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QT n. 5, 10 marzo 2007 Monitor

Se son Roses... Sfioriranno

Il testo di Warren Adler dimostra i suoi limiti di scontatezza. E in questi casi, un'ottima messa in scena (di Ugo Chiti) e un'ineccepibile recitazione (Zanetti e Lattuada) possono ben poco...

Giancarlo Zanetti.

Terzo appuntamento quest’anno, se la memoria non ci tradisce, con la crisi del matrimonio a teatro: avevano iniziato Paolo Ferrari e Valeria Valeri, con la sciapa commedia di Maurizio Costanzo, “Vuoti a rendere”; erano poi arrivati Paolo Bonacelli, Patrizia Milani e Carlo Simoni, che “grazie” a Strindberg ci avevano sprofondati nel buco nero della vita coniugale, in “Danza di morte”, un titolo/un programma... Infine, dal 21 al 25 febbraio è stata la volta di Laura Lattuada e Giancarlo Zanetti, che in “La guerra dei Roses”, di Warren Adler, per la regia di Ugo Chiti, hanno portato sul palco del Teatro Sociale di Trento il tragicomico conflitto dei coniugi Roses, già visti nella versione cinematografica, interpretati da Michael Douglas e Kathleen Turner.

Il matrimonio, verrebbe da dire, è un luccicante e luminoso lampadario di cristallo, sorretto da cavi che a poco a poco cedono, cui stanno appesi i coniugi: prima o poi, se non provano a staccarsene, ne vengono travolti e schiacciati. Così accade nel film, così accade, in modo figurato, senza effetti speciali né stuntman, nella messa in scena di Chiti.

Ugo Chiti

La storia, eterna, è sempre la stessa, immutabile, ragion per cui ci si può solo aspettare una scrittura stilisticamente diversa, se non proprio una morale che peraltro quasi mai propone soluzioni al dilemma: sposarsi o non sposarsi? Convivere o non convivere? In tempi di “Dico” la reiterazione del tema sui nostri palcoscenici appare ammiccante alla realtà e vagamente didascalica; gli spettatori d’ambo i sessi non possono non uscire meditabondi sulle proprie scelte esistenziali, fatte o da farsi.

L’ironia del testo di Adler, grottesca, acida, ha pertanto un sapore di déjá vu che la bravura degli interpreti, indiscutibile e convincente, non riesce a scacciare del tutto: le situazioni e le battute sono in larga parte prevedibili e ride chi proprio è molto sensibile a quel tipo di umorismo, come lo è un pesce riguardo al vermetto sull’amo. C’è inoltre “materiale comico” destinato a spettatori capaci di ridere per una semplice banale parolaccia, espediente anch’esso immortale, immarcescibile.

In conclusione, nulla da eccepire sulla regia, la recitazione, la scenografia, l’illuminazione... ma sul testo, sul testo... ecco, sul testo...

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