Una estradizione complicata
Quando c’è di mezzo la pena di morte.
L’estradizione è lo strumento giuridico che regola la consegna di una persona ad uno Stato estero per il giudizio, la sentenza e la sua esecuzione. La Costituzione italiana vieta la pena di morte. Cosa succede quindi se un Paese straniero chiede l’estradizione di una persona accusata di un reato, per il quale può essere condannata a morte ? L’estradizione non viene concessa. Lo stabiliva , in modo impreciso, l’art. 698 del Codice di procedura penale. La Corte costituzionale lo ha abrogato con sentenza n°223/96, in quanto prevedeva che le assicurazioni dello Stato estero fossero “sufficienti”, mentre in materia di pena di morte vi deve essere una “esclusione assoluta”, svincolata da ogni imprevedibile valutazione discrezionale.
Accade che il dipartimento della Giustizia statunitense ed il Procuratore dello Stato del Connecticut chiedano l’estradizione del cittadino italiano B. C., accusato di tre omicidi, per mezzo di accordo per commetterli (conspiracy), precisando che per i due reati è prevista soltanto la pena della reclusione, e che in ogni caso la pena di morte è esclusa in base all’art. 16 del Trattato di estradizione firmato il 13 ottobre a Roma fra l’Italia e gli USA. Tale disposizione è nota come “norma speciale”: essa dispone che l’imputato non possa essere processato per un reato diverso da quello per cui è stata ottenuta l’estradizione.
Ciò che io ho raccontato in breve, è stato oggetto di un fitto scambio di documentazione e di note tra gli organi competenti dei due Stati. Alla fine, con sentenza n°31 del 12 aprile 2005, la Corte di Appello di Roma, con una motivazione viziata di illogicità, ritiene sufficienti le assicurazioni degli Stati Uniti e concede l’estradizione. Con decreto 12 novembre 2005 il Ministro Castelli, violando clamorosamente i principi stabiliti dalla Corte costituzionale, convalida l’estradizione.
Contro il decreto i difensori dell’imputato fanno ricorso al TAR, il quale, rilevando nel decreto del Ministro Castelli “un percorso motivazionale quanto meno perplesso”, sospende la sua esecuzione. Si è ora in attesa della decisione nel merito.
Come andrà a finire ? Non è sfuggito all’illustre giurista Giuliano Vassalli (che pubblica un meditato articolo su “Diritto e Giustizia”, n° 22) che il punto dolente della vicenda sta nel fatto che i giudici americani del Connecticut potrebbero, come sarebbe giuridicamente logico, mutare l’imputazione relativa agli stessi fatti. La legge del Connecticut, all’art. 53a-8, afferma che “un concorrente nel reato è penalmente responsabile del delitto come se fosse il reale esecutore”. E’ appunto il caso dell’imputato B. C. che, come risulta dall’incriminazione, è indicato non come autore dei tre omicidi, ma come mandante, mentre gli esecutori materiali furono tre sicari.
Quale garanzia ha l’Italia che i giudici americani non mutino l’imputazione (come vuole la legge americana, e anche il buon senso) in “delitto capitale”? In tal caso la pena di morte sarebbe inevitabile, e lo Stato del Connecticut non sarebbe più vincolato dalla “norma speciale” sopra ricordata.
Chi volesse essere informato più dettagliatamente su questo strano caso può trovare i documenti, le sentenze, il decreto del Ministro e la sospensiva del TAR sulla rivista già citata, con il commento del prof. Giuliano Vassalli .
Mi auguro che questa volta l’Italia sappia far valer la propria sovranità in modo più fermo che nel passato.