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Le barzellette non si spiegano

La cosa era già successa anni fa, col retro del Teatro Sociale di Trento, fresco di restauro. Ci spiegarono che quegli strambi accostamenti di pietre di natura e colore diversi si riferivano ai vari momenti della storia urbanistico-architettonica della città. Se non ce l’avessero detto, chi l’avrebbe capito? No, non ci siamo: mica è normale che chi racconta una barzelletta sia poi costretto a spiegarla all’uditorio!

Nel caso dei sacchi di sabbia attorno a Dante Alighieri, che dire?

Premesso che qui non voglio parlare dei soldi pubblici spesi nell’opera (su questo e altro, vedi l’articolo di Stefano Zanella a pag. 26), confesso che, sul piano estetico, l’operazione non mi è dispiaciuta: è innegabile un forte impatto visivo, che sarebbe stato ancor più coinvolgente se il baluardo fosse arrivato agli 8 metri com’era previsto. Ma è arte, questa, o non piuttosto una simpatica manifestazione ludica, che quindi non necessita di giustificazione alcuna?

Invece Lara Favaretto, ideatrice del fortilizio, vuole essere presa sul serio, e spiega che “i sacchetti di sabbia stanno a significare la difesa dell’identità del Trentino”. Ha preso di mira la statua di Dante “perché ho parlato con chi la città la conosce e il suo significato so che è pregnante per l’identità trentina”.

Difenderla da chi, quella statua e quell’idea? Non certo da inesistenti austriacanti. Dagli immigrati, allora? E anziché una trincea difensiva non si può intendere il muro come una barriera che nasconde, che cancella? E dunque, le interpretazioni possono legittimamente essere almeno tre.

Versione leghista: proteggiamo le nostre tradizioni dall’infezione extracomunitaria.

Versione progressista: attenuiamo un po’ la nostra identità nazionale per favorire il contatto con le altre culture presenti in Trentino.

Versione fascista: difendiamo Dante, che col suo dito rivolto verso nord ci ricorda ancora che l’Alto Adige è italiano.

E non è finita, perché l’artista così prosegue: “Per me [Dante] è il simbolo del linguaggio, della comunicazione che ha perso senso ed allora, con la trincea costruita attorno, attribuisco al monumento un’altra connotazione”. E quattro, troppa grazia!

Ma ancora non basta, perché Danilo Eccher, presidente della Fondazione Galleria Civica, corre in soccorso della Favaretto, ricordandoci che “l’arte contemporanea deve essere un inciampo continuo. Deve disturbarci ininterrottamente, deve saper turbarci”. Cioè essere provocatoria. Ma in tal caso l’intento dell’operazione ha da essere immediatamente evidente. La “Merda d’artista” di Piero Manzoni era provocatoria in quanto spingeva alle estreme conseguenze la mercificazione dell’arte. Ma qui gli intendimenti dell’autrice si moltiplicano volteggiando nell’aria come farfalle, perché, dopo il nefasto crollo, la Favaretto aggiunge ancora: “Mi ero imposta di fare un certo lavoro. Invece il caso ha voluto diversamente, ed è bene così. Minosse e Dante guardano oltre i sacchi di sabbia”. E con ciò?

In questa babele di messaggi è autorizzata a intervenire anche la signora che, passando per la piazza, si dice convinta che il crollo rientrasse nel copione della Favaretto, con un significato però tutto da precisare: una difesa fallita o un nascondimento impossibile? O che altro? Mentre Ivo Winkler, quando ancora circola l’ipotesi dell’attentato, ironizza: “L’hanno buttata giù? Un esempio di arte interattiva”.

In conclusione, mentre le reazioni della gente ma anche degli intellettuali oscillano fra la protesta e lo sberleffo, l’artista piange sulla sabbia versata: “Non avevo mai sperimentato un clima così ostile come qui a Trento...Perché vi dà così fastidio che ci sia quest’opera? Perché non è passata inosservata? Quale nervo vi ho toccato per scatenare tutto questo polverone?”

A godere, rimangono solo i leghisti, subito pronti a buttar via il bambino con l’acqua sporca: “Quanto accaduto dimostra come la Fondazione Galleria Civica sia ormai un inutile orpello culturale, una struttura che dilapida soldi pubblici che meriterebbe la chiusura immediata”. Un bel risultato.

P. S. Da bambino, e fino all’adolescenza, appena mi sedevo sulla poltrona del barbiere, davanti a tutti quegli specchi, a quei flaconi e bottigliette, venivo preso da un desiderio spasmodico di afferrare una spranga, spaccare tutto e infine avvolgere quella rovina in una bianca nuvola di talco. Regalo questa idea, che mi sembra suggestiva, per una performance artistica, suggerendo di riprenderla con una telecamera. Il significato, il messaggio? Così su due piedi non saprei, ma se a qualcuno interessa, qualcosa m’invento.

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