Rovereto: il cittadino e il cemento
Area ex-Sav, via del Teatro: avanza in centro un’edificazione spropositata, fuori controllo, destinata a congestionare e ridurre la vivibilità. Di chi sono le responsabilità? Mentre la politica affonda nel grottesco, i cittadini rispondono organizzandosi in comitati.
E'stato l’emergere del "mostro" a preoccupare i roveretani. Il complesso condominiale sull’area Sav, alto otto piani, 73.000 metri cubi addensati, incombe come una presenza aliena su viale Trento: un tempo viale largo e tranquillo, felice prosecuzione moderna del settecentesco corso Bettini.
Il cittadino purtroppo, se non quando sono in gioco le sue proprietà, in genere l’urbanistica non la segue molto; e si accorge tardi degli stravolgimenti che subisce il tessuto urbano. In questo caso per i roveretani la crescita del mostruoso complesso ha rappresentato una sorta di shock: non è che stiamo perdendo il controllo della nostra città? Non è che giorno dopo giorno, con i nuovi insediamenti e il traffico che sempre aumenta, ci rimettiamo in qualità della vita? Anche perché il caso Sav è emblematico di un meccanismo in cui a perderci è solo la città, e che rischia di riprodursi ancora, in altre aree.
Infatti tutto nasce dall’impostazione del Piano Regolatore dell’85 e dalle idee che lo sottendono. Il piano dell’architetto Mancuso (sindaci i democristiani Monti e Michelini) prevede l’espulsione delle aree artigianali dal centro: per favorirla, si trasformano quelle aree in edificabili, rendendo da una parte conveniente lo spostamento delle attività produttive; e raggiungendo dall’altra, con la nuova edificazione, un altro degli scopi del Piano: rendere la città più compatta, più densa, per evitare la dispersione dell’edificazione nel territorio, a detrimento del verde agricolo.
Ottimi propositi, ma malamente perseguiti. O meglio, perseguiti con uno zelo eccessivo, straordinario, incredibile. Infatti sull’area Sav viene concesso un indice di fabbricabilità inusitato: cinque metri cubi per ogni metro quadro dell’area, una cosa fuori di testa, che non esiste altrove né a Rovereto né a Trento, e che piuttosto ricorda i palazzinari romani ammanicati.
La Sav (Società Agricoltori Vallagarina) fa un affarone; vende l’area all’industriale Gianfranco Pedri (presidente dell’Associazione Industriali, vicino alla Margherita, uomo emergente nel panorama roveretano) che ci fa l’affarone anche lui: costruisce 200 (duecento!) appartamenti, dei quali 150 vengono venduti all’Itea.
Se Sav e Pedri ridono, il pubblico interesse piange. Alla fine di tutto l’affare, i soldi (attraverso l’Itea) ce li rimette l’ente pubblico, che non solo permette, ma addirittura finanzia lo scempio della città.
E' questo precedente, ormai tangibile con la colata di cemento che cresce in viale Trento, ad allarmare i cittadini e a rendere più cattivo il dibattito politico.
E così arriviamo all’oggi: quando, per raccogliere e indirizzare queste tensioni, nascono i comitati, tra i quali particolarmente agguerrito quello che si denomina "Comitato per i Giardini del Mart".
Nato su spinta del preside dell’istituto per Geometri Fontana, prof. Buccellato, il comitato in breve aggrega una serie di persone volonterose e capaci, e pone all’attenzione della cittadinanza - e di un riluttante, come vedremo, Consiglio comunale - una questione che in breve diviene anch’essa emblematica: il non-senso urbanistico della lottizzazione in via Teatro. Solo che qui la protesta dei cittadini, a differenza del caso Sav, si leva prima del cemento, anzi prima ancora della presentazione di un progetto vero e proprio, quindi quando ancora si potrebbe intervenire. E questo mette in crisi la politica roveretana.
Per vedere la questione seguiamo una breve cronologia.
1985: anche qui bisogna partire dal PRG di Mancuso di quell’anno. L’area di cui si parla si trova immediatamente dietro il settecentesco Teatro Zandonai, prospicente la stretta via Teatro, di fronte all’Istituto Fontana; e fino ad allora, è destinata a "parco pubblico, giardini e verde monumentale". Su una (piccola) parte di essa operava la falagnameria Campostrini. Nell’ottica (già vista) di favorire il trasferimento delle attività fuori dal centro, l’area viene resa edificabile. Ma anche qui - cosa anch’essa già vista - il PRG dell’85 esagera: l’edificabilità viene estesa a un’area molto più vasta, interessando anche altri proprietari. E’ l’ottica della "città densa", in questo caso molto opinabile, in quanto i nuovi edifici vanno ad inserirsi in una realtà già congestionata, con stradine decisamente strette, con la compresenza del già massiccio e frequentato Istituto Fontana. Così del "parco pubblico, giardini, ecc." rimane poco: il verde storico (un parco settecentesco), quello agricolo e quello privato. (vedi Foto aerea animata)
1991-92: sorge la questione del Teatro Zandonai, di cui urgono lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza. Per averne la completa disponibilità (un piccolo appartamento proprio sotto il palco, altri locali verso sud, e il parco storico a ovest sono di proprietà Zanini) si patteggia una permuta: lo stabile diventa tutto di proprietà comunale, come pure una risicata striscia di parco storico; in cambio diventa edificabile tutto il verde agricolo, tutto quello privato, e ridotto anche il parco "storico-monumentale" del quale una porzione (400 metri quadri) diventa verde privato. Sull’area edificabile così ampliata viene inserito il vincolo della lottizzazione, che obbliga ad una progettazione unitaria controllata attraverso vari passaggi dall’ente pubblico.
2001-02: è il tempo del PRG Cervellati-Bruschetti. Il nuovo piano dovrebbe nascere, secondo gli intendimenti "attraverso un ampio coinvolgimento della cittadinanza". Sull’area di via Teatro però il coinvolgimento non ci può essere: nessuna sa spiegarsi perché, ma nella cartografia distribuita in migliaia di copie l’area appare coperta da un retino galeotto, che la individua come "area con realizzazione in essere", in cui cioè le ruspe stanno entrando in azione, e quindi viene sottratta alla discussione. (vedi La cartina del PRG)
Cosa accade invece? Non c’è nessun lavoro imminente e neanche nessun progetto presentato; invece un accesso all’area viene eliminato (e così tutto il traffico viene a gravare sull’esile via Teatro); scompaiono i vincoli della lottizzazione; i 400 mq di verde storico precedentemente trasformati in verde privato subiscono un’ulteriore trasformazione: in parcheggio. Dalle antiche rare piante, all’asfalto.
Come si vede, l’excursus cronologico evidenzia una costante: ad ogni passaggio si ha un aumento dell’edificazione, e una riduzione del verde e della vivibilità. Anche quando le mutate condizioni dovrebbero indicare il contrario. Infatti, a fianco del Fontana, il Palazzo dell’Istruzione è in corso di ristrutturazione, e lì si insedierà l’Università: il che vorrà dire un ulteriore poderoso carico antropico. E più in generale Rovereto, come tutte le città odierne, è ammalata di traffico, si deve far ricorso alle targhe alterne; che senso ha prevedere 100 nuovi appartamenti, 250 posti macchina, che vanno tutti a insistere su una viuzza cieca come via Teatro?
E' per contrastare queste scelte che nasce il Comitato. Promosso dal preside Pietro Buccellato, che ha subito capito come il suo Istituto sarebbe stato soffocato dal cemento che si costruiva al di là della stradina, ha in breve coinvolto diversi cittadini, e dato vita a raccolte di firme (oltre duemila) e dibattiti affollati e qualificati.
"Contestiamo due aspetti – ci rispondono il prof. Buccellato e l’architetto Andrea Vinante - Anzitutto la viabilità, con tutto quel che ne consegue in termini di congestione da traffico e inquinamento. Via del Teatro è una stradina cieca, senza marciapiede, larga tra i 6,5 e i 6,9 metri, contro i 7,5 metri che dovrebbe essere la dimensione minima in base alla densità demografica esistente (Fontana, Teatro, abitazioni attuali). Poi ci sarà lo sviluppo dell’Università. E a tutto questo si vogliono aggiungere altri 100 appartamenti? Altri 250 posti macchina? Siamo fuori dalla realtà".
C’è poi l’aspetto naturalistico, storico e culturale. "Nel ‘700 e fino a tutto l’800,la fascia dietro corso Bettini era un susseguirsi di parchi - ci dice il dott. Mauro Larcher, anch’egli del Comitato - Oggi quello retrostante il Teatro è l’unico parco settecentesco rimasto ed ospita essenze rare in Trentino, portate dal naturalista Bruti all’inizio dell’800. Io penso che nostro compito, e anche nostro interesse, sia valorizzare queste eredità storiche, non distruggerle."
Di qui gli obiettivi in positivo del Comitato, che non a caso si è denominato "Per i giardini del Mart".
"L’accesso al nuovo Museo avverrà attraverso corso Bettini, in cui ogni palazzo è significativo: vi sono stati ospitati Mozart, Goethe, lo zar Alessandro di Russia, l’imperatrice Maria Luigia... Il percorso, dopo la visita al museo, potrebbe felicemente chiudersi al ritorno assumendo l’aspetto di una passeggiata naturalistica attraverso una serie di parchi: gli attuali Giardini Perlasca, la Piazza d’Acqua che si sta allestendo dietro l’Università, il parco storico dietro il Teatro, l’area Campostrini e poi, con passaggi pedonali e gallerie di negozi, fino a via Paganini e corso Rosmini. Questi sarebbero i Giardini del Mart."
Tutto ciò presuppone uno scontro coi proprietari delle aree…
"Cosa che noi non vogliamo. Si potrebbero lasciare strutture a basso impatto come una galleria di negozi, e per il resto operare una permuta con altre aree edificabili, in localizzazioni più adeguate, e di proprietà comunale".
L'attività del Comitato ha incontrato l’opposizione del ceto politico roveretano. Opposizione talora frontale, come quella del consigliere comunale Francesco Aita (Forza Italia) che ne ha gratificato i sostenitori come "accoliti di Buccellato"; ha attaccato personalmente lo stesso preside, rinfacciandogli un fantasioso "conflitto d’interessi" non tanto perché difende la sua scuola, ma perché ha la moglie consigliera comunale (gravissimo! E detto da un seguace di Berlusconi!); e infine ha proposto, per "difendere i diritti dei cittadini" (intesi come i proprietari, non la generalità degli abitanti di Rovereto) di demolire l’Istituto Fontana attraverso "una distruzione esplosiva controllata" e ricostruirlo altrove, dove non intralcerebbe le nuove costruzioni.
Ma in genere l’opposizione è stata più avvolgente: sorrisini di scherno, minimalizzazioni ("sono capaci tutti di raccogliere firme") e muro di gomma burocratico. Nel giorno in cui in Consiglio si deve discutere l’argomento, il sindaco Maffei esce sui giornali: "Su via Teatro non c’è niente da fare". La linea è la solita: è troppo tardi, non si può tornare indietro, "i diritti acquisiti" sono intoccabili (nel senso che quando un’area è stata dichiarata edificabile, cioè il proprietario è stato reso miliardario da una decisione urbanistica, quei miliardi sono suoi, quella decisione è irrevocabile). Si giunge al punto di ventilare (anche in Consiglio comunale!) che i singoli consiglieri dovranno rispondere di tasca loro, rimborsare loro i miliardi "persi" dai privati, se osassero cambiare destinazione all’area.
Poi i pareri legali vanificano - ma non per i più pusillanimi - la demenziale minaccia del rimborso; e chiariscono che secondo la giurisprudenza non esistono "diritti acquisiti", bensì "aspettative consolidate" che si possono superare con motivazioni stringenti.
Insomma, la politica roveretana si trova stretta da una parte dalla pressione dei Comitati, che sono sempre più agguerriti e popolari; dall’altra dalla voglia di non rinunciare a fette di sovranità, di non farsi condizionare; e, sotto sotto, di poter continuare nella tradizionale politica del clientelismo urbanistico: io se lo voglio posso rendere Tizio miliardario, ci mancherebbe che poi tutto possa venir vanificato da una banda di "accoliti" di un preside.
Il caso di via Teatro, quello ex-Sav, e altri in discussione, mettono però pesantemente in discussione gli ultimi PRG. E le giunte di centrosinistra che li hanno licenziati.
"Se guardiamo bene, tutte queste contestazioni sono riferite ad operazioni rese possibili con il piano dell’85 – ci risponde Gianluigi Fait, capogruppo di Rovereto Insieme, l’aggregazione della sinistra che negli ultimi anni ha sostenuto i sindaci Monti e Maffei, ed espresso il sindaco Ballardini e l’assessore all’urbanistica Bruschetti – Sono eredità che ci siamo ritrovati."
Ma non avete fatto niente per rimediare. Anzi, come dimostra via Teatro, per un motivo o per l’altro, l’aumento della "densificazione" è continuato...
"Possiamo aver fatto errori e operato sottovalutazioni. Però nel ’92 abbiamo tolto rispetto al piano precedente due ettari e mezzo di terreno edificabile per circa 70.000 metri cubi, soprattutto in zona collinare. E anche nell’ultimo piano il tandem Cervellati-Bruschetti ha tolto l’edificabilità a una quarantina di aree. Poi però il Piano non è stato approvato dal Consiglio, ma dal commissario ad acta, che tutte quelle aree le ha riclassificate come edificabili..."
Di diverso avviso Maurizio Tomazzoni, presidente della commissione urbanistica, anch’egli di Rovereto Insieme ma con un piede mezzo fuori.
"Il punto è che rendere un’area edificabile vuol dire rendere un cittadino ricco. E quindi è giusto che tale decisione, oltre a vantaggi per il privato, ne porti anche al pubblico. Il progetto quindi non deve considerare solo l’edificio, ma gli effetti su tutta l’area circostante: e chi riceve miliardi dalla decisione di edificabilità, ne deve anche dare, attraverso convenzioni (con cui si cedono parcheggi, aree verdi, aree per edilizia popolare ecc) e così inserire al meglio la nuova edificazione nel contesto urbano. E invece si sono date edificabilità senza che il pubblico ne ricavasse alcunché. O addirittura che il pubblico debba spendere ulteriori soldi per tentare di risolvere i nuovi problemi che crea l’edificazione privata: è il caso di via Teatro".
In quest’ottica, come va valutato il piano Cervellati-Bruschetti?
"Per accelerare le realizzazioni, il piano ha mutato le lottizzazioni (che impongono tutta una serie di controlli, convenzioni, autorizzazioni) in piani d’area, molto più veloci e che passano in Consiglio comunale tutti assieme. Poi però tutto è finito nelle mani del Commissario. Il risultato è che l’utilizzo del territorio è risultato sottratto al controllo pubblico. Soprattutto le aree centrali ad altissima densità. Tra queste via Teatro. I piani d’area erano 25: mi aspetto altre 24 contestazioni".
Insomma, un’impostazione della città vecchia, non corretta adeguatamente e per tempo. Un rapporto pubblico-privato rimasto al clientelismo doroteo. Il sistema decisionale sottratto al pubblico controllo. Una politica, quella roveretana, sempre più frantumata (ogni formazione si è scissa in due o più tronconi) e meno rappresentativa. Tutto questo spiega la nascita dei Comitati.
"Una volta i Comitati finivano con l’incanalarsi nei partiti - ci dice Fait, anch’egli nel Comitato per i Giardini del Mart - Oggi sono del tutto indipendenti, vivono ed operano senza i partiti. Ed elaborano proposte. Il ceto politico risponde chiudendosi a riccio, fin che può. E’ un errore; e non potrà durare."
Intanto, il giorno in cui Tomazzoni e Fait presentavano in Consiglio una mozione per cercare di riprendere in mano la questione di via Teatro, la maggioranza dei consiglieri se l’è squagliata, facendo mancare il numero legale (alcuni, i consiglieri di AN per esempio, facendo fuoco e fiamme a favore del Comitato e poi svignandosela quatti quatti prima del voto). Tra Margherita (pro-proprietari anche se non osano dirlo) e sinistra (pro-Comitato anche se devono difendere il "loro" PRG) la temperatura è altissima. Tutta una serie di consiglieri-quaquaraquà si sono fatti spaventare dalle voci terroristiche su salatissimi rimborsi se avessero "leso i diritti dei cittadini".
Ma ai Giardini del Mart non demordono e la questione resta aperta.