Non si può processare due volte
...per lo stesso reato. Fin dai tempi del diritto romano. Però poi...
“Ne bis in idem” è un’antica formulazione latina di carattere giuridico. Sembra che il primo a parlarne sia stato Cicerone. Quintiliano, che pure non era un giurista, la definì esattamente: “Bis de eadem re ne sit actio “. Il che significa che nessuno può essere processato due volte per lo stesso fatto.
E’ questo un principio giuridico che vale in tutte le democrazie e costituisce un cardine dello Stato di diritto. Il nostro vecchio codice di Procedura penale lo stabiliva all’articolo 90. La nuova procedura all’articolo 649, sotto il titolo “Divieto di un secondo giudizio”, così dispone: “L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili, non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato“.
La norma costituzionalmente corretta valeva per i reati commessi nello Stato italiano. Se invece un cittadino italiano commetteva un reato in Francia, dove veniva processato e in ipotesi assolto, una volta tornato in Italia, (sussistendone le condizioni) poteva essere nuovamente giudicato e magari condannato.
Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Schengen, allegato al trattato sull’Unione Europea, ciò non è più possibile negli Stati che l’hanno firmato. Il protocollo di Schenghen vieta infatti in modo assoluto il “bis in idem“. Ma, come si suol dire, tra il dire e il fare c’è sempre un mare di difficoltà. Dal complicato rapporto fra le varie Procure europee e le legislazioni nazionali (che non sono ancora state adeguate) nascono infatti interpretazioni diverse della normativa di Schengen e quindi c’è il rischio di una contemporanea pendenza di processi per uno stesso fatto-reato e di giudicati diversi (vedi Barbara Piattoli, ìn “Diritto e Giustizia” 18 novembre 2006 n° 42, pag.100 e seg.). Per esempio, sul decreto di archiviazione c’è ancora dissenso.
Con sentenza del 16 marzo 2005 la nostra Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un soggetto, condannato ìn Italia per violazione della disciplina sulle armi, sulla cui fattispecie l’autorità giudiziaria tedesca si era espressa con un decreto di archiviazione.
Anche sulla prescrizione la giurisprudenza ha dubbi. Sul punto si è espressa con chiarezza la Corte di Giustizia europea con una sentenza del 28 settembre 2006, provocata dal ricorso del giudice di rinvio che chiedeva se una sentenza di assoluzione per prescrizione del reato poteva impedire l’applicazione del principio “ne bis in idem”.Con tale sentenza la Corte di Giustizia ha stabilito che il principio si applica a una decisione di uno Stato contraente (del protocollo di Schengen), pronunciata in seguito all’esercizio dell’azione penale, con cui un imputato viene definitivamente assolto in ragione della prescrizione.
Qualche dubbio è lecito, almeno in sede teorica, perché vi è differenza se la sentenza entra nel merito dei fatti e poi applica la prescrizione, o invece si limita alla applicazione della prescrizione. Lo stesso, mi pare, vale per il decreto di archiviazione. Andrebbero escluse, a mio giudizio, le decisioni puramente formali.
In ogni caso la garanzia del “ne bis in idem”, che ha ormai assunto rango costituzionale ai sensi dell’art. II-110 della Costituzione europea, deve trovare adeguata protezione, rettificando, se del caso, la normativa.