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QT n. 7, 5 aprile 2003 Monitor

Pilobolus: innocui funghetti

Al Teatro Sociale di Trento esibizione in tono minore - lenta e ripetitiva - del gruppo che ha rivoluzionato la danza contemporanea.

Prendono il nome da un pericoloso fungo allucinogeno, proprio per assimilarne la carica esplosiva e dirompente: è la Pilobolus Dance Theatre, mitica compagnia americana, fondata nel 1971 da Moses Pendleton, un ex campione di sci da fondo, che dieci anni dopo fonderà un altro gruppo di successo planetario, i Momix.

A Trento, per la rassegna "InDanza", sono arrivati per presentare quattro coreografie, tre nuove e una degli anni Ottanta. Nella prima parte dello spettacolo, i Pilobolus erano una pallida ombra di loro stessi, per via di coreografie che si limitavano a riproporre, in maniera lenta e ripetitiva, lo stile che a suo tempo rivoluzionò il concetto di danza stessa. I Pilobolus sono stati infatti i primi a coniugare danza e sport, creando coreografie brevi ma efficaci, in cui il corpo crea figure insolite e originali grazie ad un intenso lavoro muscolare e ad una tecnica di movimento che deriva non tanto dalla danza accademica quanto dalle discipline sportive, ginnastica ritmica, artistica e atletica in particolare. Quelli visto a Trento, erano dei Pilobolus in tono minore, per via di un’esecuzione non sempre ineccepibile sul piano della coordinazione e sporcata dallo scivolone di una danzatrice proprio all’inizio dello spettacolo. Nella prima parte dell’esibizione, l’anello debole erano soprattutto le coreografie, create lo scorso anno, basate su corpi che vanno a spasso per il palco, incastrandosi tra di loro, portandosi e capovolgendosi in continuazione, con ammiccamenti alla clownerie. I Pilobolus hanno recuperato nella seconda parte, quando lo spettacolo si è concluso con "Day Two", un fuoco d’artificio coreografico, firmato nel 1980 dalle vecchie glorie dei Pilobolus, come lo stesso Pendleton, il divo Daniel Ezralow e Cynthia Quinn. In questo lavoro, che evoca riti tribali su musica etno-techno, c’è sempre un intenso lavoro muscolare dei sei danzatori, tutti in costume adamitico, ma si ricorre più all’equilibrio e all’agilità e molto meno alla forza. In più, c’è anche una diffusa poesia ed una dichiarata ironia.

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