Il Trentino, cosa vuole essere?
La sbandata si Pinè per una cattedrale nel deserto, e la svendita a Riva del fascino del lungolago: due esempi di perniciose incertezze sulla propria identità.
Vale la pena tornare sulla questione dell’Ice Rink di Pinè. E non – una volta tanto – sulla miseria della politica fugattiana, che sempre promette anche quando sa che non potrà mantenere. Ma da un altro punto di vista, quello delle vittime del populismo leghista, i pinetani. Nel senso che – ci dispiace dirlo – hanno torto, nel profondo.
Come si è potuto pensare di (ri)lanciare il turismo familiare di Pinè attraverso opere faraoniche, l’ovale coperto da oltre 5.000 posti, impossibile da riempire una volta passato l’evento olimpico, costosissimo da mantenere, fatalmente destinato al degrado? Come peraltro insegnano tutte le analoghe vicende delle passate Olimpiadi invernali? Lezione infatti ben presente a stazioni turistiche ben più robuste di Pinè, come la Gardena o Innsbruck, che i cinque cerchi non li hanno proprio voluti.
Il problema è strategico: il Trentino, cosa pensa di essere? Vuole emulare il Qatar e i suoi megaimpianti, vuole scimmiottare Rimini e i megaconcerti? Ragazzi, siamo una realtà montana, abbiamo altri limiti e anche altri pregi: le esorbitanti quantità non sono per noi. Facciamocene una ragione. Anzi, facciamone un punto di forza: in Trentino non si deve venire per trovarsi intruppati assieme ad altri 120.000, ma per assistere a una raffinata esibizione al tramonto in quota, in un paesaggio da fiaba. Dobbiamo sapere quello che possiamo offrire, ed esserne orgogliosi, non andare dietro a messaggi sbracati, fuori luogo ed anche effimeri (chi saprebbe ricordare dove si sono svolti i giochi invernali del 2018?).
Caso analogo a Riva del Garda, come spieghiamo nell’ampio servizio da pagina 8 in poi. Qui l’attuale giunta Santi ha sposato la proposta palazzinara di un grande immobiliarista internazionale, svendendogli una parte pregiatissima del lungolago. Più avanti spieghiamo meglio, entrando nel merito anche di dettagli inquietanti, che illustrano il tipo di partner con cui Riva si sta fidanzando. Qui interessa il discorso strategico: la nostra preziosa piccola città lacustre cosa vuole? Cosa pensa di essere? Vuole mantenere il suo fascino, dovuto a un ambiente unico, di rara bellezza, oppure vuole svenderlo, alla ricerca dei cascami del business che può offrire un maestro internazionale della speculazione?
Noi siamo allibiti. Perchè Riva già si trova nella situazione di poter gestire un turismo, ricco, privilegiato, altamente redditizio. Sarebbe stolto comprometterlo per volere più quantità; è demente, poi, quando tale operazione non viene portata avanti da qualche maggiorente locale, ma da uno speculatore esterno, che i guadagni acquisiti alle spalle del futuro della località se li porterà via.
Anche questo è un discorso che riguarda la comunità. Ora, sembra che la cittadinanza non sia molto d’accordo con questa deriva: ma dovrebbe dimostrarlo con determinazione e nettezza, prima che i giochi si chiudano. E in prima linea dovrebbero essere proprio i cittadini che la sindaca Santi l’hanno votata.
Per quanto differenti, noi vediamo i due casi, Pinè e Riva, accomunati. E vorremmo indicare a tutti un problema di fondo: noi trentini dobbiamo avere chiaro chi vogliamo essere, e questa visione dobbiamo avere l’orgoglio di difenderla.