Il nodo vero è l’ingiustizia
Credevo fosse stato rimosso dalle nostre menti il concetto di "guerra giusta". Quelle immagini raccapriccianti in diretta, in cui l’essere umano sembra aver toccato il fondo, hanno cancellato come un colpo di spugna la legge del fratello, della convivenza.
Ci prepariamo tutti alla guerra, ma è questa la risposta giusta? In guerra non ci sono vincitori, ma solo vinti. Ed il comandamento non uccidere? Il significato esatto del verbo "non uccidere" in ebraico è "non fare il giustiziere": questo comandamento vieta dunque la vendetta.
Il primo omicidio nella Bibbia, non a caso, è un fratricidio: Caino che uccide Abele, il fratello che uccide il fratello: la Bibbia vuole farci capire che chiunque tu uccida, anche se credi che sia un nemico, in realtà è tuo fratello.
Ma "non uccidere" non significa solamente non togliere la vita: il rispetto della vita è più ampio, è il rispetto della vita degna di questo nome. Vuol dire allora non uccidere le possibilità, non soffocare le speranze, non uccidere un’idea, un pensiero, una spiritualità…
Si può uccidere anche senza sparare un colpo. Noi, nel nostro piccolo, siamo colpevoli di non essere riusciti a costruire rapporti di giustizia fra le nazioni per un equo sfruttamento delle risorse, per il dialogo tra le culture, di non essere riusciti in una revisione del nostro modo di vivere in un modo più sobrio. E’ l’ingiustizia il nucleo centrale di tutte le questioni: in troppi patiscono l’ingiustizia.
Quando vediamo la realtà di una pace che è disperazione per altri, vediamo che il benessere degli uni convive con la miseria degli altri, non possiamo che chiedere perdono della nostra indifferenza, del nostro silenzio quando avremmo dovuto gridare, delle nostre parole vuote quando avremo dovuto agire, quando avremmo dovuto concretizzare la speranza in questa società piena di contraddizioni, con i suoi squilibri che cagionano bisogno, con le sue tensioni di classe a danno dei più deboli.
Ma torniamo alla "risposta giusta": quale può essere la risposta a tanta malvagità?
E’ l’indicare la giusta direzione in cui incontrare Dio. Una fede che è fatta di affermazioni e non di fatti che ne conseguono non è vera fede, siamo chiamati a badare a non essere uccisi dagli dei dell’egoismo umano, siamo chiamati ad amare, alla riconciliazione. La vita è davanti, non dietro di noi: il passato conta, certo, ma ancor di più conta il presente ed il futuro.
Siamo chiamati ad aprire le braccia all’islamico della nostra provincia che dopo gli ultimi avvenimenti si sente umiliato, in colpa; la parola riconciliazione spiega e decifra una azione di incontro con l’uomo e la sua miseria. Riconciliazione è la chiave di volta della speranza che oggi deve prendere corpo e ci deve fare dire ancora sì al dialogo, sì alla vita.
La speranza non ci può lasciare travolgere dagli avvenimenti, è quel seme che deve vivere nei nostri cuori, nel centro pulsante della nostra vita e dei nostri pensieri.