Dopo le illusioni, la beffa
Alpe di Rovereto: un’asta finita male, un’azienda che non c’è più e 18 operai senza lavoro.
Da qualche giorno non possono più neppure illudersi i diciotto operai dell’Alpe che per molti mesi hanno creduto possibile un rilancio produttivo dello stabilimento. Senza lavoro da quasi due anni, avevano affidato l’ultima illusione alla vendita all’asta della loro azienda, dei macchinari, delle attrezzature, della tecnologia e del marchio. L’idea che qualche imprenditore locale o di fuori provincia potesse acquisire l’azienda in vista di un rilancio si è subito dissolta all’apertura dell’unica busta consegnata alla cancelleria del Tribunale di Rovereto da un’azienda vicentina. Una busta con sorpresa amara: l’acquisto riguardava solo i macchinari e le attrezzature, ma non la tecnologia ed il marchio Alpe. Un colpo pesante per gli operai, essendo evidente come questo fatto sbarri la strada ad eventuali altri imprenditori che volessero acquistare e far ripartire l’azienda.
Ma è un colpo pesante anche su un altro piano. Mentre la cifra complessiva prevista per la vendita, in unico lotto, dell’intera azienda ammontava a poco più di 3 miliardi, la cifra che l’azienda vicentina ha pagato per i macchinari e le attrezzature è di 1 miliardo e 600 milioni, non sufficiente a coprire tutti i crediti. E non è certo semplice pensare ora ad una nuova asta in cui vengano offerti solo marchio e tecnologia anche perché, seppure si trovasse un’altra azienda acquirente, la produzione col marchio Alpe verrebbe fatta altrove. Un’asta, dunque, che ha avuto come risultato lo smembramento dell’Alpe che, in soldoni, significa chiudere ogni possibilità per i suoi diciotto operai di riprendersi il posto di lavoro.
La vera beffa sta soprattutto qui. Per gli operai una battaglia lunga mesi e mesi per vedersi sfilare sotto il naso ogni possibilità occupazionale. Per la città di Rovereto un’azienda in meno.
Ma davvero era scritta nelle stelle una simile brutta conclusione? Davvero non ci sono responsabilità? Se si fosse trattato di una azienda cacciata da un mercato dove la sua produzione non riusciva a penetrare, si sarebbero potute capire alcune difficoltà. Ma non è il caso dell’Alpe. Tutta la sua produzione era indirizzata alle macchine per la lavorazione del marmo e dei graniti e questo tipo di macchine si producono solo in Italia. Ma c’è di più: negli anni l’Alpe era riuscita a portare sui mercati esteri fino al 75% della sua produzione. A questo punto, è evidente una responsabilità di gestione. Questo per il passato. Ma lo stesso forse si può dire per quanto è accaduto negli ultimi mesi fino alla vicenda dell’asta di questi giorni.
In questo senso non ha dubbi il sindacato, in particolare la Cisl, che ha seguito passo passo la vicenda. E ad essere chiamate in causa ancora una volta sono la Lega delle Cooperative e la Provincia. La prima per essersi defilata dalla vicenda, la seconda per non aver assunto alcuna iniziativa in grado di contribuire alla soluzione di un problema che non riguardava evidentemente solo i 18 operai e il loro posto di lavoro, ma un’attività produttiva importante in grado di sviluppare ulteriore occupazione sul territorio della Vallagarina.
D’altra parte, non è un mistero che sullo smantellamento dell’Alpe ci fossero troppi interessi convergenti. Primi fra tutti, interessi legati alla destinazione dell’edificio che ospita, in affitto, l’Alpe, un edificio di proprietà del Comune di Rovereto e destinato ad edilizia abitativa.
Chi gestirà il tutto oggi forse sorride un po’: tra qualche giorno probabilmente comincerà lo sgombero dei locali, visto che l’azienda vicentina si porterà via i macchinari che ha comprato all’asta. A sorridere un po’ meno, ancora una volta, sono gli operai. Operai per modo di dire visto che il lavoro non c’è più.