Fondi pensione: basta guadagnarci?
Una domanda che dobbiamo farci: chi finanziamo con i nostri soldi?
“Voi del sindacato venite qui a cercare di convincerci a consegnarvi la nostra liquidazione. E poi magari vi bruciate tutto nei Bond argentini e chi s’è visto s’è visto".
Con questo virgolettato cominciava l’articolo di Michele Guarda sulla destinazione del TFR, pubblicato su Questotrentino del 5 maggio scorso. Una frase che ben evidenzia la diffidenza strisciante che da parte di molti dei lavoratori non solo trentini esiste nei confronti della previdenza integrativa, alla quale i sindacati confederali li invitano da mesi a destinare il loro TFR.
Ovvio che, quando si investono i propri soldi, si voglia essere sicuri che, nella peggiore delle ipotesi, essi torneranno indietro, e che, nella migliore, porteranno ad un guadagno. Tanto più se quel guadagno dovrà rappresentare la propria fonte di reddito una volta terminata l’attività lavorativa. Michele Guarda ha ben spiegato ai lettori le ragioni per le quali la scelta della previdenza integrativa dovrebbe essere ritenuta una scelta economicamente piuttosto sicura.
Ma è possibile, oggi, limitarsi a guardare solo alla sostenibilità economica di un investimento? In quest’epoca di produzioni delocalizzate nel Sud del Mondo e di crisi ambientali più o meno gravi e non più occultabili, ci si può permettere, quando si decide di investire il proprio denaro, di chiedere semplicemente ch’esso torni indietro con gli interessi?
Crediamo di no. Crediamo che i lavoratori, e il sindacato in primis, dovrebbero, in questo frangente, preoccuparsi della sostenibilità sociale ed ambientale degli investimenti pensionistici almeno tanto quanto si preoccupano di quella economica. Abbiamo così cercato di capire se la scelta di un fondo pensione sostenibile non solo economicamente, ma anche socialmente e ambientalmente sia oggi, in Trentino e in Italia, effettivamente percorribile o invece resti soltanto una chimera per idealisti.
Laborfonds, attivo dal 2000, è il principale fondo pensione del Trentino Alto Adige. Fondo chiuso, ovvero riservato a determinate categorie di lavoratori (in tal caso quelli dipendenti da imprese operanti sul territorio regionale), è oggi aderito da oltre 85.000 iscritti. Metà sono dipendenti pubblici, un quarto industriali, il resto viene per lo più dai servizi. In ambito regionale, si tratta di una piccola potenza della previdenza complementare, visto che un lavoratore su tre vi aderisce (quasi due su tre se si guarda al pubblico impiego). Laborfonds è uno strumento del "Progetto PensPlan", nato per volontà del legislatore regionale nel 1997 al fine di promuovere e di sviluppare la previdenza complementare in Trentino Alto Adige.
Laborfonds, nei suoi sei anni di vita, ha garantito ai propri iscritti un rendimento annuo del 3,68% (contro il 2,73% del TFR): un risultato di tutto rispetto, ripagato dalla crescita esponenziale degli iscritti. Come deve sapere chiunque investa sui mercati finanziari con un minimo di avvedutezza, i rendimenti passati non sono necessariamente indicativi di quelli futuri; possiamo tuttavia affermare che il requisito della sostenibilità economica sia stato finora rispettato da Laborfonds. E gli altri due, quelli della sostenibilità sociale e ambientale?
Entriamo nel sito di Laborfonds (www.laborfonds.it) per cercare informazioni che ci permettano di capire dove vengono investiti i soldi degli iscritti. Il sito è ricco di dati e grafici sulla gestione del fondo: iscritti, categorie, andamento, patrimonio. D’altra parte, quello della trasparenza è un requisito imposto per legge a tutti i fondi pensione.
Tra le informazioni fornite con evidenza, c’è la percentuale massima di azioni acquistabili, il 40% del portafoglio; il resto sono obbligazioni, più sicure. Ma questo dato non ci basta. Apriamo un file .pdf nominato "Il fondo in numeri". Facciamo scorrere le pagine e ci imbattiamo in un grafico a torta con l’indicazione delle percentuali d’investimento per settore economico: 24% nel settore finanziario, 16% nella produzione di beni durevoli, 14% nell’industriale, 12% nella produzione di beni non durevoli, 10% nell’energetico, 9% nelle comunicazioni, e così via, fino a chiudere con un 3% nel tecnologico. Ma questo dato ancora non è sufficiente: vogliamo sapere di preciso in quali titoli investe Laborfonds.
Continuiamo a cliccare, ma, con una certa sorpresa, fatichiamo a trovare l’informazione che cerchiamo. In effetti, non le è stata data la visibilità che meriterebbe. Bisogna avere l’intuizione di aprire il file .pdf del bilancio 2005 del fondo e poi la pazienza di scorrere fino a pagina 20 per trovare ciò che cerchiamo, all’interno di un documento dalla lettura piuttosto difficile come può essere il bilancio economico annuale di un’impresa. Oltretutto, i titoli del portafoglio non sono pubblicati nemmeno tutti, ma solo i primi 50. Come mai?
"E’ la prima volta che mi fanno questa domanda", ci risponde un po’ sorpreso Gabriele Lonardi dell’ufficio stampa dell’Eurizon Financial Group s.p.a., società del gruppo bancario Intesa Sanpaolo che controlla Eurizon Capital Sgr, primo operatore nel risparmio gestito in Italia, nonché uno dei sei operatori che, su mandato di Laborfonds, collocano sui mercati azionari e obbligazionari i soldi versati dai lavoratori; per la precisione, Eurizon Capital colloca la quota più consistente dei soldi versati dagli iscritti a Laborfonds, oltre un terzo. "Un regolamento di Banca Italia emanato nel 2005 – ci spiega Lonardi – impone ai fondi pensione di rendere pubblici almeno i primi 50 titoli del portafoglio e comunque quelli che hanno un peso superiore allo 0,5%. Conoscere i primi 50 titoli è già conoscere gran parte del valore del portafoglio. Non vengono comunicati tutti per una questione di tutela dalla concorrenza degli altri gestori".
"Nemmeno io saprei fornire l’elenco completo di tutti i titoli. – gli fa eco Giorgio Valzolgher, direttore di Laborfonds – D’altra parte, quelli dal 51° in poi hanno un peso talmente basso che conoscere quali sono diventa poco significativo".
Le giustificazioni di Lonardi e di Valzolgher, a dire il vero, ci lasciano piuttosto perplessi. Calcolatrice alla mano, scopriamo infatti che i primi 50 titoli del portafoglio 2006 di Laborfonds ammontano solo al 42,47% del totale; questo significa che chi investe nel fondo non può sapere dove va a finire oltre la metà dei suoi soldi. Vediamo poi che il 50° titolo del portafoglio 2006 di Laborfonds "pesa" per uno 0,41%; quelli successivi peseranno per meno: ammettiamo quindi che il 51° pesi per uno 0,3% (è una stima al ribasso). Siccome il portafoglio ammonta a complessivi 453 milioni e 732 mila euro, tale titolo varrebbe un milione e 361 mila euro. Non proprio bruscolini. Non proprio insignificante sapere nelle tasche di chi vanno a finire.
Pur sapendo che il dato è quindi parziale, proviamo a spulciare nell’elenco dei primi 50 titoli del portafoglio di Laborfonds, ritenendo di fornire in tal modo un servizio a quegli iscritti – crediamo la maggioranza – che non sono soliti leggere il bilancio economico annuale del loro fondo pensione (qui ci rifacciamo all’elenco pubblicato nel bilancio 2005, l’ultimo messo online da Laborfonds).
Vediamo che sono quasi tutti titoli di Stato. Quelli tedeschi fanno la parte del leone, seguiti da quelli italiani. Ci sono poi quelli francesi, spagnoli, austriaci, olandesi, statunitensi. Il primo titolo non statale dell’elenco è dell’italiana Eni, sesto gruppo petrolifero mondiale, a cui Laborfonds fa pervenire 2 milioni e 836 mila euro. Il secondo è della francese Total SA, quarto gruppo petrolifero mondiale, cui vanno 2 milioni e 263 mila euro. Il terzo titolo non statale del portafoglio è della Unicredit, quinto gruppo bancario d’Europa, nelle cui casse entrano via Laborfonds 2 milioni e 577 mila euro.
Arriviamo ora al punto da cui siamo partiti, la responsabilità sociale e ambientale: si possono definire responsabili questi investimenti fatti da Laborfonds? Non esattamente. I titoli di Eni, Total e Unicredit, e così pure i titoli di Stato italiani, non sarebbero entrati a far parte di un fondo pensione etico. O meglio, non sarebbero entrati a far parte di un fondo pensione gestito da Etica Sgr, società controllata da Banca Etica. Etica Sgr è il più importante operatore finanziario etico italiano, l’unico che opera seguendo esclusivamente criteri etici nella scelta dei titoli nei quali investe.
"Non ha senso pensare al proprio futuro post-lavorativo investendo in fondi che renderanno quel futuro insostenibile sia socialmente che ambientalmente". A parlare è Mauro Meggiolaro di Etica Sgr, che ci spiega come vengono investiti i soldi degli iscritti ai fondi promossi dalla società. Etica Sgr usa dei criteri molto severi. Dapprima la scelta è guidata da criteri di esclusione. Sono ad esempio escluse a priori tutte le imprese che producono armi o non rispettano il Codice Internazionale di marketing dei sostituti del latte materno. Come, nel primo caso, Finmeccanica e, nel secondo, Nestlè. Citiamo queste due imprese perché i loro titoli nel 2005 hanno fatto parte del portafoglio di Laborfonds.
Le imprese che superano i criteri di esclusione sono poi sottoposte a dei criteri di selezione basati su 50 indicatori di sostenibilità ambientale e sociale. Tra questi, la produzione di energia da fonti rinnovabili. Pertanto, la scelta non potrebbe ricadere nemmeno sui colossi petroliferi Eni e Total, altri due titoli del portafoglio di Laborfonds. E resterebbe fuori anche il terzo titolo non statale su cui investe il fondo pensione nostrano, quello di Unicredit. Quest’ultima è stata infatti nel 2006 una delle banche italiane che hanno contribuito al commercio di armi italiane all’estero, accreditando ai propri clienti soldi che questi hanno guadagnato vendendo armi fuori dai confini nazionali (l’elenco completo delle "banche armate" si può leggere nella relazione annuale sul commercio di armi italiane all’estero della Presidenza del Consiglio dei Ministri). In termini di importi accreditati, la Unicredit è stata la terza banca con 86 milioni di euro. In cima alla classifica, Sanpaolo Imi, con 446 milioni di euro: si tratta di un altro dei titoli nei quali Laborfonds ha investito nel 2005. Uno dei criteri di selezione adottati da Etica Sgr è quello dell’attenzione ai rischi sociali dell’impresa, ed evidentemente le due banche in questione non avrebbero potuto essere scelte per entrare a far parte del portafoglio di un fondo gestito con tale criterio.
E i titoli di Stato? Anche qui l’etica ci mette il filtro. Sono solo 11 gli Stati nei quali i fondi promossi da Etica Sgr investono, e tra questi manca l’Italia. "Lo Stato italiano non soddisfa tre dei criteri ai quali è ispirata la nostra scelta – ci informa Meggiolaro – In primo luogo, la quota di PIL destinata ai Paesi in via di sviluppo è troppo bassa, 0,3% contro l’obiettivo fissato dall’ONU dello 0,7%. Inoltre, l’Italia si caratterizza per norme ancora troppo blande nella gestione dei rifiuti e per un indice di percezione della corruzione ancora troppo elevato". Insomma, nemmeno i titoli dello Stato italiano, cospicuamente presenti nel portafoglio di Laborfonds, passerebbero l’esame di Etica Sgr.
C’è poi un altro elemento che caratterizza i fondi gestiti da Etica Sgr, che non riguarda la scelta dei titoli, ma il livello di trasparenza col quale gli esiti di tale scelta vengono comunicati al pubblico. Un livello ben più alto di quello dei fondi che si limitano, come impone Banca Italia, a pubblicare nei proprio bilancio l’elenco dei primi 50 titoli del portafoglio, senza peraltro dare a tale elenco la giusta evidenza. Etica Sgr pubblica infatti in bella vista sul suo sito (www.eticasgr.it) l’elenco di tutti i titoli nei quali vengono investiti i soldi dei tre fondi d’investimento da essa promossi. Questa sì che si chiama trasparenza.
Scelta etica? Conviene e si può! "L’obiezione che di solito viene avanzata ai fondi etici – ci spiega Meggiolaro – è quella di avere rendimenti scarsi. E’ un luogo comune lontano dal vero. Un’impresa responsabile sul piano sociale e ambientale già oggi, e ancora di più domani, può risultare, in una prospettiva di medio-lungo periodo, che è quella che interessa agli investitori, ben più competitiva di un’impresa irresponsabile, e dunque anche più solida economicamente".
I dati danno ragione a Meggiolaro. Come emerge da una ricerca di Etica Sgr, negli ultimi 10 anni, i titoli delle imprese responsabili sono cresciuti del 94% (andamento dell’indice etico Ftse4Good Global), un rendimento superiore al 75% registrato dall’indice generale (Msci World). I tre fondi d’investimento promossi da Etica Sgr hanno avuto negli ultimi tre anni un andamento dell’ 1,3%, del 2,3% e del 5,7%.
E allora, cosa può fare il lavoratore trentino per scegliere di costruirsi una pensione "etica"?
Le scelte oggi disponibili non sono molte. Ma proprio Etica Sgr può rappresentare una soluzione ideale. E’ infatti partita a metà aprile la linea d’investimento etica di Plurifonds, denominata Aequitas. Plurifonds, partecipato dall’istituto assicurativo Itas, è un altro fondo pensione attivo nell’ambito del "Progetto PensPlan" di cui, come detto, fa parte anche Laborfonds. A differenza di quest’ultimo, che è chiuso, Plurifonds è un fondo pensione aperto a tutti, anche a chi non è titolare di reddito da lavoro. Cosa c’entra la linea Aequitas con Etica Sgr? C’entra eccome, perché sarà proprio Etica Sgr a selezionare i titoli nei quali essa investirà, ispirandosi agli stessi criteri di responsabilità sociale e ambientale cui sopra s’è fatto cenno.
"Abbiamo scelto di collaborare con Itas – spiega Meggiolaro – perché si tratta di un istituto assicurativo che non può essere soggetto a cordate, è mutualistico, e i suoi clienti sono anche soci: tutte caratteristiche che ne fanno un soggetto idoneo ad agire in modo credibile nell’ambito della finanza etica".
E chi oggi è iscritto a Laborfonds? Deve rassegnarsi a finanziare un futuro insostenibile nel quale spendere la propria pensione?
Per fortuna no. "Dal prossimo anno – ci fa sapere il direttore Valzolgher – Laborfonds non avrà più un’unica linea di investimento, ma quattro, ed una di queste sarà etica. Ci sarà un bando pubblico per individuarne il gestore".
Sarà dunque il Trentino a fare da portabandiera nazionale nel campo della previdenza complementare etica? Staremo a vedere…