Stupefacente!
“Ridurre la sofferenza evitabile deve divenire un punto di civiltà e una pretesa legittima per tutti i cittadini.” (Salvatore Veca)
Mi capita ogni tanto (chi mi conosce sa che uso la televisione in dosi omeopatiche) di guardare il “Dr. House”. Medico misantropo, cinico e burbero che combatte con il “vicodin” (oppiaceo) il continuo dolore causato da un aneurisma a una gamba. Farmaco per il quale ha una forte dipendenza e che gli causa sbalzi di umore (soprattutto in astinenza), peggiorando il suo carattere. Capisco perfettamente la sua resa ai medicinali perché convivo da quindici anni con forti dolori alle gambe, resistenti a tutti i farmaci. Sicuramente per una qualità di vita migliore anch’io sarei disponibile all’oppio. Ma eccomi qui impotente e incompresa per non riuscire a raccontare questo dolore a medici, parenti e amici, che quasi mai mostrano comprensione, come se lamentarsi fosse sempre un torto.
Sono consapevole di non essere sola in quest’universo sofferente perché, da un’indagine del 2007 dell’Associazione Internazionale per lo studio del dolore (Aisd-Eurisko), il 20% degli italiani soffre di dolori cronici. Eppure c’è pochissima sensibilità verso il dolore, al punto che solo l’8% dei medici ha ritirato il ricettario speciale per gli oppiacei e i cannabinoidi. Le Nazioni Unite considerano l’utilizzo di morfina terapeutica un parametro per giudicare il grado di civiltà di un Paese e siamo al penultimo posto nella classifica europea (prima di Malta). Ultimi a livello mondiale (insieme a Etiopia e Zambia) per la diffusione delle terapie analgesiche.
Da sempre la cannabis viene utilizzata nella farmacopea e allo stesso tempo un pregiudizio ideologico ne limita la conoscenza e l’impiego. Nonostante che a favore dell’utilizzo dei cannabinoidi si siano schierati istituti come l’Accademia Nazionale delle Scienze americana, la British Medical Association e il Comitato per la Scienza e la Tecnologia della Camera dei Lords inglese. È di pochi giorni fa la notizia che Barack Obama ha chiesto alle Autorità Federali di non perseguire penalmente i malati che fanno uso di cannabis e le loro Associazioni. Anche in Italia, ai sensi del D.M. 18.04.2007, sarebbe possibile importare farmaci a base di cannabinoidi per contrastare il dolore e gli spasmi nella sclerosi multipla, la nausea durante la chemioterapia, il deperimento fisico nella sindrome HIV, le convulsioni epilettiche. Una sorta di ultima spiaggia per tanti malati è quindi rappresentata dal “sativex” (uno spray a base di cannabis che si spruzza sotto la lingua) e pure per me un barlume di speranza, anche se vivo nella provincia sbagliata.
La trafila burocratica per ottenere questi farmaci è estremamente complessa, lunga e costosa, e dipende dalle disponibilità finanziarie delle Regioni. Può capitare che la Provincia di Bolzano e la Regione Marche concedano il prodotto, mentre in altre, come il Trentino, non sia consentito. La spesa media per un mese di trattamento si aggira intorno ai 5-600 euro, metà dei quali per tasse d’importazione e spese di spedizione, e i tempi di attesa sono di molti mesi.
Una breve ricerca su Internet porta a galla storie di dolore e di pazienti che non potendo affrontare i costi e i tempi della trafila legale, ricorrono alla marijuana comprata per strada, nonostante possa essere molto pericolosa per fisici fortemente debilitati. Non confondiamo le due cose: una è curarsi con un farmaco cannabinoide, la cui produzione è il frutto di studi e lavorazioni controllate, ben diversa cosa è uno spinello, dove la stessa cannabis che brucia, la carta, il tabacco che si usa ecc., sono altamente nocivi per l’organismo.
L’Italia coltiva la migliore canapa terapeutica d’Europa, per la quale riceviamo anche finanziamenti dall’Unione Europea, ma la legge impone di distruggerla quasi tutta, dopo averne utilizzata una piccola parte per ricerche. Potremmo produrre il farmaco a un terzo del prezzo attuale, ma qui occorrerebbe fare pressione su politici e medici con un atteggiamento culturale diverso, che nasce dalla conoscenza e dal rispetto della sofferenza.