Giustizia: i problemi le emergenze, i media
I problemi veri della giustizia, e perché non li si affronta.
Cuntrera è stato catturato. Fuggire è facile, più difficile è la latitanza. La polizia, intesa nel suo complesso, e cioè la polizia di stato e carabinieri con i loro reparti specializzati, i collegamenti internazionali, gli informatori e gli strumenti tecnologici, è operativa ed efficiente. Le maglie larghe, i buchi sono nel sistema di giustizia.
Per Cuntrera sarebbe bastato che la Cassazione avesse messo a ruolo una settimana prima il ricorso sul merito, ad esito del quale, come è noto, è stata confermata e resa definitiva la condanna a più di vent'anni di reclusione.
Ed invece sì è trattato prima, pochi giorni prima, il ricorso sulla scadenza dei termini della custodia cautelare. Un colpevole errore di coordinamento fra chi doveva fissare le due udienze? Colpevole o forse volontario? Forse né volontario e nemmeno colpevole, perché trattare il ricorso sulla carcerazione preventiva è, in linea di principio, più urgente che decidere sul ricorso che riguarda il merito. Infatti la custodia cautelare, che avviene in assenza di una condanna definitiva, è uno stato eccezionale sul quale il controllo della Cassazione deve essere il più tempestivo possibile. Dunque era inevitabile che Cuntrera fosse scarcerato, e così potesse fuggire alla vigilia della sua condanna definitiva ?
Probabilmente sì, perché i termini della carcerazione preventiva erano scaduti. Ma sono così brevi, questi termini ?
Affatto, sono piuttosto lunghi. E' che i tempi per giungere ad una sentenza definitiva sono ancora più lunghi. Le cause di tali lungaggini possono essere diverse nei singoli casi concreti, ma ve ne sono alcune che sono comuni a tutti i processi: la inadeguatezza dell'organico dei magistrati, la eccessiva macchinosità dei tre gradi di giudizio.
I magistrati non vogliono sentir parlare di ampliamento del loro organico, ed hanno torto. La solita emotività che coglie tutto il circo politico-mediatico quando accadono fatti clamorosi, ha suggerito il rimedio della riduzione dei gradi di giudizio.
Forse non impedisce la fuga di chi è libero, però può ridurre i tempi per arrivare ad una sentenza definitiva e quindi renderli più compatibili con una durata ragionevole della carcerazione preventiva. Ma quale grado sopprimere, il secondo o il terzo, l'appello o la cassazione?
E se aboliamo l'appello è prudente, quanto ai reati più gravi, lasciarli decidere in primo grado, come sta per avvenire, da un giudice monocratico, cioè da un giudice solo anziché collegiale ? Oppure, volendo conservare i tre gradi, è razionale considerare definitiva la condanna dopo un doppio giudizio conforme, ciò che comunque implicherebbe una riforma costituzionale?
Come vedete la materia è molto aggrovigliata e complessa.
E non perché il nostro ordinamento penale sia particolarmente duro.
Al contrario è invece feroce soltanto nella sua prima apparenza, ma contiene tanti e tali meccanismi ammortizzatori che, con una accorta assistenza difensiva, la pena finale nella maggior pane dei casi risulta mitissima. Si sa che il più delle volte l'unica pena detentiva che viene patita è quella preventiva, cioè anteriore alla condanna definitiva. Sospensione condizionale, oblazione, prescrizione, riti premiali come il giudizio abbreviato o il patteggiamento, attenuanti generiche, le misure alternative applicate dal giudice o disposte in sede di esecuzione, sono tutti espedienti che nella realtà mitigano notevolmente la sanzione in concreto da scontare.
Il paradosso è che può accadere, e accade, che sia inflitta una gravosa afflizione per spese di difesa ed in termini di lesione della reputazione, a persone alla fine riconosciute innocenti ma sottoposte ad interminabili indagini, magari declamate dalle cronache, e che invece al contrario veri colpevoli riescano a giovarsi di tutti i marchingegni che il sistema offre per sfuggire ad una giusta punizione.
Un sistema perfetto è impossibile. Ma un sistema meno imperfetto dell'attuale è possibilissimo.
Ma si provvede solo sotto l'impulso dell'emergenza, e così si aggiungono errori ad errori. Oppure si discute tenacemente attorno alla separazione delle carriere o alle due sezioni del Consiglio Superiore della Magistratura, che sono questioni che non hanno alcuna attinenza con i problemi veri della nostra giustizia.
La ragione di ciò sta nel fatto che nella cosiddetta società civile gruppi che prosperano nel la illegalità vi occupano posizioni importanti. Alcuni orientano addirittura settori rilevanti dello stesso corpo elettorale, altri si muovono con grande sapienza negli intervalli fra l'economia ed i mezzi di comunicazione di massa, e per tali vie riescono a selezionare élite tecniche e culturali che nelle sedi politiche e del dibattito politico impostano il problema secondo la loro convenienza.
Quando addirittura non scendono in campo in prima persona da una prestigiosa tribuna politica a disputare sul tema prò domo sua.
La questione dunque, già di per sé complicata anche solo sul piano tecnico, diviene politica nel senso più complesso della parola. Non mi pare che di ciò vi sia nella pubblica opinione una adeguata consapevolezza.