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QT n. 4, 19 febbraio 2000 Servizi

Quarto grado di giudizio: l’appello alla Madonna

Ma che c’entrano Giuseppe e Maria con le mazzette dell’ autostrada? Chiedetelo a Pancheri...

Una delle ricorrenti formule che attirano la mia infastidita attenzione quando qualche personaggio della politica incappa nelle maglie della giustizia, vuoi per problemi di tangentopoli o di connivenze di vario genere col malaffare o di altre purtroppo frequenti accuse di illegalità, è quella dell’appello non tanto al tribunale della coscienza o della buonafede, quanto a un tribunale di cui si tende a riconoscere la superiorità rispetto ai tribunali con cui si ha a che fare in questa vita terrena. Un tribunale cioè in grado di pervenire alla conoscenza della verità senza tema di errore, sia esso il tribunale di Dio a cui durante tutta la travagliata vicenda dei recenti processi Giulio Andreotti si appellava prima di sapere come si sarebbero risolti, sia l’appello a Giuseppe e Maria, al cui giudizio e alla cui solidarietà fa riferimento il nostro più modesto politico locale cav. Enrico Pancheri dopo l’esito per lui meno felice delle vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto.

Premetto che per quel che riguarda la buona fede non ho mai avuto grandi difficoltà ad ammetterla, purché si tenga conto che essa è irrilevante ai fini della storia, dal momento che non può comunque trasformare un errore in una cosa giusta né rimediare al mal fatto quando la frittata è servita.

Detto questo, ho sempre pensato, per il primo di questi nostri due personaggi esemplari sopra riportati, a una possibile composizione della giuria popolare nel tribunale dell’aldilà a cui Andreotti si rifaceva. E tra i cosiddetti giudici popolari di questa corte ultraterrena con o senza fascia tricolore vedevo in fila: l’avvocato Ambrosoli, il generale Dalla Chiesa, il giornalista Mino Pecorelli, l’onorevole Salvo Lima, Michele Sindona, solo per fare i primi nomi che mi vengono in mente, non tutti forse immediatamente meritevoli del paradiso, ma tutti passati nelle vicinanze del nostro presunto innocente, e tutti trasmigrati piuttosto sbrigativamente nell’aldilà, senza che questo esito traumatico riuscisse a turbare più di tanto, per quel che a noi poveri spettatori della politica e stato dato di vedere, la sua proverbiale imperturbabilità.

Tra i giudici togati poi, a latere del giudice supremo, ci potrebbe stare anche l’onorevole Moro.

Ritengo che solo una corte così composta sarebbe effettivamente in grado di appurare la verità e di far luce su troppi misteri che la povera giustizia umana non è mai riuscita a chiarire. E sarebbe oltretutto anche nella reale possibilità, questa corte, di dimostrare senza strascichi di dubbio l’eventuale immacolatezza del soggetto de cuius, cosa anche questa che le sentenze umane non riescono mai a garantire.

Per quel che riguarda invece Giuseppe e Maria invocati dal nostro locale cavalier Pancheri là dove dice: "Ho la coscienza tranquilla, ho sempre avuto molta fede in Giuseppe e Maria, mi sono stati sempre vicini e credo che fossero d’accordo con quello che facevo. L’ho fatto nell’interesse della gente, per salvare la democrazia in Italia. Il pericolo in quel momento era il comunismo"- non è difficile immaginare quanto questi due peraltro rispettabilissimi personaggi biblici fossero preoccupati di salvare l’Italia dal pericolo comunista che incombeva dal secondo dopoguerra fino agli anni Novanta del secolo appena trascorso, e quanto stesse loro a cuore l’autostrada del Brennero con le commesse relative e i relativi pacchetti di tangenti strategicamente raccolti e distribuiti in barba alle leggi per ostacolare l’inesorabile avanzata del comunismo.

C’è voluto Fabio Trotter, vecchio militante democristiano degli anni Quaranta e Cinquanta, su L’Adige di mercoledì 26gennaio scorso a invitare il nostro a "non squadernare la propria coscienza all’opinione pubblica" e a non tirare di mezzo Giuseppe e Maria, quasi a ricupero del vecchio adagio: "Scherza coi fanti e lascia stare i Santi".

Che poi tutte queste amenità non riescano a far decollare il dibattito sulle "categorie del giudizio politico ed etico" - come lamenta Gianni Kessler - può essere un ulteriore brutto segno dei tempi e di quel distacco dalla politica che indurrà i giudici a non fare più i supplenti e ad adeguarsi per altri decenni - come del resto hanno fatto per tanto tempo - alle esigenze dei nuovi notabili.

In attesa del tribunale di Dio, chissà che Giuseppe e Maria opportunamente invocati non ci possano dare una mano per ridare alla politica dignità morale e decenza di obiettivi e di contenuti.