Mondiali di Fiemme: luci ed ombre
Bravi gli atleti e i volontari; discutibile l’organizzazione e i commenti della stampa.
Si sono conclusi i mondiali di sci nordico in valle di Fiemme. L’Italia, sportivamente parlando, ne esce con una tabellina bianca, nessuna medaglia, nemmeno un bronzino. Le polemiche invece sono roventi. Del fallimento si accusa il nuovo allenatore, Marco Albarello, le scelte logistiche effettuate con gli atleti lontani uno dall’altro, si accusano metodi e tempi di allenamenti adottati. Altri investono in veleni e poco simpatici dispetti fra nuovo e vecchio allenatore. Altri ancora, in modo sibillino, affermano che la chimica e la medicina italiane si sono fatte superare da quella sofisticata di altri paesi: il ricordo delle terribili immagini riprese dalle camere dei ciclisti mentre si dopano, il ricordo delle loro infinite bugie, lascia ormai il segno in ogni sport e la credibilità degli atleti esce per lo meno incrinata.
La valle di Fiemme è stata invece fortunata. Un lungo periodo di freddo secco ha permesso di sconfiggere i mesi miti di dicembre e febbraio, ha concesso la fabbricazione di montagne di neve artificiale, ha permesso il suo consolidamento nel terreno. I dieci giorni delle gare, freddi, sono stati baciati da giornate splendide, mai nemmeno una nuvola. Tutto questo ha soccorso una organizzazione debole, scoordinata, servizi diversi che rifiutavano di comunicare fra loro, antipatie e gelosie che si intrecciavano impedendo collaborazioni e sinergie. Un comitato organizzatore colabrodo salvato quindi dal tempo, da una stampa sempre più pigra e servile, e soprattutto da un volontariato eccezionale che è riuscito a coprire ogni lacuna dei dirigenti, un volontariato comunque umiliato e mai riconosciuto nei valori messi in campo.
La valle è rimasta a guardare, molto distaccata. Albergatori, baristi e commercianti hanno pensato ad incassare, ad incontrare le esigenze degli allegri nordici che hanno potuto festeggiare con superalcolici una gran messe di medaglie, festeggiamenti sempre rimasti nelle regole, sempre rispettosi. Solo nei giorni festivi le gare hanno avuto una cornice decente di pubblico residente. Sono stati gli stranieri a riempire le tribune, a diffondersi lungo i percorsi per incoraggiare i loro atleti. Un mondiale passato via liscio, leggero, senza lasciare impronte e segnali particolari.
Un mondiale contrassegnato da molta ipocrisia: pensiamo alla certificazione ambientale, priva di un qualunque significato e contenuto strutturato nel tempo. I problemi sociali della valle non sono nemmeno stati sfiorati, neanche dal dibattito, volutamente accantonati. Ha trionfato l’immagine degli impiantisti, l’immagine di una valle certamente è capace di grandi momenti organizzativi.
Probabilmente solo i volontari e gli atleti vanno elogiati. I
primi perché hanno sacrificato ferie e tempo nel sostenere l’intera macchina organizzativa, pur subendo umiliazioni e distacco. I secondi per la passione, la determinazione, la generosità che hanno portato nelle gare: su tutti va ricordata la sfortunata Gabriella Paruzzi, un’atleta che ha prosciugato ogni cellula del suo corpo finendo le gare sfinita e appena al di sotto del podio. Ma fra i maschi anche Pillercottrer e Fabio Valbusa.
Una medaglia negativa la merita invece la stampa trentina, incapace di indagare fra le pieghe dell’organizzazione, incapace perfino di ricordare; una stampa servile che non ha voluto vedere i servizi sanitari precettati militarmente, le crepe organizzative, la banalità e povertà ideale delle cerimonie.
Proviamo noi a ricordare, utilizzando un servizio che avevo inviato alla redazione del Trentino (vedi pagina a fianco).