Riforma elettorale: quelli che remano contro
Fallito il tentativo della scorsa legislatura, stavolta, per arrivare al maggioritario, si prova a modificare lo Statuto. Ma riecco le resistenze, dentro e fuori la maggioranza regionale...
Come un fiume in piena, l’esigenza di cambiare le regole di funzionamento della politica trentina non poteva fermarsi di fronte agli ostacoli trovati nella scorsa legislatura, fossero le resistenze di partiti e partitini o la sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato anche la miniriforma della soglia di sbarramento. Tre diverse giunte negli scorsi cinque anni, intervallate da crisi durate mediamente oltre sei mesi, ed un avvio di questa legislatura contrassegnato da continui scivoloni di colui (Dellai) che aveva assicurato di essere esso stesso, e non le riforme, la soluzione del problema della stabilità di governo, sono zavorre troppo pesanti anche per una provincia molto ricca come il Trentino. Di fronte agli ostacoli, quindi, quel fiume in piena ha semplicemente cambiato percorso.
Oggi quindi si riparte: tentando di modificare lo Statuto d’Autonomia, con l’obiettivo di rimuovere quei vincoli che avevano reso problematico, nella scorsa legislatura, cambiare la legge elettorale. Il tentativo di allora, portato avanti da Wanda Chiodi in qualità di assessore regionale alle riforme, era stato quello di cambiare il sistema elettorale trentino a Statuto invariato. Impresa ardua, considerato che lo Statuto prevede che si elegga un Consiglio regionale (e non due Consigli provinciali) con un sistema proporzionale. Ciò di cui si ha bisogno, invece, è di introdurre il sistema maggioritario, ma solo per la Provincia di Trento, visto che a Bolzano, senza tornare a spiegarne i perché, la situazione è completamente diversa.
Il metodo seguito dalla Chiodi, fondato sulla scommessa di poter interpretare in maniera elastica lo Statuto, era però dettato dalla necessità di riuscire ad arrivare per tempo, entro le elezioni dello scorso novembre. Lo Statuto è infatti una legge del Parlamento di rango costituzionale, e per cambiarlo è necessario passare attraverso la stessa complessa procedura prevista per la modifica della Costituzione, senza contare che l’agenda del Parlamento non è nelle mani di un assessore regionale. E Wanda Chiodi non aveva il tempo sufficiente per aspettare il Parlamento.
Alla fine, come si direbbe in questi casi, la montagna ha partorito il topolino della soglia di sbarramento, sulla quale, come non bastasse, è pure arrivata la tegola della sentenza di annullamento della Corte Costituzionale, che ha fatto tabula rasa di ogni tentativo di cambiare il sistema elettorale a Statuto invariato.
Margherita Cogo, nuova Presidente della Regione, si è quindi ritrovata a dover cominciare tutto daccapo. Questa volta, però, senza strade alternative: la preventiva modifica dello Statuto è una scelta obbligata.
E qui ricomincia la tiritera dei tempi. Per cambiare lo Statuto il Parlamento ci mette almeno un anno, se tutto va per il verso giusto. Ma se il Parlamento decade, cioè se si va a elezioni politiche, tutta la trafila deve ricominciare dall’inizio. E siccome le elezioni politiche non sono sincronizzate con le nostre elezioni regionali, la questione dei tempi si fa ancora più complicata.
La buona notizia è che oggi a Roma sembrerebbero volersi finalmente occupare degli Statuti delle Regioni autonome. Mentre le Camere sono impegnate a modificare la Costituzione per introdurre l’elezione diretta dei Presidenti delle Giunte delle Regioni a Statuto ordinario (dopo i tanti ribaltoni che hanno messo in luce le falle del "tatarellum", la riforma elettorale per i Consigli delle Regioni ordinarie), ci si è resi conto che non si potevano lasciare le Regioni speciali all’asciutto, considerato oltretutto che queste ultime, proprio perché titolari di molte competenze e perché impossibilitate ad intervenire con una riforma elettorale per via dei vincoli presenti nei loro Statuti, sono quelle che versano nelle peggiori condizioni. L’intenzione del Parlamento, oggi, sembrerebbe quella di procedere alla modifica degli Statuti speciali entro le prossime elezioni politiche, attraverso un unico disegno di legge per tutte le cinque Regioni autonome.
Il problema di fronte al quale si è trovata Margherita Cogo, quindi, è stato quello di decidere se agganciarsi a questo treno, dando a Roma il via libera della Regione, o se rimandare tutto al prossimo Parlamento. La scelta dovrebbe essere ovvia, eppure così non è stata nel nostro travagliato Consiglio regionale.
Quasi nessuno ha il coraggio di schierarsi apertamente contro la riforma elettorale, ma pur di impedirla molti si aggrappano all’argomento buono per ogni stagione: la difesa dell’Autonomia, che sarebbe messa in pericolo dal fatto di assegnare la competenza elettorale della Regione alle Province.
A parte il fatto che ci vuole una bella faccia tosta a sostenere che l’autonomia si difende rendendola inutile (ossia lasciando le sue istituzioni nel caos), qui il problema sta, ancora una volta, nei tempi, oltre che nei rapporti fra Trentino e Svp. Gli oppositori della Cogo, An e il centro di Valduga in testa, hanno sostenuto che prima di togliere competenze alla Regione bisognerebbe decidere quale sarà il suo futuro complessivo assetto. Sul fatto che sia necessaria una complessiva riforma dello Statuto per rilanciare un’istituzione oggi allo sbando è senz’altro vero e, certo, sarebbe bello poter affrontare la questione elettorale all’interno di quel dibattito costituente sul futuro delle nostre istituzioni che quasi tutti i partiti dicono di voler aprire. Perdere oggi il treno della riforma degli Statuti speciali avviato dal Parlamento, però, significa rimandare tutto a dopo le prossime elezioni politiche e, fatti due conti, rassegnarsi a votare nel 2003 ancora col vecchio sistema proporzionale (e, guarda caso, ad inalberarsi per la difesa della Regione sono stati proprio quelli che, da sempre, di riforma elettorale non vogliono nemmeno sentir parlare).
In secondo luogo, questa prima tappa della riforma dello Statuto, pur prevedendo di togliere alla Regione una delle sue principali competenze, è una cosa che interessa soprattutto il Trentino, non la Svp, che invece potrebbe rimanere a guardare i vicini di casa che affondano e ricattarli sul futuro della Regione. Portare a casa la soluzione del problema della governabilità del Trentino vuol dire, quindi, anche poter affrontare la successiva fase costituente senza dover subire ricatti, in una posizione paritetica tra Trento e Bolzano.
La Cogo, chiamata a Roma ad esporre il parere della Regione sulla modifica dello Statuto, ha voluto ed ottenuto un preciso mandato del Consiglio, che ha approvato un documento d’indirizzo che ha tenuto banco nella politica regionale di queste settimane. In questo modo, si è aperto a tutte le forze politiche, quindi anche quelle dell’opposizione, il dibattito su questa prima tappa della riforma statutaria, pagando però il prezzo del confronto con tutti. Ebbene, i problemi non sono venuti solo da coloro che sin dall’inizio si sapeva avrebbero tentato di ostacolare il percorso della riforma elettorale, ma anche da quelli che dovrebbero essere i più fedeli alleati della Cogo.
A parte Passerini, che sulla Regione ha una posizione autonoma più volte pubblicamente espressa, qualche bastone tra le ruote della Cogo è stato messo da Dellai, che ha manifestato insofferenza per la sua mancanza di visibilità in questa partita.
L'ex sindaco di Trento è riuscito a mascherare in questi anni la sua scarsa propensione all’amministrazione (quando non le sue commistioni con il mondo degli affari) grazie all’immagine di grande politico che si è costruito impartendo lezioni sul futuro dell’autonomia, sulla "Trento città ponte tra mondo latino e germanico", sul "ruolo della Regione nell’Europa senza frontiere" ed altre simili parole al vento. Se oggi questo ruolo gli viene soffiato da qualcun altro, rischia di dover mostrare, finalmente, quanto vale. E che il crollo del mito sia già iniziato lo dimostra l’atteggiamento della stampa quotidiana, non più disposta a perdonare al grande leader ogni suo scivolone.
Un episodio successo a Roma, durante l’audizione alla Commissione affari costituzionali, è indicativo e preoccupante. Quando la miniriforma dello Statuto sarà varata, bisognerà stabilire quale legge elettorale si dovrà applicare nel 2003 qualora le Province – che avranno la competenza elettorale – non riuscissero a legiferare in tempo. Tra le possibili soluzioni c’è anche quella di stabilire che, per il Trentino, si applichi la legge delle Province appartenenti alle Regioni ordinarie, che è quasi identica a quella dei Comuni (elezione diretta del Presidente della Giunta provinciale e premio di maggioranza alle liste collegate). Dellai si è detto contrario a questa ipotesi, adducendo che questa eventualità sarebbe un attacco all’Autonomia. Il che vuol dire, in nome dell’Autonomia, prorogare il caos per altri dieci anni, nell’ipotesi - non improbabile - che un Consiglio provinciale eletto con sistema proporzionale, riesca a rimandare alle calende greche la riforma maggioritaria.
A questo punto sarebbe bene che esprimessero le loro valutazioni i tanti esponenti (dal presidente degli industriali Zobele al segretario della Cgil Dorigatti, dagli esponenti del mondo universitario come Zuelli e Arena a rappresentanti della Chiesa come don Valentini...) che più volte hanno individuato nell’anacronistico sistema elettorale la causa principale dell’impasse politica dell’Autonomia
E si pone un altro quesito: oltre la Cogo, dov’è finito l’insieme della sinistra? In questa battaglia per recuperare il percorso riformista, accetta di farsi mettere in un angolo dalle estemporanee iniziative del super-presidente della Giunta, e di quanti le riforme le hanno sempre osteggiate?
Per ora nel centro-sinistra regna la bonaccia, per non danneggiare l’elezione di Pacher.
E’ augurabile che subito dopo si incominci a sviluppare l’iniziativa, se i riformisti alle riforme ci credono ancora.