Abolire il referendum?
E’uno strumento importante, ma va regolato in maniera diversa. Ecco qualche suggerimento.
Gli ultimi referendum (1990, 1997, 1999, 2000, 2003, 2005) sembrano indicare che lo strumento previsto dall’articolo 75 della Costituzione è ormai agonizzante (vedi "Diritto e Giustizia" n° 25 del 25 giugno 2005, commento del costituzionalista prof. Andrea Pugiotto, pag. 10).
Che fare? Abrogare il referendum (modificando la Costituzione) o rivitalizzarlo?
A me sembra più corretta e opportuna questa seconda ipotesi. Uno strumento di democrazia diretta, che è concepito come controllo della opinione pubblica sulle scelte legislative del Parlamento, non può essere tolto di mezzo alla leggera, perché in alcune circostanze può essere decisivo per l’abrogazione o la salvaguardia di istituti fondamentali, per esempio il divorzio e l’aborto.
Vorrei però fare qualche osservazione sul "quorum" concepito per la validità del referendum: il 50% + 1 degli aventi diritto. La legge 327/70 collega precisi effetti giuridici (abrogazione) ad una volontà contraria alla legge, o alla volontà di mantenere la legge (in questo caso il referendum non potrà essere riproposto se non dopo cinque anni). In altre parole la consultazione referendaria si gioca a due. Lo conferma la legge n° 28/2000 sull’accesso ai mezzi di informazione durante la campagna elettorale. L’art. 4 stabilisce che "per il referendum gli spazi sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli e i contrari". Il Garante delle comunicazioni, con una delibera ad hoc (36/2005), che però non è una legge, in vista del referendum sulla procreazione assistita ha incluso fra i contrari anche gli astenuti, con una logica che più illogica non potrebbe essere. E’ evidente a tutti infatti che chi si astiene non è contrario, per la contraddizione che non lo consente. Non è corretto quindi equiparare i votanti a coloro che si astengono. Chi partecipa al voto è soltanto chi pone la scheda nell’urna per dire sì, per dire no, o per esprimere scheda bianca. Coloro che non si recano ai seggi elettorali e quindi non depongono la scheda nell’urna, non partecipano alla competizione, sono fuori. Non sono paragonabili neppure agli spettatori di una gara sportiva che fanno il tifo per l’una o l’altra squadra. Non partecipano, per i più svariati motivi: se ne fregano, oppure vanno al mare, oppure per motivi politici cercano subdolamente , a causa del quorum, di falsare il risultato: cioè barano!
Nelle elezioni politiche ed amministrative non si tiene conto delle astensioni se non per calcolare l’affluenza alle urne, ma non hanno alcuna influenza sui risultati.
Non dovrebbe essere così anche per il referendum? Aboliamo dunque il quorum, vanificando le astensioni.
Mi pare che l’Italia sia l’unico paese europeo dove esiste il quorum (se sbaglio chiedo scusa). Se ciò non fosse opportuno o giuridicamente corretto, sarebbe almeno utile rapportare il quorum al numero dei cittadini elettoralmente attivi.
Il prof. Pugiotto suggerisce che il quorum sia fissato nel 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni politiche generali. Mi sembra una proposta assai ragionevole. Se si fosse votato con questo sistema, il referendum sulla procreazione assistita sarebbe ugualmente fallito, perché il quorum sarebbe stato del 40,5%, ma forse non avremmo assistito alla furbesca e indecorosa campagna per l’astensione. Furbesca e indecorosa perché, come afferma il prof. Pugiotto, "il parlamentare che approva una legge soggetta al referendum e poi fa propaganda per l’astensione si sottrae al controllo popolare".