Frammenti d’affresco dalla metropoli
Cosa avrà pensato Francesco Clemente, quando fu informato che i suoi affreschi dovevano essere staccati dalle pareti, oppure essere distrutti nella ristrutturazione dell’edificio newyorkese, il Palladium, in cui li aveva realizzati?
Noi, che possiamo visitare oggi (alla Galleria Civica di Trento, fino al 31 maggio) la mostra di questi affreschi, notiamo che la circostanza, apparentemente infelice, è stata colta dall’artista come una inconsueta ma a suo modo preziosa occasione di riproporre l’opera esaltandone la forma del frammento. Ma può darsi che tutto fosse già più o meno consciamente previsto. Certo, è curioso ma ironicamente significativo che un ciclo affrescato appena quindici anni fa venga già presentato come reperto archeologico. Eppure è così: l’epoca del cosiddetto edonismo che furono gli anni Ottanta - e il Palladium come grande locale da ballo nel cuore metropolitano ne era una delle espressioni - pare ormai archeologica. E cosa meglio del frammento può ricordarcelo?
Tuttavia sappiamo che in Francesco Clemente, come negli altri esponenti del movimento della Transavanguardia, il senso della frammentazione è anche strettamente legato al bisogno di attingere a diverse fonti culturali, e a diverse fasi storiche dell’arte.
Qui, ad esempio, la tecnica pittorica - il colore a tempera calda con colla di coniglio stesa su un intonaco di gesso - crea effetti pittorici d’epoca romana o forse anche anteriore, allo stesso modo dei colori dominanti, il giallo e il rosso, che danno il senso di una sontuosità decadente.
Questa è probabilmente la nota emotiva emergente, alimentata anche da altre caratteristiche dell’opera. C’è un connubio tra raffinatezza passatista della tecnica e esposizione di un vocabolario misterico in cui convergono fonti iconografiche non solo occidentali.
Una parte del ciclo è costituita da un bestiario ambiguo, in cui animali domestici si mescolano poi ad esseri anfibi che accennano a metamorfosi. Certo, non è mai assente una punta di divertimento ("Ave Ovo") di fronte al fluttuare di simboli e miraggi in cui l’uomo si trova coinvolto. Ma non è facile liberarsi dall’inquietudine di quella enorme forbice aperta, di quella lunga scala da cui qualcuno sta precipitando, di quel labirinto-intestino ripreso in più di un punto del ciclo affrescato.
Così come colpisce il procedimento che potremmo dire anatomico, prevalente nella seconda parte del percorso, in cui le parti del corpo che rappresentano gli organi della percezione - l’orecchio, il naso, la bocca e soprattutto l’occhio - giganteggiano isolate, icone semplificate di qualcosa che l’uomo talvolta non può o non vuole esercitare come strumento di conoscenza integrato con tutti gli altri. Qualcosa di disintegrato.
Simile, del resto, è il suggerimento che ci danno le teste, separate dal busto, proposte a coppie e originariamente disposte su un arco del Palladium: come antichi mascheroni teatrali, esprimono alcune gioia, altre tristezza, ma private dell’individualità, fino a trasformarsi in contorno privo di volto, vuote le orbite, nuca che diventa bersaglio o spirale.
Dunque, nel bel mezzo dell’edonismo, un messaggio pienamente intriso della crisi contemporanea, detto con "parole" attinte alle raffinate elaborazioni di passate decadenze.
Segnaliamo alcune mostre previste nelle prossime settimane.
A Nogaredo, a palazzo Candelpergher, "Nell’incanto del Bambino Re" (fino al 10 maggio).
A Trento:
nella sala del Falconetto di palazzo Geremia, mostra delle opere partecipanti al concorso "Don Chisciotte", organizzato dal Comune e dallo Studio d’arte "Andromeda (dal 10 al 19 maggio).
Alla galleria "Il Castello", mostra delle opere di Esther Beer Percal (fino al 30 maggio).
Allo Studio Raffaelli, fino al 2 giugno, mostra delle opere di Paul Housley e Jordan Tinker.
Presso la facoltà di Economia, mostra di Italo Bressan (fino al 30 giugno).
Alla Galleria Civica, mostra di Riccardo Schweizer (fino al....).