Un “Cuore” con poco cervello
Buona l'idea della rivisitazione critica del romanzo di De Amicis: ma nonostante la buona recitazione tutto resta nel limbo delle buone intenzioni, senza filo conduttore e un minimo di chiarezza nel messaggio.
Ne è passato di tempo da quando Edmondo De Amicis pubblicò "Cuore" nel 1886; e si trattava di un romanzo, non di un testo teatrale. Pertanto, a vederlo in cartellone in una stagione di prosa, ci si aspetta due cose: un’operazione nostalgica o, al contrario, una rivisitazione intelligente che prenda spunto dall’originale. Purtroppo l’allestimento di Tonino Conte e del Teatro della Tosse delude su entrambi i fronti: troppo fedele al testo nei punti sbagliati e troppo avulso quando vuol essere innovativo.
Partiamo dai (pochi) punti di forza, tutti "formali" e riguardanti, alla fin fine, quasi solo l’aspetto estetico-figurativo. La scenografia di Guido Fiorato è coinvolgente, ricca di suggestioni che accentuano la surreale solitudine dei personaggi con una scala a chiocciola e balconi ad inferriata. Abbastanza originale anche il ricorso al teatro dei burattini per l’intermezzo di "Sangue romagnolo"; il racconto mensile acquista, così, una dimensione fiabesca che forse non sarebbe dispiaciuta allo stesso De Amicis. Un discorso a parte va fatto per l’invenzione della bara: se all’inizio appare un espediente indovinato per caratterizzare la maestra tisica, mostra tuttavia la corda già alla seconda apparizione, innescando un senso di déjà-vu, per diventare, alla terza, fastidioso e kitsch. Inoltre, come corteo funebre era molto più grottesco quello di "Entr’Acte" di René Clair, datato 1924.
D’altro canto, l’idea di ripercorrere gli eventi dal punto di vista degli alunni anziani è buona, ma non viene valorizzata; resta, anzi, fine a se stessa, un pretesto di cui mancano effettivi sviluppi o approfondimenti. Dignitosa nel complesso la recitazione, in vari casi assai convincente; eppure non basta a risollevare la rappresentazione sul piano del contenuto, né ad evitare che alcuni personaggi si riducano a macchiette.
Dal momento che "Cuore" nasce come testo narrativo, chi ne trae una sceneggiatura teatrale dovrebbe preoccuparsi, in primo luogo, d’avere un valido motivo per tale operazione. Invece, se da un lato si tradisce il senso originale del romanzo, dall’altro non se ne propone uno diverso, ulteriore o in controtendenza rispetto al modello. All’azione manca unità, come anche un filo conduttore e un messaggio chiaro. N’è uscito, così, uno spettacolo sfilacciato oltre che, per buona parte, noioso. Le intenzioni saranno state le migliori, purtroppo però si è peccato in superficialità; ciò che accade quando ci si prende troppo sul serio e le pretese sono eccessive. Se questa è la sorte di "Cuore" a teatro, meglio che resti su uno scaffale o tra le mani di chi vuole continuare (o iniziare) a sfogliarlo, pagina dopo pagina.