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Può capitare a tutti…

Come preannunciato qualche tempo fa, prende il via con questo numero una rubrica che trae spunto da un lungo saggio dove il nostro amico e già redattore Ugo Bosetti, scomparso nel mese di aprile, studiava la condizione della disabilità nei suoi vari aspetti. Un testo che trova la sua prima origine nella tesi di laurea in Sociologia di Ugo, successivamente ampliato e approfondito, che non potremo riprendere integralmente (servirebbero 150/200 pagine), ma dal quale trarremo alcune parti che meglio si prestano alla pubblicazione su Questotrentino. Speriamo, con questa iniziativa, di fare cosa utile e gradita ai nostri lettori

Lepersone nel pieno controllo della propria potenzialità fisica considerano normale il camminare, l’afferrare, lo spostarsi e così via. Ogni essere umano “normale” si muove infatti in uno spazio di vita in cui pensa, agisce, collabora, avvia relazioni, lavora, si diverte ecc., ossia costruisce la propria esistenza facendo conto sulla propria capacità di articolare volontariamente gli arti e il corpo. Se abbiamo sete diamo per scontato rizzarci sulle gambe e andare al rubinetto, estendere un braccio allargando mano e dita attorno a un bicchiere, riempirlo e portarlo alla bocca piegando indietro la testa. Eccetto circostanze accidentali, ad esempio l'ingessatura di un braccio o di una gamba, nessuno ipotizza per sé alternative a questa evidenza.

Seppur a conoscenza di persone incapaci di muovere anche un solo dito, le pensiamo perlopiù come una categoria di esseri umani “che sono così”. Ovviamente, se si tratta di aiutarne uno in carrozzina a superare uno scalino o ad aprire una porta, nessuno si tira indietro. Ma questi contatti occasionali ci rinviano un’immagine indistinta della disabilità, non ne concretizzano una conoscenza adeguata né intaccano la certezza nelle nostre capacità motorie: l’assoluta maggioranza di noi non conosce altra “normalità” che la propria.

Che succederebbe però se un evento traumatico e inatteso, in un istante, in alcun ore, in un giorno o poco più, ci privasse della facoltà di muovere gambe, braccia, mani e perfino le dita? Se in seguito a un infortunio sul lavoro, uno scontro in auto, un maldestro tuffo in acqua, un’emorragia midollare, un ictus ci ritrovassimo istantaneamente immobilizzati da una paralisi? Da quel momento tutto ciò che aveva fatto di noi dei partecipi attivi alla vita dentro una collettività, famiglia, lavoro, scuola, relazioni, progetti, perderebbe gran parte del suo significato per l’impossibilità di sostenervi da lì in avanti la nostra parte nei modi abituali.

Vittime di questi traumi non sono sempre i soliti ignoti di cui l’informazione dà notizia nelle pagine interne. Si pensi a vicende ben note come quella di Ambrogio Fogar, giornalista e viaggiatore, Christopher Reeve, l'ultimo Superman cinematografico, Franco Gasparri, protagonista di fotoromanzi e film negli anni ’70, e, caso del 2014, di Fabio Antoniani, popolare come dj Fabo.

Nel mondo dello sport altrettanto note le storie di Luca Pancalli dirigente sportivo del Coni, dell’inglese Frank Williams, titolare dell’omonima scuderia di Formula 1, del maratoneta etiope Abebe Bikila, olimpionico nel 1960 a Roma...

Da dati del Ministero della Sanità, di Istat, Inps e altri, sono circa 2.500 all’anno le persone che subiscono in Italia una paralisi da frattura della colonna vertebrale. Di queste il 45% a causa di incidenti stradali, il 20% per infortuni sul lavoro, il 10% per incidenti sportivi e il restante 25% per cause diverse tra cui le armi da fuoco (2%) e tentati suicidi (3). Oltre l'80% ha tra i dieci ed i quarant’anni, un’età media di 29 e un'aspettativa di vita ridotta del 10-15%; le persone con lesione al midollo spinale sono fra 65 e 75 mila di cui 15/20 mila tetraplegiche.

Sembrano numeri abbastanza contenuti, che però diventano ben più grandi considerando le paralisi midollari conseguenti a mielo-emorragie, lesioni di tipo vascolare (ictus: 200 mila casi/anno, un quarto con grave riduzione di funzionalità) e infezioni midollari; altre cause agiscono poi nel breve-medio periodo (fino a 2/4 anni): malattie degenerative, sclerosi amiotrofica, mieliti, neoplasie cerebrali, neuropatie, miopatie, morbo di Friedrich ecc.

La tetraplegia non comporta esclusivamente paralisi del corpo, deterioramento delle funzioni respiratorie, genitali, sensoriali e viscerali, nonché elevatissimi costi sociali ed economici a carico di famiglia e collettività. Essa è anche alterazione dell’identità e dell'equilibrio psicofisico, variazione della percezione di tempo e spazio, compromissione dello schema e del vissuto corporeo con perdita di una parte del Sé, modificazione dei rapporti affettivi e insormontabili difficoltà di reinserimento sociale e lavorativo.

Questi effetti hanno profonde conseguenze sul piano individuale. Eventi traumatici di questa gravità infatti producono, proprio perché improvvisi e non previsti, effetti riconducibili al problema della ristrutturazione del Sé, inteso come un processo indispensabile prima per la stessa sopravvivenza psicofisica del soggetto e, più avanti, per una sua ridefinizione personale e sociale.

Cercheremo di esaminare questa trasformazione analizzando storie di vita, mettendo in luce come i traumatizzati si adattino alle nuove condizioni, come affrontino i problemi della quotidianità, quali meccanismi entrino in gioco e come si caratterizzi la convivenza con la non-autosufficienza funzionale: nelle parole del titolo, come riescano a reinventarsi la vita.

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