Dodici disastrosi chilometri
Si cominciano a misurare gli svantaggi (tanti ed evidenti) e i benefici (misteriosi) del prolungamento della Trento-Malè.
Dopo qualche mese di lavori i solandri cominciano a vedere il prolungamento della ferrovia Trento-Malè. Ora non è più solo un disegno o un’idilliaca elaborazione al computer, è esattamente come pochissime persone additate come trogloditi avevano detto sarebbe stato già all’epoca della sua approvazione da parte dell’ufficio del VIA: uno scempio.
Un orrendo e imperdonabile scempio paesaggistico e ambientale che ha ripercussioni negative su più di una attività economica e costi sociali troppo alti. E, purtroppo, siamo solo all’inizio. Allo sfregio del tracciato (vedremo quanto bene farà al sacro turismo il viadotto di Daolasa) si aggiungeranno gli sfregi delle strade di collegamento, dei cavalcavia, delle stazioni, delle fermate, dei parcheggi.
La stazione di Malè è di 3000 metri cubi, suppergiù come quella di Trento. Assolutamente sproporzionata rispetto alla quantità dell’utenza. Il progetto prevede una struttura a volta in travi di ferro a vista, modello rivoluzione industriale, fuori da qualsiasi contesto architettonico-paesaggistico locale. Sembra che gli stessi vertici della Trento-Malè abbiano notato la bruttura di questa stazione e stiano correndo ai ripari con dei palliativi estetici.
Un’altra stazione simile, ma di dimensioni più ridotte dovrebbe sorgere a Dimaro. Un’altra a Daolasa attende di posizionarsi in relazione alla funivia (guai pensare di renderla comoda per i residenti). E un’altra ancora al capolinea di Marilleva, anche questa in attesa di ottenere un posticino che non scontenti nessuno, soprattutto le funivie. Quattro stazioni e altrettante fermate in 12 chilometri, alla faccia dell’agilità sbandierata dal nuovo corso della società.
Quanto alle strade che servono le stazioni e le fermate, basti pensare che quella per la fermata di Croviana si deve imboccare a Malè (certi terreni erano intoccabili?). I parcheggi annessi alle fermate sono vere e proprie piazze. C’è veramente da sperare che le previsioni d’uso dei progettisti e dei dirigenti della Trento-Malè siano azzeccate: con quei parcheggi il problema del traffico stradale riceverebbe una bella spallata.
Per ora l’impressione rimane quella di voler fare più opere possibili, portando l’acqua al mulino di chi da tempo aveva ventilato l’ipotesi che il prolungamento fosse l’occasione per fornire alla Del Favero una solida stampella di denaro pubblico.
Ai danni paesaggistici, come se non bastasse, si aggiungono danni economici e sociali. Il ristorante "Al Noce" a Dimaro potrà essere abbattuto per far passare la ferrovia se non sarà trovata la soluzione per una variante che sposti di qualche metro le rotaie. La Trento-Malè è disponibile a realizzarla solo se qualcuno gliela finanzia, come se il resto lo pagasse di tasca propria (60 miliardi finora il finanziamento pubblico). Dal 15 marzo la famiglia proprietaria del ristorante (sei persone) saranno senza casa e senza lavoro, sorte quest’ultima che toccherà anche al loro dipendente. Nessuno, ribadisce il proprietario, gli ha parlato di risarcimento, la quota ufficiale prevista per l’esproprio è irrisoria (oltre ad arrivare nelle sue tasche tra 5 o 6 anni) e non gli permetterà di costruire casa e attività da un’altra parte.
Qualche disagio viene creato ovviamente a tutte le abitazioni che si trovano il treno a pochi metri da casa (a Daolasa c’è chi se lo trova sopra la testa). Se i proprietari di queste case volessero vendere, si vedrebbero le stime decurtate di un buon terzo che potrebbe diventare la metà.
La vetreria Benedetti, situata nella zona industriale di Malè, si è ritrovata un pilone dell’orrendo viadotto che sta crescendo in quel luogo proprio davanti alla porta dello stabilimento. Armatosi di buon senso e assicurazioni di dirigenti della società e politici locali circa un risarcimento, il proprietario ha spostato il portone di qualche metro, cosa che comportava anche la risistemazione dei non agili macchinari interni. Fatto questo, il Benedetti ha scoperto che il pilone deve sostenere il fondo ferroviario all’altezza di tre metri e non di quattro come previsto prima. Ciò significa che non può entrare nel suo stabilimento con carichi che superino i tre metri di altezza, misura che per una vetreria industriale è abbastanza frequente. Stesso problema si presenta per la ditta vicina che commercia mobili antichi. Anche per queste ditte i risarcimenti sono per ora solo parole.
Fra Dimaro e Mestriago un grosso e ben avviato vivaio ha ricevuto l’ingiunzione di sgombro entro il 22 marzo. La ferrovia gli taglia parte dell’area coltivabile e, soprattutto, l’accesso alla statale. Anche qui la società ha dato finora promesse non seguite da fatti concreti: la soluzione prospettata dai progettisti sarebbe una stradina contorta e stretta che si collegherebbe alla statale a più di 600 metri dall’entrata del vivaio. Il distributore di benzina di Mastellina dovrà essere spostato, non si sa ancora dove.
Anche la ricaduta sulle realtà economiche locali che potevano beneficiare di quest’opera pubblica merita menzione. Nella mole di lavori le ditte locali sono pressoché inesistenti. Nemmeno nell’uso di materiali inerti necessari alla messa in opera del fondo ferroviario si è voluto dare una mano all’economia solandra. In una valle dove le discariche di inerti sono un problema per tutte le ditte edili, le quali devono in molti casi pagare per depositarli, la Trento-Malè fa venire gli inerti dalla Val di Cembra. Non ci bastava essere la discarica del turismo di massa, dovevamo fare da discarica anche ai signorotti del porfido.
Si potrà obiettare, forse a ragione, che nessuna opera pubblica di una certa entità viene realizzata senza danni e disagi per qualche singolo e che il sacrificio di questi va a beneficio dell’intera collettività. Bene, valutiamo allora i benefici che i 12 chilometri in più di ferrovia dovrebbero portare alla comunità solandra. Il primo beneficio che ci si attende da un treno, in una politica dei trasporti globale e integrata, è quello di ridurre il traffico su gomma. La Trento-Malè è una ferrovia a scorrimento ridotto e quindi non può e (non vuole) trasportare merci. Quindi non sarà la vaca nonesa a togliervi qualche camion dalle valli del Noce. Tutta l’economia nonesa (mele) e solandra (turismo) continuerà a muoversi su gomma e quindi a richiedere continui ampliamenti alle strutture viarie. E si pensa davvero col prolungamento di far usare il treno agli automobilisti nonesi e solandri che devono scendere a Trento?
Qualcosa potrebbe migliorare sull’afflusso dei turisti che raggiungono le stazioni con i pullman. Non si potrà certo sperare che un turista che ha la macchina venga in val di Sole con un mezzo pubblico, basta dare un’occhiata alle statistiche: il turista automobilista preferisce fare ore e ore di coda che raggiungere le località di villeggiatura con i mezzi pubblici. Se la Trento-Malè riuscisse a invertire questa tendenza sarebbe un caso nazionale. La società si affanna a sottolineare come sarà più veloce il collegamento con Trento, prevedendo un guadagno di un quarto d’ora (finora la sperimentazione di corse "veloci" ha offerto un vantaggio di 5-10 minuti in fasce orarie poco frequentate).
E’ pacifico: i costi raffrontati con i benefici non sono giustificabili. L’idea in sé nobile di mettere a disposizione della valle un mezzo di trasporto su rotaia diventa scellerata quando si deve inserire questa rotaia in un contesto urbanistico saturo. In quella fetta di valle non ci stava più niente. Dodici chilometri di Trento-Malè in più non incidono sulla problematica situazione dei trasporti. I veri utenti del treno, non rappresentati nel consiglio di amministrazione, continuano a pensare che un miglioramento della linea esistente in termini di maggiore comodità e velocità sarebbe stato la miglior cosa.
Grazie quindi a comuni, comprensorio, Legambiente (!), partiti (in particolare la Lega che col suo fantomatico referendum ha solo cercato di farsi propaganda) e a tutti coloro che hanno contribuito, anche col silenzio, a far passare questo scempio.
Avranno ancora il coraggio, questi soggetti, di portare avanti il prolungamento fino a Fucine? Magari con quella variante che gli farebbe riattraversare il Noce nella piana di Pellizzano con un altro bel viadotto da un versante all’altro della valle?