L’esemplare autobiografia di Renato Ballardini
Renato Ballardini, “I guizzi di un pesciolino…rosso. Ricordi di vita e di politica”. Trento, Il Margine, 2007, pp. 192, 15.
“Tutti gli uomini d’ogni sorte che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, o sì veramente che le virtù somigli, doverieno, essendo veritieri e da bene, di loro propria mano descrivere la loro vita; ma non si dovrebbe cominciare una tale impresa prima che passato l’età de’ quarant’anni’." Con queste parole Benvenuto Cellini iniziava, nel 1558, a raccontare la propria vita.
Io non so se ho ‘fatto qualche cosa che sia virtuosa’, ma ho ceduto alle garbate pressioni dell’amico Vincenzo Passerini che, nella meritevole collana della casa editrice "Il Margine", ha creduto di potere degnamente far figurare anche questa mia storia.
Il Cellini era amico di papi e di re. Io non posso fregiarmi di tanto onore, ma in compenso non ho bisogno di giustificare i non pochi crimini compiuti da quell’avventuroso attaccabrighe rinascimentale. E i quarant’anni li ho superati ampiamente (quasi di altrettanti). Quindi posso ardire di proporvi il racconto della mia vita. (…) Spero di essere riuscito, nel riferire i guizzi di un pesciolino, a darvi anche la rappresentazione del mare magnum che lo circondava".
Il Preludio esibisce immediatamente i caratteri del libro di Renato Ballardini. L’autore adduce delle motivazioni per aver scritto di sé e ne rivendica la legittimità: secondo gli studiosi della tipologia dell’io autobiografico sono tratti distintivi dell’autobiografia premoderna, mentre in quella contemporanea l’incipit non esplicita le motivazioni e l’autore scrive direttamente di sé. La citazione dalla "Vita" del Cellini, nel ricondurre ad una illustre tradizione, precisa che non ci troviamo di fronte ad un’apologia: l’autore non scrive per giustificarsi di errori che gli vengono attribuiti o per rappresentare un percorso di conversione. Il suo racconto si avvicina piuttosto, tra le definizioni classiche, all’exemplum. Misurato e laico com’è, lo scrittore non propone la sua vita come modello: ma l’esemplarità è insita nella sollecitazione dell’editore. E l’io stesso narrante, per quanto attento sia a tenersi lontano dall’autocelebrazione, deve riconoscere che il suo è il resoconto di una vita riuscita, tracciato in età matura nella pienezza della propria capacità di sentire e di agire, come attesta la sorridente pagina conclusiva. Infine, al centro non c’è tanto uno scavo interiore di tipo psicoanalitico, quanto la rappresentazione del rapporto tra sé e la società: "i guizzi di un pesciolino nel mare magnum che lo circondava", appunto.
L’agile testo ha una grande leggerezza di scrittura, i toni sono spesso autoironici, lo scrittore autobiografo non contraddice l’uomo che ammiriamo anche per la limpida razionalità del suo argomentare e per l’attitudine a rifuggire le retoriche della nostalgia. Il rischio per chi si accosta a queste pagine sapientemente levigate può essere proprio quello di non avvertire la lezione di misura che vi è insita. Si guardi a come Renato Ballardini racconta il segmento tragico della sua storia, quello della partecipazione al gruppo di resistenza costituitosi intorno a Gastone Franchetti, della sua fortunata lontananza quando il fatale 28 giugno 1944 esso viene falciato sanguinosamente, dell’imprigionamento in sua vece del padre Remo e della sua morte. Due amici, come lui protagonisti giovanissimi di quella vicenda emblematica della nostra storia, l’hanno raccontata in libri diversi e parimenti indispensabili, il romanzo "Le stagioni interrotte" di Luciano Baroni e il saggio storico autobiografico "Zum Tode" di Giorgio Tosi. Ballardini elude l’opportunità di allineare ad essi una terza narrazione di analogo respiro e rinserra questo nucleo di così profonda drammaticità in un capitolo steso in una prosa essenziale.
Nella calibrata architettura dell’autobiografia questa è forse una scelta necessaria, anche se per molti lettori, come per chi scrive, sarà acuto il rimpianto di non aver potuto sbirciare almeno qualche nota dei "piccoli quaderni" nei quali versava il suo "quotidiano lamento", che conserva tuttora ma cui non riserva la stessa visibilità di altre pagine di diario, utilizzate più avanti a documento della dimensione internazionale della sua straordinaria esperienza politica.
Sessant’anni e più in prima linea, con la soddisfazione di aver contribuito incisivamente a conquiste civili come la legge sul divorzio e alla regolamentazione autonomistica della questione altoatesina. Come i lettori delle sue note quindicinali sanno, lo sguardo di Ballardini è rivolto in avanti, anche nel tormentoso presente, con illuministico ottimismo della volontà. Nella sua incarnazione dell’animale politico, la politica non è mai tutto: perché si sposa con un’altrettanto lunga e significativa attività forense, perché non è mai professione unica e obbligata, perché la difficile impresa di comporla con gli affetti è infine anch’essa riuscita, nonostante il carico di sofferenza che questo equilibrio comporta per sé e per le persone care.
Il sereno orgoglio che ci pare di cogliere nella pagina conclusiva di questo moderno exemplum è sicuramente giustificato.