, in molti dello stesso liceo Galilei. “Lo seguo spesso in televisione, i miei genitori seguono Annozero, e lo volevo vedere di persona. Mi piace perché parla facile” ci dice una ragazza. “È l’unica persona che quando parla di politica, nessuno sbadiglia”, aggiunge un giovane. Insomma, è la popolarità di Travaglio a superare la disinformazione e la diffidenza verso l’argomento, la politica, che soprattutto tra i giovani non è certo molto in voga.
Una signora informatissima, attrezzata di una copia de Il fatto quotidiano, di cui Travaglio è vicedirettore, afferma che “un giornalista di destra che critica la destra, è imparziale”, visto e considerato che “è sempre facile criticare il tuo oppositore, più difficile è criticare chi sta dalla tua parte”.
Riflettendoci, effettivamente ci si accorge di come questo mix di appartenenza culturale (di destra) e di posizione politica (contraria a questa destra) risulti determinante nel catturare l’attenzione di un gruppo di persone che, politicamente parlando, gli sarebbe avverso ma che nell’attuale caos delle convinzioni si aggrappa a lui e ne fa quasi un simbolo di sincerità. Anche se non tutti sono a conoscenza del suo passato da allievo di Indro Montanelli, tanto che uno studente ci racconta che per lui “è un uomo di sinistra che ce l’ha con Berlusconi”.
In effetti, le parole di Travaglio giungono dirette anche all’orecchio dell’ascoltatore non particolarmente informato, e che magari non ha un’opinione ben precisa riguardo le tematiche di attualità. Quelle che lui distribuisce sono certezze sotto forma di sentenze, il cui sfondo è una cultura legalitaria di stampo montanelliano, che attecchisce soprattutto grazie alla sua indiscutibilità, perlomeno apparente, dando la sensazione di “oggettività, senza chiacchiere inutili come tutti gli altri”. In fondo, come titolava la rubrica che egli stesso curava per Repubblica on line, carta canta. Il suo pubblico è lì proprio per questo, e cioè per “ascoltare qualcuno di fidato, che parli con cognizione di causa”. E così è proprio la fiducia la caratteristica principale del rapporto che lega Travaglio agli spettatori, un rapporto confidenziale che affonda le radici in qualcosa che va oltre la sua abilità dialettica e la sua ironia. E in tutto questo è sicuramente decisivo l’attuale vuoto politico, tanto che alcuni sono convinti che “in una situazione diversa, Travaglio nemmeno esisterebbe, non ce ne sarebbe bisogno”.
Verso la fine dell’incontro viene sommerso da domande di carattere non solo politico, ma anche lavorativo e personale, poste da studenti curiosi ed evidentemente stimolati. È un affollarsi, un sovrapporsi di domande, a testimoniare ancora una volta la particolarità del legame stabilito con l’uditorio.
All’uscita dall’aula polivalente del Galilei ci sono solo volti soddisfatti: hanno sentito ciò che si aspettavano, la fiducia non è stata tradita, si è riso e riflettuto allo stesso tempo, ripetutamente applaudendo specie alle rivendicazioni di estraneità al torbido mondo della politica. “Io credo in quello che dice perché non vuole candidarsi, non lo vuole un posto in parlamento. Fa il giornalista, e basta”, è il commento di uno dei pochi anziani presenti. Qualcuno acquista “Ad Personam”, la cui presentazione era il motivo ufficiale dell’incontro, e se lo fa anche autografare, altri filano via col sorriso.
Non ci sono scontenti, perché, per l’appunto, come ci ricorda un signore all’uscita dell’aula, “Travaglio è uno che divide, non gli importa niente di niente. Se lo vai ad ascoltare, è perché sai già che dirà cose che ti piaceranno”.