Mart: sulla primavera si sbanda
L'acquisto di un quadro da un miliardario e la confusione delle idee.
Grande battage mediatico e al contempo grande confusione di intenti attorno al quadro "Primavera sulle Alpi" di Giovanni Segantini. L’opera, salita agli onori della cronaca spicciola alcuni anni or sono perché acquistata per quasi 20 miliardi di lire da un miliardario americano, apre la mostra inaugurale del Mart. In maniera un po’ estemporanea: nell’esposizione è il primissimo lavoro presentato, ma incongruente con il resto del percorso (si passa subito, con un brusco e immotivato salto, dall’oleografia/agiografia alpestre di Segantini, alle traumatiche esaltazioni della modernità dei futuristi).
Comunque - soprattutto per la fama indotta dall’altissimo valore testé riconosciuto - la "Primavera" è risultato il quadro-simbolo della mostra roveretana.
Ed ecco che il prof. Pierangelo Schiera, coordinatore del comitato scientifico del Mart, esprime "un sogno": che il museo, attraverso una pubblica sottoscrizione, possa acquistare il quadro; sulla cosa si butta l’Alto Adige che lancia una sottoscrizione, nel titanico intento di raccogliere 10 milioni (di euro, naturalmente) con cui tentare di comperare l’opera. Ma dopo un’iniziale vampata di entusiasmo, la sottoscrizione si affloscia, subendo per di più la concorrenza della parallela, più modesta iniziativa de L’Adige, "per l’acquisto di un’opera significativa" da donare al Mart e da scegliere con un referendum sul giornale.
La breve parabola della Primavera quindi pare già
chiusa. Per noi però resta significativa della confusione che sembra esserci attorno al - e nel - Mart, sulle funzioni del museo stesso.
Infatti un qualsiasi museo d’arte moderna non obnubilato da facili soldi pubblici, non compera opere da un miliardario americano; anzi, accade esattamente l’inverso.
Si tratta di un meccanismo che abbiamo già illustrato; ampiamente collaudato e che rende numerosi musei d’arte contemporanea dei re Mida, della macchine produttrici di valore. Infatti un museo che abbia nome e prestigio, è in grado di valorizzare la produzione degli autori che presenta (e dei quali gratuitamente acquisisce un numero di opere, che subito incrementano di valore). In questi musei le entrate non vengono tanto dall’ente pubblico, né dai biglietti d’ingresso (anche se il numero dei visitatori è importante, perché testimonia la notorietà dell’istituzione): ma dalla creazione di valore di cui sopra.
Ora il Mart invece, con la strampalata vicenda della Primavera, si pone su un piano opposto: non è il Museo che, con la sua autorevolezza, dà valore all’opera, che verrà acquistata a caro prezzo dal miliardario; è l’opera che, proprio in quanto acquistata a caro prezzo dal miliardario, dà valore al Museo, disposto ad un ulteriore acquisto a un prezzo ancora più alto. Siamo evidentemente fuori strada.
C’è un ulteriore aspetto: 10 milioni di euro sono una cifra fuori di testa. La più celebrata mostra del Mart (che a suo tempo aveva riempito di visitatori il palazzo alle Albere) era costata meno di un miliardo di lire. Con la cifra prevista per l’acquisto della Primavera, si potrebbero finanziare mostre di grande rilievo per dieci o forse vent’anni.
Ma, e qui sta il punto, una grande mostra non viene allestita solo con i soldi. Occorrono grandi capacità di produzione culturale; se una mostra è il frutto di studi che spostano in avanti la ricerca in un settore (ricordiamo ancora le famose mostre su Romanticismo e Divisionismo), tutta una serie di cose è conseguente: il pubblico, le recensioni, gli scambi di opere con gli altri musei.
Ora, è il Mart attuale capace di far questo? Ed è in grado di avere l’autorevolezza per porsi come Museo creatore di valore?
La proposta dell’acquisto della Primavera sulle Alpi sembra indicare che il museo stesso dubita di se stesso, e ricerca invece altre scorciatoie. Perché, ricordiamolo, la proposta, il "sogno" dell’acquisto multimilionario, viene dal coordinatore del Comitato Scientifico del Museo.
Ma il prof. Schiera, si obietterà, non è del mestiere, come egli stesso pubblicamente riconosce: è uno storico, non un esperto di arte. Appunto: come mai il Comitato Scientifico del Museo è ora presieduto da una persona "non del mestiere"? Non si era detto che tale comitato doveva essere il cuore e l’anima del Museo? E non se ne era presentato in pompa magna, come "grande nome" che avrebbe riportato il Mart ai precedenti fasti, lo storico dell’arte Harald Szeeman, curatore della Biennale di Venezia (vedi Il ritorno dei grandi nomi. Basteranno?)?
E ora, come mai Szeeman è in disparte e il Comitato Scientifico si riduce a ricercare lustro nell’acquisto di quadri da miliardari?
Ricordiamolo sempre, anche nell’euforia dei giorni inaugurali: il Mart è una grande opportunità, non va malamente sprecata. Ma un museo ha senso solo se produce cultura. Su questo ci si deve impegnare. Altrimenti, non basteranno i miliardi investiti a giustificarne la costosa esistenza.