Alberghi in vendita
Valle di Fassa: l’economia turistica in sofferenza.
Il mestiere dell’albergatore non è mai stato facile. Sempre al centro di invidie, questo sì. Per comprendere l’impegno che viene richiesto agli operatori del settore bisogna vivere la professione. Negli ultimi anni le antipatie verso l’imprenditoria turistica hanno trovato alimento fertile dalla diffusione a macchia d’olio del contributo pubblico, dalla discrezionalità, tutta politica, con cui questo veniva distribuito. Ma anche dalle uscite pubbliche dei dirigenti dell’associazione provinciale ogni qualvolta abbiano preso posizione su problemi politici o sociali, evidenziando un’assoluta assenza di cultura dell’ambiente, conducendo una guerriglia contro i dipendenti pubblici ed i pubblici servizi, e presentandosi come esponenti dell’economia dominante della provincia: insomma, dimostrandosi incapacità di ogni confronto con le diversità.
Ma i tempi stanno cambiando ed un settore che sembrava impossibile venisse a soffrire di problemi economici e strutturali sta tremando. Fare l’albergatore oggi è sempre più difficile, anche nella forte e stabile valle di Fassa.
Il turismo estivo in montagna è sempre meno appetibile e la stagione non riesce a svilupparsi su tempi lunghi.
Il settore invernale comporta costi di gestione, specialmente energetici, pesanti, solo pochi anni fa imprevedibili in queste dimensioni.
La politica delle seconde case, diffusa in ogni comune turistico (nelle aree ad alta vocazione turistica l’edilizia speculativa ha superato abbondantemente la presenza di edilizia residenziale), oltre ad aver consumato territorio e paesaggio, oltre ad aver cancellato per i residenti la possibilità di costruire la loro prima casa causa i costi insostenibili dei terreni, ha mortificato la qualità del turismo, e l’industria alberghiera è la vittima più importante di questa scelta amministrativa. La legge Gilmozzi sulle seconde case è arrivata troppo tardi e si percepisce come sui territori i sindaci strettamente legati agli studi tecnici non riescano a darle attuazione.
A questi dati oggettivi si aggiunge la politica del contributo provinciale facile. Le imprese alberghiere a conduzione famigliare sono state incentivate a potenziare sempre più la loro offerta. Prima con ampliamenti importanti, poi con l’offerta di sale conferenza, piscine interne, aree fitness, palestre, saune... Tutti interventi che nel corso degli anni hanno impegnato centinaia di strutture: e così gli albergatori, nonostante i sostanziosi contributi pubblici, si sono trovati esposti con mutui incredibili, anche valutabili in milioni di euro. Ed oggi non solo ci si accorge dell’impossibilità di rientrare da simili indebitamenti, ma in troppi casi non si riesce nemmeno a dare una risposta alla scadenza del mutuo.
Dalla descrizione di questo panorama emerge insomma l’ormai più che decennale inadeguatezza politica della rappresentanza sociale degli albergatori. Mentre i dirigenti chiedevano contributi, nuove autostrade, impianti funiviari e attaccavano in modo scomposto le organizzazioni sindacali o la politica delle aree protette, attorno a loro crollavano tutti i presupposti che dovevano sostenere l’industria alberghiera: qualità ambientale, qualità e formazione degli operatori e dei lavoratori, assenza cronica di parcheggi, alberghi privi di ogni intimità e di spazio attorno all’edificio (quando va bene si affacciano su una piazza pubblica). Gli albergatori non sono stati capaci di costruire consorzi o forme di cooperazione nella gestione di piscine, di saune, parcheggi, cioè di tutto l’insieme di optional che poteva andare a rafforzare l’offerta qualitativa di un territorio. Ognuno ha preferito pensare in proprio ed oggi si ritrova a lavorare con il fiatone.
E’ esemplare quanto sta accadendo in valle di Fassa. Solo a Moena sei alberghi su 62 attivi sono posti in vendita. Non si parla di alberghi di basso profilo qualitativo: alcuni di questi raccontano pagine gloriose del turismo di Fassa. Altri sono appena stati ristrutturati e potenziati. C’è chi attende al varco le debolezze degli amministratori comunali per trasformare l’edificio in residence (la cosa è già accaduta recentemente in valle di Fiemme e a Pozza di Fassa), altri sperano di trovare acquirenti esteri che non sappiano come e dove investire. E’ il caso della mafia russa, che si dice stia ramificando la sua rete in alta valle di Fassa, in modo significativo a Canazei, ma sono molti gli investitori dei paesi dell’Est che si alleano con speculatori italiani, lombardi ed emiliani, attendendo che le tante ossa presenti rimangano prive di polpa.
Se questi segnali dovessero ulteriormente diffondersi, l’intera industria del turismo trentino si troverebbe priva di prospettive.
Sono i segnali di allarme che l’ambientalismo provinciale aveva denunciato fin dall’inizio degli anni Ottanta. E’ sufficiente leggere i documenti di SOS Dolomites riguardanti l’area ladina per ritrovare denunciati questi pericoli; è sufficiente leggere le analisi di CIPRA Internazionale quando denunciava il rischio della cancellazione dall’offerta turistica della identità, della specificità montana e alpina. Ma queste denunce sono sempre state sottovalutate dal mondo politico e irrise dall’associazionismo sindacale degli albergatori. Ricordate la frase di Natale Rigotti: "gli ambientalisti sono immorali"?.
La prospettiva che questa evoluzione del turismo trentino sia solo agli inizi è accentuata proprio dall’assenza di autocritica da parte degli albergatori e della Provincia Autonoma di Trento. Non si legge una sola proposta che ci porti ad avere l’autogoverno della manodopera, che ci porti ad un processo di formazione continua dei dipendenti e al rispetto della contrattazione nazionale, non un accenno ad una contrattazione sindacale specifica che offra risposta ai nostri territori, non una proposta che ricostruisca la peculiarità del turismo di montagna. Anzi, sia in valle di Fassa che in valle di Fiemme la gara mantiene sempre e solo un obiettivo: copiare Rimini, investire in quantità.