Vanoi: la diga imposta dal Veneto
Riprende corpo un antico progetto. In Provincia dicono di non saperne niente, ma i fatti raccontano un’altra storia.
Ritorna la proposta di costruire una grande diga nel Vanoi. Si tratta di un’idea partorita negli anni Venti del secolo scorso, cent’anni fa, poi ripresa a fine anni ‘50 e poi ancora nel ‘90.
Oggi ritorna protagonista il progetto del 1985, che era stato accantonato per insostenibilità economica: allora era stata riscontrata una sproporzione inaccettabile fra benefici e costi.
Lo sbarramento conterrebbe un lago capace di 33 milioni di metri cubi d’acqua, il murazzo, alto 124 metri, lo si propone in territorio bellunese, nel comune di Lamon. Le acque invaderebbero tutta val Cortella e le case del villaggio Belotti: un lago lungo ben 4 chilometri e una superficie di territorio occupata di 1,2 Kmq. Per capirci, più vasto del lago di forte Buso a Paneveggio.
Nel 1985 doveva servire solo per lo sfruttamento idroelettrico ed essere un invaso di raccolta d’acque per fini irrigui. Ma la storia, come si è detto, ha inizio negli anni ‘20 del secolo scorso: si costituì la società “Alpina srl” composta da imprenditori veneti e milanesi, e i tentativi di costruzione rimasero nei programmi fino alla fine degli anni '50. Nel 1979 nella vicende si inserì anche Enel, ma poi non se ne fece nulla. Allora non si prevedeva alcun rilascio, né il minimo vitale né quello più efficace, ecologico.
Gli obiettivi erano comunque quelli odierni: dapprima si elencavano i più accattivanti: difesa dalle piene, una ricarica d’acqua, un razionale uso della risorsa. Oggi vi si aggiunge il rispetto del deflusso ecologico, la valorizzazione ambientale, perfino la tutela igienico-sanitaria, e ovviamente l’obiettivo reale, quello dell’invaso utile all’irrigazione dei comprensori dei Consorzi di bonifica del Veneto.
Sul finire degli anni ‘90, a seguito di un pesante periodo siccitoso, il progetto riprese fiato. Sempre sostenuto dal Consorzio Brenta. Ma venne demolito dalla sollevazione dei cittadini, dall’intervento del mondo della cultura - da Marco Paolini a Paolo Rumiz - dagli alpinisti con Fausto De Stefani e ovviamente dalle associazioni ambientaliste.
La fragilità del territorio
Oggi, fin da subito, vi si oppongono gli stessi attori degli anni ‘90; il Comitato Difesa delle Acque del Trentino e l’associazione dei pescatori dilettanti del Vanoi gestisce la sponda sinistra del torrente Vanoi, il Tesino la destra. Non è accettabile nessn invaso, affermano. Sostenuti da importanti studi naturalistici del secolo scorso, dicono che il Vanoi è uno dei pochi corsi d’acqua ancora naturali, non vi sono né arginature massicce né intubazioni d’acque, un unicum per la riproduzione naturale della trota marmorata, una specie di fauna ittica endemica a rischio estinzione. Proprio perché il ripopolamento qui è naturale ed efficace, a differenza delle soluzioni forzose diffuse in tutta la provincia.
Per quanto riguarda le artificiosità imposte al torrente Vanoi, negli anni ‘20 era stata costruita una derivazione per alimentare la centrale di San Silvestro; negli anni ‘40 un’altra per la centrale di Caoria, imbrigliando le acque di Val Zanca e Val Sorda. È presente anche un problema non proprio banale: tutto il territorio è ricco di rocce silicee e in caso di movimentazioni dei terreni i problemi di salute degli abitanti potrebbero esplodere, anche nel lungo periodo.
Quali sono le garanzie di sicurezza proposte? Assenti. Tutti e due i versanti sono classificati nella zona rossa di rischio geologico della Provincia. Nel 2020 in Val Cordella una enorme frana è caduta sulla vecchia strada e dopo Vaia i rischi sono aumentati: si contano a decine le frane nei versanti.
Su tutto ciò nel progetto non si trovano risposte. E sulla possibile modifica del microclima? Non una parola.
La Provincia mente?
Il progetto è stato approvato dalla Regione Veneto, vi si prevede un invaso che occupa per il 98% territorio nel Trentino. I comuni interessati, oltre al bellunese Lamon, sono Canal San Bovo e Cinte Tesino, nemmeno 2.000 abitanti, con una popolazione in continua decrescita.
Il sindaco di Canal San Bovo afferma con forza di non avere saputo nulla del progetto fino agli articoli di stampa, dapprima dai quotidiani veneti. La conferma arriva dal Presidente della Comunità di valle del Primiero Roberto Pradel. Con toni diversi sostengono che la Provincia è a conoscenza da tempo delle previsioni di costruzione dell’opera; il sindaco si sente escluso da ogni coinvolgimento, il presidente invece si dimostra più accomodante.
A risultare preoccupanti sono le risposte che vengono dalla politica provinciale, da chi ci amministra. Il silenzio di Fugatti e il balbettio di Mario Tonina: o mentono, o sono degli incapaci.
In particolare il vicepresidente della giunta Provinciale e assessore all’ambiente Mario Tonina sembra applicare anche qui il metodo sperimentato con l'ospedale di Fiemme. Un ente esterno, in questo caso pubblico, che sostiene un interesse privato, impone al Trentino un progetto mai previsto in pianificazioni, né comunali, né di Comunità di valle, né provinciali. La Regione Veneto sostiene l’interesse diretto di una società privata, il Consorzio Brenta.
Tonina risponde in modo superficiale alle interrogazioni affermando che è in corso una interlocuzione con la Regione confinante, afferma di non saperne nulla, ma proprio nulla. Eppure il progetto lo si trova pubblicato nei siti datato 2020. Poi il 22 dicembre 2022 la Regione Veneto dà il via libera al progetto esecutivo affidandolo al Consorzio Brenta di Cittadella, e questi lo dirotta alla ditta Technital di Verona. A voler essere maligni, non sfugge che si tratta della stessa ditta che in consorzio Raetia ha progettato il prolungamento della A31 di Valdastico. Si tratta di un progetto del costo di quasi un milione di euro per un’opera di 962 milioni, la realizzazione è già affidata dal Consorzio Brenta a un pool di imprese, fra le quali ritroviamo ancora Technital e la svizzera Lombardi con la sua filiale italiana, una srl milanese; e il tutto viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 5 marzo. Possibile che in Provincia di Trento né assessori né dirigenti di servizi leggano la Gazzetta Ufficiale?
L’8 maggio il presidente della Regione Veneto Luca Zaia presenta ufficialmente gli otto progetti regionali riguardanti il finanziamento del Pnrr, fra i quali troviamo la diga. Subito i sindaci interessati, quelli di Canal San Bovo, Cinte Tesino e Lamon, scrivono ai prefetti delle due provincie e ai presidenti Zaia e Fugatti chiedendo loro un incontro e chiarimenti. Ma ad oggi non c’è stato alcun incontro.
Nella risposta ad una interrogazione del consigliere dei 5 Stelle Alex Marini il vicepresidente della giunta provinciale Mario Tonina afferma di aver appreso la notizia dalla stampa e che la Provincia non è stata avvisata in alcun modo. Siamo al 28 maggio quando Tonina scrive queste righe. Ma, come abbiamo detto, i progetti sono pubblici fin dal 2020. Il sindaco di Canal San Bovo aveva avuto un incontro a Trento con Fugatti. Il 4 maggio il sindaco di Lamon Loris Maccagnan dichiara ufficialmente (Corriere delle Alpi) che c’è stato un incontro con la Provincia di Trento e il Comune di Canal San Bovo e in quella occasione l’assessore trentino aveva affermato di sapere del progetto definitivo della diga e di avere in corso una “interlocuzione” con la Regione Veneto. È evidente come nella risposta a Marini l’assessore abbia mentito.
Davanti a tale ricostruzione è lecito chiedersi da chi siamo governati. Non si tratta di un gruppo di incapaci, ma di persone consapevoli di mentire in ogni passaggio, che lavorano alle spalle dei comuni e dei cittadini; non solo omettono, ma mentono perfino su atti ufficiali del Consiglio Provinciale.
Una diga mai programmata
La diga non è prevista nel programma nazionale del 2004; nel 2008 vi si ribadisce l’opposizione nel piano stralcio per la sicurezza della Brenta; nel 2015 il primo piano di gestione del rischio alluvioni provinciale non prevede l’invaso, come pure il recente documento, approvato da questa giunta provinciale; il piano di gestione delle acque datato 2021 non vi accenna.
Si viene a sapere da normali approfondimenti che il progetto è datato 25 ottobre 1985. Si trattava di uno studio di fattibilità economica e tecnica di 38 anni fa. La Regione Veneto si è affidata a un copia-incolla di documenti scritti con macchina da scrivere Lettera 32 di allora, lo rivela il quotidiano Il Nuovo Trentino, documenti a loro volta ripresi da valutazioni tecniche risalenti al 1959.
Non è tutto. I progettisti di allora facevano capo allo studio Zoller Ingegneria. In quegli anni la Regione Veneto affidava la progettazione di ogni opera consistente a questo studio, poi fallito. Il Consorzio scrive che vi sono state indagini sul campo delle risorse idriche del Bacino del Brenta, ma nessuno le conosce e non hanno incrociato una verifica pubblica.
I sindaci sono preoccupati della modifica del clima prodotto da una simile diga? Pongono preoccupazioni sul tema della tenuta geologica dei versanti e della sicurezza? Negli studi non vi sono risposte a temi tanto strategici. Come del resto sono assenti altre valutazioni.
Anzitutto quella sociale. Cosa accade a un territorio che subisce un costante spopolamento l’imposizione di una simile diga? Perché il tutto non è stato posto a Valutazione d’impatto ambientale? Sono assenti valutazioni su proposte alternative meno impattanti e l’opzione zero. Come sta rispondendo il consorzio del Brenta agli ormai strutturali temi della siccità e dei cambiamenti climatici in atto? Le valutazioni del 1959 possono essere considerate valide oggi?
Sicuramente no, siamo in presenza di una totale assenza di iniziative e programmazione. Prevale sempre il solito sistema: i problemi, in questo caso la carenza d’acqua nel bacino della Brenta, si risolvono con l’assalto al territorio. Possibilmente in casa d’altri.
Perché sul tema Fugatti e Tonina hanno o mentito o si sono fatti scavalcare dal solito Zaia? Abbiamo dimostrato come fossero a conoscenza del progetto fin dal 2020. È probabile abbia ragione il consigliere Marini quando afferma che ci troviamo in presenza di un esplosivo triangolo con i vertici che si chiamano Salvini (ministro alle Infrastrutture e Commissario alla siccità), Luca Zaia, sempre prono agli interessi degli agricoltori, e Maurizio Fuigatti, l’uomo con lo sguardo rivolto a risolvere i problemi della Padania. Tre politici targati Lega. In tale situazione sembra plausibile che Zaia non avesse concordato il progetto con Fugatti?
Sorprende anche che la regia pubblica di tutto sia affidata a Nicola Dell’Acqua. Si tratta del tecnico che domina il Veneto: Commissario sull’emergenza idrica, direttore di Veneto Agricoltura, già direttore di Arpa Veneto, presidente di ANARSIA (Agenzia regionale innovazioni agronomiche e forestali) e infine - notizia della settimana - proposto da Salvini quale Commissario per la ricostruzione post alluvione in Emilia Romagna, tanto per far fuori il presidente della Regione Bonaccini. Si tratta del braccio operativo della Lega, nazionale e veneta.
L’obiettivo dell’operazione è chiaro: impossessarsi delle acque del Vanoi e di Caoria e con queste dissetare l’agricoltura veneta priva di innovazione. Ma anche, negli obiettivi di Zaia, rendere sicura la navigazione del Naviglio del Brenta da Padova a Venezia. Del resto il titolo dell’opera è esplicito: “Serbatoio del Vanoi. Realizzazione di un invaso sul torrente Vanoi per la tutela dell’irrigazione nel comprensorio del Consorzio di bonifica Brenta”. Nient'altro.
Ora il progetto deve essere concluso entro due anni dall’assegnazione dell’incarico da parte del ministro Gilberto Pichetto Fratin. È già certo che serviranno ulteriori finanziamenti e li si sta cercando, perché i fondi del Pnrr non sono sufficienti.
La Provincia di Trento tace. Lo ha dimostrato nel recente incontro dei 108 consiglieri dei Land tirolesi, Dreier Landtag di Riva del Garda. A Trento del Tirolo interessa poco, lo sguardo è rivolto a soddisfare gli interessi dei grandi cementificatori del Veneto e il bacino elettorale del comparto agricolo in mano alla Lega di Luca Zaia.