Elton John alla bolognese
Lucio Dalla all'Auditorium di Trento: ha forse accontentato chi lo conosce poco; invece chi conosce e ama le sue liriche di un tempo, non può non rimanere stupito dalla mediocrità della sua produzione attuale.
Auditorium pieno per due terzi e due voci onnipotenti (perché assenti) si levano dall’alto del teatro. Una è quella di Lucio Dalla. Alla fine di questo dialogo si apre il sipario e Lucio inizia a cantare. Volume sparato, ma dopo pochi istanti tutto assume più equilibrio e l’acustica durante lo spettacolo rimane stabile: si percepiscono parole chiare e suoni puliti.
Il problema è che le parole delle canzoni sono chiare e… banali. Banali da almeno vent’anni, Lucio! Durante il concerto si ha un chiaro esempio di questa situazione: Lucio nostro presenta un brano sulla guerra, "Ciao", che fa prima leggere all’attore Marco Alemanno, stucchevole nella sua interpretazione. Sicuramente la canzone di Dalla è più intensa della declamazione dell’attore (raccomandato?), ma il problema è il testo dai contenuti poco validi. Anzi, dai pochi contenuti. L’interazione tra un mezzo potente come la musica e un tema forte come la guerra potrebbe portare a strapparsi la pelle; indurre a intravedere una nuova e sconcertante prospettiva. Invece questa canzone, come le altre, si limita a parlare di un qualcosa di superficiale, scontato ("…una canzone/ mentre la stai cantando/ di là qualcun altro muore/ qualcun altro sta nascendo/ è il gioco della vita/ la dobbiamo preparare/ che non ci sfugga dalle dita /come la sabbia in riva al mare…").
Infatti "Ciao" non riesce a smuovere davvero il pubblico, che risponde con un applauso che dopo cinque minuti non lascerà segni.
A lasciare segni è invece il look del nostro Lucio, stile "Omino Buffo", con un simpatico parrucchino, effetto cado non cado. Un Elton John alla bolognese.
Gli altri musicisti si tengono in disparte, compreso Ricky Portera, chitarrista storico e fondatore degli Stadio, che si nota solo per la giacca sbottonata con petto e pancia in evidenza.
Gli unici sussulti arrivano dalla corista Iskra Menarini. Non la solita Betty Boop che schiocca le dita e muove a ritmo il bacino, ma una cantante di qualità, dalla voce soul e dalle morbide forme di sirena, dipinta da Botero.
Il concerto, della durata di quasi tre ore, ha forse accontentato chi Lucio Dalla lo conosce poco. Chi lo conosce bene invece esce insoddisfatto, perché a rendere mediocre il concerto è l’assenza delle "vecchie fidanzate", come le chiamava De Andrè. Cioè le canzoni che appartengono al passato, spesso remoto, dell’artista. Quelle che il pubblico ama di più e con le quali il cantautore ha quasi sempre un rapporto di amore e odio.
Manca "Nuvolari", affascinante poesia dell’automobilismo che fu, sostituita da "Due dita verso il cielo", canzoncina leggera leggera dedicata a Valentino Rossi. E soprattutto manca la fidanzata più bella, "Disperato erotico stomp", canzone che ha saputo raccontare l’Italia di fine anni Settanta-inizio Ottanta meglio dei romanzi e dei trattati di sociologia.